Mexican Standoff

By Petite_Poissonne

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Draco credeva che dopo la caduta del Signore Oscuro e l'ignominia di cui si era macchiata la sua famiglia, av... More

1. Un incarico per Hermione Granger - Parte 1
1. Un incarico per Hermione Granger - Parte 2
2. Partenze e Inizi
3. Il canto dei bambini in guerra - Parte 1
4. Il canto dei bambini in guerra - Parte 2
5. Non si toccano gli appunti di Hermione Granger
6. Un'ombra tra luce e oscurità
7. Un passo alla volta
8. La Ragazza che è Sopravvissuta
9. Disincanto Patronus
10. Malfoy Manor
11. Come soldati giocattolo
12. Sono solo parole
13. Non sono solo parole
14. Mattone dopo mattone
15. Esasperante Cameratismo Grifondoro
16. Qualcosa di rosso, Qualcosa di bello, Qualcosa di sbagliato
17. Un pensiero fisso
18. Legge di Murphy
19. L'imprevedibilità dei viaggi
20. Di bene in...?
21. La Ragazza d'Oro-Nero
22. Il Battesimo
23. Intersezioni
24. Il loro posto
25. Un gioco da pazzi
26. La distanza tra credere e sapere
27. Bugie e verità
28. Per lei
29. Per lui
30. Corsi e ricorsi storici - Parte 1
31. Corsi e ricorsi storici (Tutto per loro) - Parte 2
AVVISO!
32. Gelosie - Parte 1
33. Gelosie - Parte 2
34. Scelte - Parte 1
34. Scelte - Parte 2
35. Azione e reazione
37. Domande e risposte
38. Affinità elettive
39. Tempo mutevole
40. Il Calendario dell'Avvento di Draco Malfoy - Parte 1

36. Incubo senza controllo

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By Petite_Poissonne

All of his questions, such a mournful sound

Tonight I'm gonna bury that horse in the ground

'Cause I like to keep my issues drawn

But it's always darkest before the dawn

Malfoy Manor, 5 giugno 1998

Draco,

innanzitutto, auguri amico. Diciotto anni sono tanti, ma sono anche così miseri. In questo momento vorrei dire qualcosa di spigliato, ma mi mancano le parole. Ed è assurdo, perché dopo un anno che non ci sentiamo, dovrei avere una fiumana che scorre, ma in questo tempo lontano ho imparato a riempire i silenzi in un'altra maniera.

Però ci sono certe cose che bisogna dirle, anche se scomode per quelli come noi e già ti immagino alzare un sopracciglio, o arricciare le labbra in una smorfia quando le leggerai.

Mi sei mancato. Tanto. Ti ho pensato e ti voglio davvero bene, fratello mio. Avrei voluto salutarti prima di partire, ma mia madre me l'ha impedito. Non voglio giustificarmi, anche se suona così. Però c'erano troppe cose in ballo per evitarlo. Siamo Serpeverde, da che mondo è mondo, l'autoconservazione ci fa agire a discapito di tutto il resto. A discapito dell'amicizia, o dell'amore.

E questo sarà il più grande rimpianto della mia vita.

Dovrebbe essere una lettera di scuse, un'assoluzione, ma ci sono altre cose ancora che si possono dire anche senza bisogno di parlarne e tu lo sai bene, lo so che lo sai e anche da tanto.

Forse non riesco a scusarmi perché anche questa è autoconservazione, o egoismo.

O forse vorrei semplicemente scusarmi di persona, se me lo permetterai.

Ma per egoismo, ho bisogno di sapere dov'è Theo. Dai racconti che sono arrivati, l'ultima volta che è stato visto, era a casa tua.

Ti prego, dimmi che è vivo. Ti prego, dimmi che non ho sperato invano.

Tra due giorni ritornerò in Inghilterra, sai dove trovarmi. Ti prego, riportami il mio Theo.

Vi aspetto.

Blaise

«Marry!» l'urlo di Draco si riverberò per tutta l'area silenziosa dell'ala est del Maniero. Non che ce ne fosse bisogno, si poteva anche sussurrare il nome dell'elfo e lui si sarebbe lo stesso materializzato in un baleno.

Difatti, non aveva nemmeno finito di pronunciare l'ultima sillaba, che l'elfo apparve nella camera di Draco con uno schiocco, inchinandosi davanti a lui.

«Il padrone ha richie-»

«Dov'è mia madre?» lo interruppe aprendo già la porta, non aveva intenzione di perdere un secondo di più. Gli batteva forte il cuore e quella notizia, quel rientro era così inaspettato e sperato allo stesso tempo, che ne era persino spaventato.

Blaise era vivo. Blaise sarebbe tornato. Blaise lo aspettava. Li aspettava.

