BROKEN | Cercavo di salvarlo

By SunHere

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"Puoi aiutare qualsiasi persona in questo mondo, Lux. Lo puoi fare, te lo dico con tutta la sincerità che pos... More

Prologo.
01. Black
02. Irresistible
03. Different Kind
04. Broken Soul
05. Stay
06. Let Me Love You
08. A Date
09. Feelings & First Kiss
10. You Make Me Happy
11. Oh, Darling... Happy Birthday
12. Something Great
13. Love Don't Break Me
14. New York City
15. War Of Heart
16. The Lovely Building
17. The True Love
18. It Hurts So Good
19. I'm Giving Up On You
20 (EPILOGO). All For Love
RINGRAZIAMENTI
SPIEGAZIONI

07. Todd Jasper

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By SunHere

Quella bella giornata con Travis, era finita in malo modo. Mia madre era stata avvisata dalla scuola che non avevo preso parte alle lezioni - non ero a conoscenza che potessero comunicare l'assenza ad un genitore - e mi aveva riempito di parolone per il fatto che non dovessi cambiare solo perché ora facevo parte di una città diversa da quella di St Louis. Mi fece risalire al petto tutto il senso di colpa che provai quella mattina, quando avevo accettato di avventurarmi per Crescent Bay Park con Travis e non mi sentii molto bene a guardare mia madre che mi guardava a sua volta con fare severo e preoccupato.

«Non dirò nulla a tuo padre.» Disse alla fine, mentre ero pronta a salire le scale per chiudermi in camera. «Ma l'hai fatta grossa, signorina.»

Come avrei voluto fare, misi piede nella sala del tea - si, perché mi stava sgridando nel corridoio principale – ma dovetti fermare le mie gambe perché mia madre si toccò la fronte ed esclamò qualcosa che non compresi. «Spiegami solo il perché.» Alzò le braccia. «Perché non sei entrata a scuola?»

Fu un'ottima domanda, quella. Un'ottima domanda che però non poté avere una risposta. Non avrei mai fatto partecipe mia madre dell'esistenza di Travis. «Non avevo studiato e la professoressa mi avrebbe interrogata.» Fu la mia risposta, prima di ricevere una brutta parola da parte sua ed essere invitata ad andare in camera.

Così, mi trovai in camera a non fare niente per tutto il pomeriggio, scendendo poi in cucina per la cena. Papà sarebbe tornato a momenti e non me la sentivo di salutarlo dopo quello che avevo combinato, seppure alla sua insaputa. Mia madre riprese l'argomento, mi mise in punizione e mi minacciò che non sarei dovuta uscire fin quando non avessi finito di studiare. Per uno strano motivo, quel pomeriggio aveva chiamato la scuola e mi aveva iscritto ad un corso di scrittura creativa, colpo basso per una come me, dato che non sono mai stata amante della scrittura. Così, il giorno dopo, a scuola, sarei dovuta restare per tutto il pomeriggio, fino alle quattro, a seguire uno stupido ed insignificante corso assieme a degli sfigati amanti della scrittura creativa.

«Quindi... non puoi uscire?» Chiese Travis il giorno dopo, incrociando le braccia, con la sua spalla forzuta contro il suo armadietto accanto al mio.

Annuii, sconsolata. «È una tortura! Io neanche ci voglio restare il pomeriggio a scuola!»

Travis serrò le labbra. «Mi sento in colpa.» Mi intimò.

Spalancai gli occhi e chiusi il mio armadietto. «Perché è colpa tua!» Esclamai, sorpassandolo per potermi avviare verso l'aula  n. 92.

Travis mi affiancò immediatamente nella camminata. «Colpa mia? Sei tu che hai accettato! Non ti ho obbligata!» Si difese.

Mi fermai, volgendo il mio sguardo verso di lui. Degli studenti ci guardarono, si fissarono e sgattaiolarono via. Non diedi molta importanza al loro comportamento. Socchiusi gli occhi e respirai a fondo per non perdere la calma. «Scusami. Hai ragione.» Chiusi una mano a pugno. «Solo che... odio i corsi pomeridiani!» Mi lamentai.

Travis rise un po', alleviando la mia tensione. «Se ti va stare meglio, i miei hanno scoperto che ho rotto le loro vetrine e hanno mandato mio zio che abita in città a sistemare tutto. Sai cosa vuol dire averlo in casa? Domande su domande! Ed io odio le domande!», sospirò e si toccò i capelli, «Fra non meno di tre giorni, il lavoro sarà finito e potrai venire da me, se vuoi sfogarti un po'.»