L'elfo lo seguì a testa bassa nel corridoio mantenendo il passo calzante e lungo di Draco. «Madame Narcissa è nel suo appartamento privato. Il signorino Draco vuole che Marry annun-»

«No» disse alzando una mano per congedarlo. «Vado io.»

«Come il padrone desidera» un altro inchino, un altro schiocco e l'elfo era sparito mentre Draco salì le scale interne e percorse di fretta un altro corridoio prima di giungere alla biforcazione che univa gli appartamenti dei suoi genitori. Lanciò appena uno sguardo verso il corridoio a sinistra, verso l'alloggio del padre e girò a destra, bussando alla porta in fondo.

«Madre, posso entrare?»

Aveva già la mano sulla maniglia quando arrivò la conferma dall'altra parte e Draco aprì immediatamente la porta prima di sbattersela dietro.

Narcissa Malfoy, seduta alla scrivania e impegnata in alcune carte, sobbalzò appena, mostrando il suo disappunto battendo le palpebre un paio di volte mentre alzava gli occhi su di lui.

«Contegno, Draco, non è questo il modo di entrare nelle stanze di una signora.»

«Perdonami, però...» prese un paio respiro massaggiandosi la parte posteriore del collo. «Ho bisogno... io...»

«Occludi, tesoro» disse paziente posando la piuma e alzò il mento verso di lui, osservandolo camminare nervosamente davanti alla scrivania. «E siediti, cortesemente. Mi gira la testa se fai così.»

Draco strinse i denti e si passò una mano sul volto, mentre prendeva un altro profondo respiro. Quando la abbassò, la madre gli indicò con un'occhiata la sedia davanti al suo scrittoio.

Il cuore continuava pulsargli feroce, ma riuscì a raccogliere tutto l'entusiasmo e a placarlo, sedarlo, in vece della fredda tranquillità della madre. Così assecondò la sua richiesta e si sedette, anche se in punta e dopo aver preso un altro respiro, esordì: «Ho bisogno di sapere dov'è Theodore Nott. Dove l'hai mandato?»

Narcissa sgranò leggermente gli occhi azzurro cielo e li diresse verso la porta, prima di direzionarli su di lui. Quando parlò, lo fece attraverso il loro ponte mentale.

"In una delle proprietà dei Black" disse prendendo la bacchetta. Raccolse le carte disseminate sul piano dello scrittoio e con un incantesimo non verbale rivelò uno scompartimento interno. Lo aprì con un altro incantesimo e prese un piccolo sacchetto di velluto verde. "Qui dentro c'è la Passaporta, è illimitata a qualsiasi orario e giorno. Ma è il caso che tu non vada."

«Cosa?» si accigliò lanciando un'occhiata avida al sacchetto che aveva tra le mani esile e pallide. «Perché non posso?»

Narcissa premette appena le labbra ed emise un respiro col naso. "Se ti parlo attraverso questo canale, mi aspetto che lo faccia anche tu. Non essere incauto."

Draco strinse i pugni sulle ginocchia, trattenendo la parolaccia davanti alla madre. «Sono stanco di nascondermi in casa mia. Voglio sapere dov'è il mio amico!»

«Theodore è morto quella sera, Draco» gli lanciò un'occhiata imperiosa. "Non essere sciocco!" aggiunse. «Aspettavo il momento giusto per dirtelo, mi rincresce.»

Draco annuì comprendendo immediatamente, sebbene l'entusiasmo fu totalmente soverchiato dallo sdegno e si osservò le mani abbassando il mento. "Per quanto sarà così?" chiese attraverso il ponte. "Lui non esce nemmeno dal suo appartamento. Non gliene frega più niente. Perché dovrebbe preoccuparsi se un mio compagno è sopravvissuto? È tutto finito, ormai."

"Imparerai che la vergogna è l'unica forza che ci smuove quando tra le mani non si ha più niente."

Draco esalò un verso sarcastico. "È diventato inutile. Cosa potrebbe smuoverlo, ormai?"

"Non parlare così di tuo padre. Lo sai che le autorità gli hanno anche negato l'uso della bacchetta."

"Perché continui a giustificarlo e a difenderlo?"

"Perché è mio marito" alzò leggermente le sopracciglia quando Draco ritornò a guardarla.

"A me suona come un gesto di pietà."

"La pietà ci ha salvati tutti dalla disgrazia totale, non dimenticarlo mai."

Draco scosse la testa, l'acido che iniziava a risalirgli dalle viscere. "La pietà di Potter, intendi?"

"Lui ha solo ricambiato un favore. Anche questo, non dimenticarlo mai."

"Io non gli devo niente."

Narcissa sospirò chiudendo gli occhi e scosse leggermente la testa, prima di ritornare a guardarlo con un'espressione compassata, l'unica emozione che si concesse e che permise a lui di guardare, sebbene la sua voce riverberò potente nella sua mente. "Quando avrai dei figli, capirai che non c'è vergogna o pietà o timore o sdegno o sangue che non si possa versare per loro. Quando amerai con tutta la tua carne e il tuo spirito, capirai che faresti di tutto pur di tenerlo al sicuro. Quando arriverà quel momento, solo allora mi dirai cosa sei disposto a cedere."

Assoggettato da quelle parole, Draco si limitò ad abbassare il mento mentre manteneva gli occhi in quelli della madre, che riprese dopo una lunga pausa. "Tuo padre è instabile, al momento, ha solo bisogno di riprendersi. Concedigli tempo."

"È da un anno che sta così e con l'esito della battaglia è solo peggiorato. Quanto tempo gli posso concedere prima che mi rivolga ancora uno sguardo?" si strinse nelle spalle. "Lui è un Malfoy, ma io vedo solo un vigliacco."

"Draco, lui è tuo padre."

"Già, e io sono suo figlio" atteggiò un sorrisino. "Dov'è quel sangue, dov'è quell'amore? Questo atteggiamento da parte sua mi fa pensare di essere sempre stato solo un trofeo per lui, o carne da macello" fece schioccare la lingua scuotendo la testa. "Non mi ha nemmeno fatto gli auguri."

"Glielo ricorderò."

"Non scomodarti" sospirò alzando di nuovo il mento. "Però adesso voglio sapere dov'è Theo."

Narcissa inclinò leggermente la testa di lato e abbassò gli occhi. "Non voglio che tu lo veda, ora."

Strinse ancora i pugni sulle ginocchia per non ringhiarle contro e prese un respiro lento prima di parlare. "Madre, non è una cosa su cui posso cedere. O mi dai la Passaporta, o mi dici dov'è."

Lei chiuse ancora gli occhi e quando li riaprì, rivelò una profonda tristezza che fece quasi rivoltare lo stomaco di Draco dal terrore, che chiese immediatamente: "Che cosa è successo a Theo? Mi hai promesso che lo avresti tenuto al sicuro."

"L'ho fatto, è stato al sicuro ed è stato accudito da Marry. Ma lui è..." sospirò dal naso prima di riprendere la fredda compostezza. "È tormentato e non è molto in sé. Non voglio che tu lo veda così."

Forse fu per quel rifiuto, forse fu per quella imperturbabilità alle sue richieste, forse fu per il movimento della bacchetta della madre che fece sparire la Passaporta, forse fu per quel senso d'impotenza perché ancora una volta lei gli negava la fiducia di affrontare la realtà, forse fu quel terrore che sgusciò repentino al pensiero del suo amico solo e sofferente, ma Draco si alzò dalla sedia e sbatté entrambi le mani sulla scrivania con un impeto che fece ribaltare il calamaio, l'inchiostro che si riversò sulla superficie come un'onda implacabile.

«Non sono un bambino! L'ho salvato io! Voglio sapere dov'è!» berciò.

Narcissa sussultò di fronte all'impetuosità del figlio e gli lanciò una lunga occhiata dal basso verso l'alto finché non arrivò ai suoi occhi di ghiaccio e il suo volto divenne ancora più arido, insieme alla voce, quando comandò: «Occludi. Non te lo ripeterò un'altra volta. O credimi, non ti permetterò mai di ritornare dal tuo amico, non così.»

«Tu non puoi farmi una cosa del genere» scosse la testa allibito.

«Ti ricordo che sono tua madre» disse gelida alzando appena un arco delle sopracciglia elegantemente rifinite. «Io posso. E questo non è il modo di rivolgersi ad una signora.»

«Non posso crederci, io...» Draco strinse i denti e i pugni sulla scrivania prima di raddrizzare la schiena e spingere ancora una volta tutto dentro, lasciando solo la profonda delusione che gli aveva estrapolato. «Bene, madre. Come vuoi tu, come sempre.»

Fanculo.

Le diede le spalle dirigendosi verso la porta, sapeva già quello che doveva fare. Ma un attimo prima di posare la mano sulla maniglia, questa si aprì e Draco si trovò davanti la faccia pallida segnata da profonde occhiaie del fantasma che era diventato suo padre. 

Reggendosi sul bastone, ricurvo e claudicante, entrò nello studio facendo ticchettare le suole delle scarpe e del bastone sul parquet.

«Salve famiglia» strascicò quelle due parole tra la lingua e il palato come se avesse qualcosa di amaro da rigettare. Si fermò al centro della stanza osservando con misurata lentezza prima la moglie che s'irrigidì sullo scranno, ma fece un breve sorriso a mezza bocca e infine inchiodò lo sguardo lattiginoso e leggermente sgranato verso il figlio, che rimase accanto alla porta, rigido. Era la prima volta in un mese che Draco guardava i suoi occhi, gli occhi grigi ora così dissimili dai suoi che non avevano più alcun fervore da ormai due anni. Solo vuoto e alienazione.