Sorrisi. Mi stava offrendo un invito a casa sua? «Sei molto carino. Spero solo che mia madre mi lascerà uscire.» La campanella suonò attorno a noi e sospirai, triste di dover interrompere la nostra chiacchiera. «Ci vediamo domani.»

Travis fece una smorfia. «Non penso di venire questi giorni. Non mi fido molto di mio zio quando è a casa mia, da solo.»

Mi sentii un vuoto al petto. Sarei stata tre giorni senza vederlo? «Oh.»

«Ci vedremo tra tre giorni, d'accordo?» Mi accarezzò con tenerezza una guancia e mi sorrise. «Ciao, piedino danzante.»

«Ciao...»

Girò sui tacchi e lo guardai allontanarsi da me fin quando non accedette sulle scale e la sua chioma bionda non scomparve. Mi mancò già e frenai l'istinto di corrergli dietro e urlargli che mi sarebbe mancato da morire. Allora mi voltai dalla parte opposta e avanzai verso quell'aula che non sapevo dove fosse. La n. 92 non doveva essere molto lontana, calcolando che stavo percorrendo il corridoio delle aule dalla n. 80 alla n. 88. Fu quando girai l'angolo che riconobbi il n. 90 sulla prima porta, poi n. 91 e infine la n. 92. Era già chiusa, segno che avevano già iniziato senza di me. Mi sbrigai a prendere la maniglia e ad abbassarla, per poi aprirla e ritrovarmi tutti gli occhi addosso. Tutte facce che non conoscevo.

«Oh, signorina...» La professoressa in piedi, davanti la lavagna, stava passando il dito su una lista scritta su un foglio di carta. Alzò poi lo sguardo su di me. «...Harper?»

Annuii lentamente. «Mi scusi del ritardo. Mi sono persa...» Mentii, avanzando di un passo.

La professoressa le sorrise gentile e indicò un posto nella fila centrale. «Non ti preoccupare. C'è un posto libero vicino al signor Jasper.» La professoressa indicò un posto vuoto in fondo alla fila di banchi accanto al muro e seguii la sua direzione fin quando non mi sentii una strana fitta allo stomaco: c'era un ragazzo dai capelli castani, con una graziosa frangetta di lato e un grazioso sorriso sincero che gli era appena spuntato sul bel viso angelico. Camminai lentamente verso di lui e poi mi sedetti alla sua sinistra, deglutendo per l'imbarazzo. Avevo la sensazione che sarebbe stato un buon corso scolastico.

«Sono Todd.» La sua voce allegra e frizzante tradì la tranquillità che sperai di raggiungere con la sua compagnia. «Piacere di conoscerti.»

Non mi aveva presentato una sua mano, perciò doveva essere abbastanza informale come ragazzo. Sorrisi appena. «Sono Lux. Lux Harper.» Non riuscii a guardarlo direttamente negli occhi. Ero una frana a farlo.

Todd rise un po' e si mise dritto con la schiena. «Sarà un corso abbastanza noioso.»

Mi incuriosì il fatto che avesse usato quell'aggettivo in un corso dove era presente. Voglio dire, io avevo le mie ragioni per essere lì e definire negativamente quel tempo speso a scuola, ma lui... perché era lì? «Come mai lo hai scelto se sai già che sarà noioso?»

Todd distolse lo sguardo da me e incominciò a guardare la professoressa, che aveva già iniziato a parlare del perché fosse presente quel corso come attività extracurricolare. «Non credo di poter rispondere ancora a questa domanda.»

◊      ◊      ◊

Finalmente, le due ore passarono immediatamente e salutai Todd per tornare in fretta a casa. Feci per chiamare Travis per chiedergli come se la stesse cavando con suo zio, ma forse era meglio lasciarlo con i suoi problemi, infatti non lo feci. Mia madre, non appena tornai, mi chiese come era andato il corso di scrittura ed io le risposi dicendo che non era stato niente male. Niente male per Todd, secondo la mia visuale.

Salii le scale per la mia camera, mi tolsi di dosso il peso del mio zaino e mi buttai sul letto, con il cellulare in mano che, contemporaneamente, vibrò.

Come è andata?, mi scrisse Travis.

Sorrisi e lasciai che il cellulare si sbloccasse per potergli rispondere: molto meglio di quanto immaginavo!

Travis ci mise poco a darmi una risposta: Senza di me? Impossibile. Immaginai che lo stesse dicendo ad alta voce e mi scappò una risatina.

Tra tre giorni ti racconterò tutto. Ora abbi cura delle vetrine della tua cucina.