«Caro» Narcissa si schiarì la voce richiamando l'attenzione di suo marito. «Ho presentato i tuoi auguri a nostro figlio. Stasera ti va di unirti a noi, a cena?»

Draco sogghignò sarcastico per quelle due frasi totalmente sbagliate e mendaci. Lui non lo voleva a cena e lei non aveva fatto nulla di tutto ciò, come il padre non aveva mai fatto alcun accenno al suo compleanno. E lei lo difendeva ancora.

«Cosa ti diverte, ragazzo?» disse il padre continuandolo a fissare, la madre gli gettò uno sguardo, insieme al pensiero che doveva mantenere il rispetto.

«Era un apprezzamento alla tua premura nei miei riguardi, padre» abbassò ossequioso il mento. «Mi fa piacere vederti tra noi, ma sì, dacci il privilegio di presentarti a cena.»

"Draco. Non istiga-"

Draco chiuse il ponte con la madre ed evitò anche di guardarla, mentre manteneva quello del padre, che annuì lentamente.

Lucius arricciò le labbra alzando le sopracciglia mentre iniziò a camminare per lo studio osservando le suppellettili che arredavano le superfici della scaffalatura e di quando in quando lanciava occhiate a Draco continuando ad annuire.

«Caro, vuoi che ti faccia portare del tè? O dell'Odgen, magari?»

«No, cara. Vorrei che qualcuno mi spieghi perché in casa mia mi vengano celati dei segreti» disse Lucius guardando prima Narcissa, poi di nuovo Draco che mantenne una compostezza marmorea.

«Se qualcosa è stato omesso, è solo per preservare la tua salute e per non annoiarti» rispose Narcissa con misurato contegno. «Ma per favore, siediti, non affaticarti inutilmente.»

«Non insultare la mia pazienza, cara» il labbro superiore tremolò mentre continuava a fissare Draco. «Hai qualcosa da dirmi, ragazzo?» chiese arrestandosi davanti a lui ad appena due metri di distanza.

Draco rimase fermo e rigoroso mentre osservava la trascuratezza di quel volto un tempo virile e stoico, un modello di supremazia e potere. Mentre ora non vedeva altro che lo zerbino di un Mezzosangue il quale aveva dato libero accesso a quelle mura che sanguinavano d'ingiustizia, mucidume e parassiti senza senno. Che aveva venduto lui come se fosse un becero pezzo di pane. Il suo erede. Suo figlio.

«No, padre» arricciò un angolo del labbro. «Ma ti trovo bene. La penombra ti giova, sai?»

«Draco, perché non vai a fare un giro in scopa? È una bella giornata e il tramonto è ancora lontano» s'intromise Narcissa alzandosi dal suo scranno, ma Lucius alzò la mano che non reggeva il bastone verso di lei. «Rimani seduta, cara. Voglio fare una chiacchiera con mio figlio, dopo va a fare il giro in scopa. Ebbene,» disse infilando la mano nella tasca interna della giacca, sul petto, «vorrei una spiegazione del perché mio figlio intrattiene la corrispondenza con un traditore» cacciò una pergamena e gliela porse.

Draco abbassò solo gli occhi riconoscendo la lettera di Blaise e porco cazzo, per la fretta di sapere di Theo, aveva lasciato la camera aperta e la lettera sul letto. Non prese la missiva che gli tendeva e riportò gli occhi in quelli del padre.

«Vorrei sapere» continuò lui alzando le sopracciglia, «perché ti chiede di riportargli una persona che doveva essere morta. La stessa che pocanzi ti ho sentito urlare di aver salvato. Il suo Theo. Non mi dire, traditore e feccia?»

Draco deglutì valutando l'espressione di attesa del padre e i tempi che ci sarebbero voluti per schiantarlo e fargli dimenticare cosa era successo. Ma c'era una rabbia e uno sdegno nei suoi confronti che accumulava da mesi e mesi, oltre a quell'ennesima violazione di privacy della sua camera, che fu naturale rispondere: «È tutto quello che ti preme dirmi dopo mesi di silenzio, padre?»

«Cosa potevo mai dirti, dopo che hai fatto scappare Potter?» sussurrò protendendosi verso di lui di pochi centimetri, occhi folli che lo fissavano e ormai ricurvo e ingobbito, era una spanna più basso di Draco. «Mi hai disonorato in casa mia.»

Lui annuì arricciando le labbra nonostante l'acido e la vergogna che guizzarono ugualmente dentro di lui a quelle parole, ma vennero in fretta soverchiate dal senso di giustizia di non essere un assassino, perché aveva salvato Hermione Granger, una ragazza in difficoltà sotto la furia di una vera pazza omicida, sotto gli occhi di suo padre, in casa sua. Come aveva salvato Theo, un ragazzo in difficoltà, un amico, sotto la spregevolezza e l'ignominia di un uomo che aveva picchiato e poi ucciso sua moglie, sotto gli occhi di suo padre, in casa sua.

Perciò fu per quello sdegno e quella rabbia e quella delusione e anche per quella vergogna che Draco disse: «Tu hai disonorato questa casa strisciando come un verme davanti al...»

Il colpo arrivò così repentino che Draco ebbe solo il tempo di scorgere con la coda dell'occhio il pomello d'argento a forma di serpente incombere sulla sua faccia, il dolore fu sopraffatto dallo choc di quell'azione, come dal sangue che osservò sul palmo della sua mano quando la allontanò dallo zigomo, o lo choc di vedere contemporaneamente il corpo del padre volare a cinque metri da lui nel corridoio dopo il violento schiantesimo emesso dalla bacchetta di sua madre.

Il Manor divenne silenzioso, più di quanto non lo fosse dopo l'esito della guerra da un mese a quella parte. Tutto divenne ghiaccio e tenebre e abisso.

Tremante e col tormento nello sguardo, Narcissa accorse davanti a Draco osservandogli il volto e per la prima volta in vita sua Draco la sentì singhiozzare mentre alzava la mano per esaminarlo. Ma lui si scostò totalmente avulso dalla vicenda. Non sentiva nulla, era sprofondato, tutto era sotterrato. Persino lo sdegno era sparito.

Evocò un fazzoletto per asciugarsi un piccolo rivolo di sangue che scivolò fino al mento, alcune gocce gli imbrattarono il colletto della camicia e la madre lo richiamò con la voce e con la mente mentre prendeva l'uscita, inascoltata. Scavalcò il corpo svenuto del padre e prima di imboccare il corridoio alla sua sinistra, disse senza voltarsi: «Tu pensa a tuo marito. Io vado dal mio amico, con o senza il tuo permesso.»

Non aspettò la sua risposta e percorse i corridoi e le scale fino al salone principale, escludendo il fetore che ancora si sentiva in quelle sale, quelle mura impregnate di sangue e magia oscura e mucidume omicida, le mura della sua infanzia che era solo un ricordo assopito e soffocato da guanciali di terrore e urla e violenza, una fiammella che si spegneva sotto lo stoppino infetto dall'onta di quell'azione.

«Marry» mormorò quando giunse nel salone principale che portava al portone di quercia intarsiato e scolpito da raffigurazioni di serpenti e viverne in eterna lotta contro prodi cavalieri.

L'elfo comparì ai suoi piedi e fece un inchino. «Il padrone desidera?»

«Portami da Theodore Nott, mia madre mi ha detto che ti stai prendendo cura di lui.»

L'elfo alzò gli occhi grandi e verdi verso di lui prima di sgranarli sotto al volto d'alabastro e tumefatto di Draco. «Marry non ha avuto il permesso da Madame Narcissa, signorino Draco. Non vuole che padron Lucius scopra-»

«Io sono il tuo padrone» disse atono fissandolo con un'autorevolezza di ghiaccio che fece abbassare il mento dell'elfo. «Mia madre è d'accordo e Lucius Malfoy non è più nulla in questa casa, chiaro?»

«Padron Draco, Marry fa solo-»

Draco avvertì la rabbia rimontare, ma la artigliò e la scaraventò nel suo abisso, prima di mettersi le mani in tasca e abbassarsi verso l'elfo a mezza spanna sopra la sua testa. Un padrone non aveva bisogno di mettersi alla stessa altezza di uno schiavo che non eseguiva un ordine, un padrone lo picchiava per comandarlo. L'insegnamento di un barbaro, lo vedeva. L'insegnamento di un folle, lo riconosceva. Un insegnamento che Draco ripugnò con tutto sé stesso.

Inclinò la testa da un lato osservando gli occhi dell'elfo dilatarsi e divenire immediatamente lucidi e acquosi, prima che questo li abbassò assoggettati da quella supremazia algida che traspariva dal suo padrone.

«Portami da Theodore Nott e quando torneremo al Manor ci saranno nuove regole. I veri e unici padroni che dovrai ascoltare da adesso fino alla fine della tua vita, saranno me e mia madre.»

Qualcosa riverberò nell'aria di Malfoy Manor, un'energia sottile e impalpabile, diversa da una firma di successione, era un'energia secolare, una magia che riconosceva quel trasferimento, come un pulviscolo spostato dal vento. Lucius Malfoy rimaneva il capostipite di quell'antica casata, sulla carta. Ma nell'aria, la magia che permeava in quelle ataviche mura, riconobbe Draco Malfoy come unico padrone legittimo.