Continuammo a scambiarci piccoli e infantili messaggi fin quando non arrivò la cena e dovetti scendere in cucina per aiutare mia madre con la tavola. Mio padre sarebbe rientrato dopo un'ora da Los Angeles e mi chiesi come  poteva spostarsi sempre da una città all'altra senza essere mai stanco di lavorare a quel modo. Se fosse stato per me, avrei lasciato tutto ogni qualvolta che ne avessi avuto la possibilità. Mentre stavo mettendo sulla superficie del tavolo la grande quantità di insalata (mia madre ed io siamo ghiotte di insalata), mamma apparve dietro di me e mise una mano sulla mia spalla. «Sono felice che tu ti stai ambientando bene, Lux.»

Corsi a guardarla. Mi chiedevo perché il giorno prima mi avesse sgridato sul mio comportamento e il mio nuovo modo di vivere in città ed ora si stava congratulando con me per il semplice fatto che mi fossi ambientata. Eppure, guardandola, aveva un sorriso sul volto che non volli spegnere con le mie stupide domande.

«Che vuoi dire?» Chiesi comunque, dato che io non gli avevo aggiornato nulla per quanto riguarda la scuola e i miei progressi.

La mamma allargò il sorriso in un gesto abbastanza burlone. «Io e il tuo preside ci conosciamo da anni. Gli ho chiesto fermamente di potermi aggiornare un po' sui primo tempi, così da poter avere un'idea su Santa Monica. Quando pensavi di dirmi di Travis Bernard?»

Spalancai gli occhi e posai velocemente l'insalata sul tavolo, per poi tornare in cucina per prendere le porzioni di carne che lei aveva preparato dalle 6 di quel pomeriggio. Mi stava ancora guardando con quel sorriso fugace quando posai la cena davanti gli appositi posti a sedere. «Oh! È solo un amico!» Protestai, spostando la sedia per sedermi sopra di essa.

La mamma fece la stessa cosa. «Beh... potresti parlarmi di lui, se ti va.»

Le lanciai un'occhiataccia. «Che dovrei dirti? È stato lui a presentarmi alla classe e siamo diventati amici. Inoltre, è stato l'unico a notarmi."

La mamma arricciò le labbra. Aveva cominciato a tagliare la carne nel suo piatto. «E di quella Lin?»

Mi morsi le labbra. Con Lin non parlavo da quando mi aveva messa in guardia da Travis, e questa scelta di non parlarle più non fu proprio mia: volevo conoscere così a fondo Travis che avevo trascurato chiunque, in quell'aula. Salutavo ogni mattina Lin, ma non credevo che potesse fare al mio caso: era troppo invadente e rischiava sempre, e continuamente, di rovinare il mio stato d'animo per colpa di ciò che pensava su Travis. Non stavo bene con persone che continuavano a giudicare altre, perciò avevo deciso da poco di restare amiche, ma niente di più. «Va tutto bene anche con lei.» Risposi indifferente.

«Mi dispiace per il corso. So che non ti piace.» Mormorò poi, mettendosi in bocca il primo boccone.

Alzai lo sguardo sui suoi occhi nocciola: non volevo che si scusasse; avevo avuto tutti i motivi per essere stata obbligata a frequentare quel corso. Ero stata una stupida a seguire Travis invece di entrare a scuola.Poi quel corso mi aveva fatto conoscere Todd, che doveva sembrare proprio una persona simpatica, perciò non era più un problema. «Non ti scusare. Capisco.»

«Voglio solo che tu sappia che ti sono grata per accettare la tua vita, nonostante i continui spostamenti. Ti prometto che finiranno presto.»

Non badai molto alle sue parole, nonostante il sorriso che le dedicai, perché sembravano essere innocue. Inoltre, ero certa che Santa Monica sarebbe stata la mia casa definitiva. E volli crederci fino alla fine.

Il campanello di casa suonò e mi alzai per andare ad aprire. Papà aveva gli occhi da sole sulla nuca semi-calva, la borsa da lavoro nera appesa alle spalle, la valigetta marrone stretta nella mano sinistra e la giacca di velluto color della senape aperta. «Buonasera, tesoro.»

Lo feci entrare prima di abbracciarlo.

«Tutto bene? La scuola?» Mi chiese mentre mi stava stringendo.

Annuii e gli tolsi tutto quello che aveva in mano, dicendogli che doveva sbrigarsi ad andare in cucina perché c'era già la cna ad aspettarlo.

«Volevo andare a farmi una doccia!» Si lamentò lui mentre lo spingevo verso la mamma, ridendo come non avevo mai fatto da quando vivevo a Santa Monica.

«Prima la cena!» Ripetei ad alta voce, realizzando che in quel momento stavo esplodendo di felicità per il semplice fatto che la mia famiglia era al completo. Arrivò anche Fido, che corse verso papà per riempirlo di feste.

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