E giacché la magia degli elfi domestici era dissimile da quella dei maghi, Marry, come gli altri elfi affaccendati nei confini del Manor, avvertirono quel fremito sospeso e lo riconobbero.

Marry s'inchinò più profondamente sfiorando il pavimento con la fronte, le orecchie afflosciate e cadenti a quella sottomissione. «Come desidera il padrone. Marry chiede solo il permesso di curare la ferita del Signor Draco.»

Draco sospirò dal naso e si raddrizzò. «Dopo, Marry. Voglio prima vedere come sta Theo» gli porse la mano per farsi smaterializzare e appena l'elfo lo sfiorò e schioccò le dita, il mondo turbinò fulmineo intorno a loro.

L'aria fresca e salmastra lo investì in faccia come una violenta frustata. Una pianura verdeggiante si perdeva nelle sabbie e nel mare che circondava l'isoletta in cui erano atterrati. Un cottage lussuoso si ergeva alle sue spalle, silenzioso e solitario.

Draco si avvicinò alla veranda e la casa riconobbe la firma magica del proprietario permettendogli di entrare.

«Dov'è?» chiese guardandosi intorno nell'ampio salone d'ingresso e poi nella sala da pranzo.

«Il signor Nott riposa nella veranda sul retro, a quest'ora» rispose Marry.

Draco si fece condurre con un crescendo di aspettativa, timore e nostalgia, nonostante avesse incarcerato tutto, ma non lo vedeva dalla scogliera, non lo vedeva da quella notte buia, non lo vedeva da quando aveva scorto il bagliore negli occhi azzurri di Theo spezzarsi e spegnersi davanti a quella crudeltà.

La preoccupazione prevalse tra tutte le emozioni che aveva imparato ad occludere e a sopprimere in vece della lucidità, ma cominciò a sentire la guancia sinistra pulsargli violentemente e le immagini iniziarono ad affollarsi e a confondersi come la vista che si appannava. Ma non capì, Draco continuava a camminare, continuava ad esistere nonostante non sentisse nulla, tranne che la preoccupazione per Theo, che fosse ancora vivo, che fosse sopravvissuto nonostante quello che gli aveva fatto il padre. Perché come si poteva andare avanti dopo aver vissuto l'inferno, fuori e dentro? Come si poteva anche solo respirare se la persona che lo aveva messo al mondo era capace di distruggerlo in ogni modo possibile? Cosa c'era di giusto in quello? Qual era il vero disonore? Che cosa distingueva un uomo da una nullità? Anche Theo si era fatto quelle domande? Forse lui aveva trovato la risposta in quel tempo rimasto isolato dal mondo, forse se n'era fatte delle altre, forse...

Trovò Theo disteso su un'amaca sotto il pergolato della veranda che affacciava sulla spiaggia, il riverbero delle onde che si rifrangevano sulla battigia giungevano fin lì, insieme all'aria salmastra che spingeva inarrestabile come arti invisibili contro il retro del cottage. Sotto di lui c'erano almeno cinque bottiglie di firewhisky vuotate e alcuni frammenti di vetro sparsi sulla pedana di legno come briciole di pane che tracciavano un sentiero impervio. Draco non riuscì ad evitarli e il vetro scricchiolò sotto le suole, attirando l'attenzione del ragazzo che voltò meccanicamente la testa verso di lui.

I suoi occhi azzurri lo riconobbero, ma non ci fu alcuna scintilla e fu allora che Draco capì che la morte era stata la sua unica compagnia e che non solo si era fatto quelle domande e se ne era poste di altre per tutto quel tempo, ma c'era un'unica domanda di cui esigeva la risposta. Una promessa che fischiava nel vento su una scogliera.

Le labbra secche si mossero, le guance scavate s'incurvarono di più quando la lingua produsse con voce roca e stentata: «È morto?»

Draco fece un unico cenno del mento continuando ad avvicinarsi e Theo annuì a sua volta, chiedendo ancora: «Ha sofferto?»

Fu allora che Draco comprese un unico compromesso, lo stesso che aveva detto anche lui a Marry pocanzi all'entrata di Malfoy Manor e l'unica risposta che sperava avrebbe allontanato quella morte dallo sguardo del suo amico.

«Tuo padre non è più nulla, Theo» osservò attentamente gli occhi spenti di Theo e aggiunse: «Il tuo Blaise ti aspetta, è ora di tornare a casa.»

Fu breve, repentino, come quel colpo, appena assimilabile, ma in un frangente quella morte silenziosa che circondava quel luogo e quei due corpi, fu allontanata da un effimero barlume di vita che esplose negli occhi azzurri di Theo come un'accecante supernova, la luce del tramonto che si affievoliva prima di sparire all'orizzonte.

«Blaise.»

Ma un incubo senza controllo, nei mesi avvenire soffocati dall'alcol, era appena ricominciato. Un inferno sempre più profondo e oscuro, una notte lenta e buia.













Hogwarts, 22 novembre 1999

Erano insidiose le rune. Dalla traduzione, alla forma, all'utilizzo, alla funzione, fino agli incantesimi che servivano per stabilizzarle o intensificarle.

Millenni di storia erano associate ad esse, nel mondo magico come in quello babbano. Ed era da millenni che si continuavano a studiarle.

Ma a differenza del linguaggio antico e all'uso che se ne faceva nella cultura new age babbana, nel mondo magico le rune non erano aleatorie. Si poteva inventare o confondere il significato, per ignoranza, ma non si poteva fraintendere la magia correlata in esse. La magia non mentiva mai. La magia sapeva sempre come raggiungerti. La magia non perdonava.

La magia era l'unico barlume che poteva rischiarare una notte buia prima dell'alba.

Perciò Hermione si aggrappò a quella magia che le scorreva nelle vene da quando era stata messa al mondo e che non le aveva mai mentito, a differenza di come faceva la sua mente, come faceva lei, e trovò quella magia runica fissando il palmo ustionato di Draco dopo che si era staccato che invece guardava pietrificato il suo collo.

Il tempo si era cristallizzato, per loro, ma non per la magia, perché nella frazione di tempo successiva in cui la runa di Hermione si era attivata per proteggerla, anche quella di Draco si era attivata e l'ustione si stava velocemente rimarginando emettendo un bagliore bluastro che illuminò anche il volto atterrito di Draco, confermandole che quel momento, quell'attimo terrificante, era stata la reazione alla sua azione, la risposta di un'aggressione entrando nella sua mente senza il suo permesso.

Nel guerriero che non le avrebbe mai fatto del male.

Quel Draco che era stato controllato in così tanti modi, anche quando aveva smesso di occludere, e che aveva risposto d'istinto al suo tentativo di entrargli nella mente perché d'istinto, con quella stupida e sconsiderata impulsività Grifondoro, Hermione non aveva accettato una sua libera scelta sincera, anche se dilaniante.

Che era finita.

Perché l'aveva ferito, nonostante si fosse ripromessa di non farlo.

Perché aveva mentito, nonostante si era detto che non ci sarebbero state più bugie.

Perché aveva giocato col fuoco, nonostante sapesse cosa significava per lui quella violazione.

Ma era anche finita perché non si fidava di lei.

Perché aveva provato a controllarla con la sua gelosia.

Perché aveva preferito nascondersi dentro il suo nulla cosmico invece di affrontarla.

C'erano migliaia di motivazioni e colpe da entrambi le parti, come c'erano migliaia di giustificazioni da entrambe le parti.

Perché, alla fine della storia, loro rimanevano pur sempre Draco Malfoy ed Hermione Granger.

Lui non si sarebbe mai perdonato, lo vedeva, ma non si fidava a sufficienza per lasciarla libera, anche di sbagliare. Lei l'aveva già perdonato, ma non si fidava di qualcuno che aveva bisogno di controllarla per gelosia.

Perdono, fiducia, controllo. Quelle erano pulsioni che si sviluppavano e smussavano col tempo, non in una manciata di mesi, né tantomeno in tre giorni. Nemmeno in anni di amicizia, in verità, ed Hermione lo sapeva bene.

Tra le mani si ritrovarono solo la polvere dei loro mattoni dissolti senza controllo. Il tempo ancora una volta cristallizzato in un baluginio sequenziale, un lampo in cui Hermione comprese che ora quell'idiota e quella pazza non erano più niente.

Anche se per lei era ancora inaccettabile.

Fece un passo in avanti nello stesso istante in cui Draco ne eseguì uno indietro.

«Draco» sospirò alzando gli occhi nei suoi.

«Non ti avvicinare» esalò mantenendo gli occhi bassi sul suo collo.

Lo vide deglutire e fare un passo indietro, e poi un altro e poi un altro ancora prima di voltarle la schiena ed Hermione credette che il tempo si fosse ancora immobilizzato, ma fu Draco a fermarsi e mentre fissava le sue spalle sussultare come l'intero corpo, si domandò se avesse dovuto dire qualcosa, lei che parlava sempre, ma che non parlava mai quando doveva farlo, finché non le giunse il bisbiglio: «Questo è il momento in cui dovresti scappare e avere paura.»

«Non ho paura di un guerriero.»

Draco smise di tremare, non si mosse dopo che le spalle s'irrigidirono e divenisse un tutt'uno con la solidità della pietra di cui era fatta il castello. Quando parlò, non riconobbe alcuna inflessione nella voce, solo un suono atono, una frequenza perpetua che si riverberava nel nulla in cui, lo sentì anche senza guardarlo, era ancora una volta precipitato.

«Quanto si deve essere masochisti e ciechi e stolti per credere in una cosa del genere? Per giustificarla? Quanto sei disposta a sacrificare in nome di quello spirito che tanto ti contraddistingue?»

«Io non ho sacrificato nulla» disse facendo un passo avanti, silenziosa, ma lui altrettanto fece un silenzioso passo avanti, avvertendola anche se non la guardava. Così Hermione si arrestò, continuando: «Ma non credere a me, io sono una bugiarda. Invece credi alla tua runa, è lei quella che dovrebbe parlare.»

«Cosa ti ha detto la tua, invece?»

Le tremarono le labbra fissando la sua rigidità, l'isolamento e la lontananza sempre più abissale. Quel niente che si solidificava tra le mani, incapace di trovare una soluzione a quello che era successo. A come erano giunti fino a quel momento, senza controllo. «È stata solo una reazione...»

«Alla mia azione» annuì lentamente.

«Anche quella è stata una reazione alla mia azione» le sfuggì un singhiozzo senza che riuscisse a frenarlo spezzando l'immobilità e la stasi di quel momento.

Draco affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e s'incamminò per corridoio. «Non ti azzardare a giustificarmi» disse senza voltarsi più, la voce che si propagava nel corridoio in penombra e lui spariva come polvere al vento, una luce che si affievoliva nell'oscurità. «Non si giustifica un'azione del genere.»











Regrets collect like old friends

Here to relive your darkest moments

I can see no way, I can see no way

And all of the ghouls come out to play

Draco attraversò il passaggio di pietra della sala comune col cuore che gli pulsava feroce nelle orecchie, l'unico suono che percepiva nel buco nero della sua anima e lo accompagnava come una marcia funebre, un organo inaridito dalla sua azione così repentina. L'acido corrodeva e risaliva inarrestabile. Non guardò Pansy che lo salutò dal divano davanti al camino, non vedeva altro che il percorso che si rivelava di fronte a sé passo dopo passo.

Raggiunse la porta della camera a ritmo di quel tamburo infinito, la aprì e la richiuse silenziosamente alle sue spalle.

«Ehi, stronzetto Caposcuola, già di ritor-» la voce di Blaise disteso a letto mentre fumava, si arrestò davanti al suo volto, ma Draco non lo guardò e non guardò nemmeno Theo affianco a lui che sollevò gli occhi dal suo libro e poi il mento, riconoscendo forse quell'espressione.

«Che hai?» chiese Blaise, Theo era già in piedi e si stava per avvicinare, quando Draco sollevò la mano destra, la mano che si era stretta al suo collo, la mano che si era rimarginata dall'ustione sotto i suoi occhi. Anche lì, non aveva sentito dolore, totalmente soverchiato dallo choc e dal terrore che aveva intravisto nel suo sguardo mentre quell'incubo senza controllo si era rivelato e un altro era riemerso, sempre con lei.

Si chiuse nel bagno senza una parola mettendo un piede davanti all'altro, ancora un passo alla volta fino al gabinetto mentre l'acido per quelle azioni infine ritrovarono una via di sfogo. Vomitò appena le ginocchia crollarono sulle piastrelle del pavimento. Riversò tutto, la cena, il pranzo, la colazione, anni di pasti e bocconi di pane ceduti ad assassini, emozioni assopite, ricordi cancellati. Vomitò la sua anima corrotta ritrovata, infettata di bugie e samskara indotti, vomitò parole, domande inascoltate e risposte negate, vomitò il silenzio e tutto ciò che era stato costretto a trattenere. Vomitò quel cuore martellante che non meritava di battere, ma che imperterrito gli ricordava che agli incubi non c'era mai fine, che la sua vita era un incubo senza fine. Vomitò quell'idiota, quel Mangiamorte, quel Draco Malfoy, quel ragazzino e anche quel bambino sulla scopa col volto estasiato che cavalcava le nuvole per la prima volta. Vomitò tutto sperando di trovare al suo interno solo quel nobile uomo che credeva che fosse, l'unica cosa che voleva tenere per sé e quando l'ultimo conato si spense e il fiatone lo costrinse a reggersi sulla ceramica del gabinetto per non crollare di nuovo con la faccia nel mucidume che aveva versato, Draco si rialzò come aveva imparato a fare anche sotto le torture del suo addestramento, vomitate anche quelle.

Un ginocchio al petto, la pianta del piede ben ferma a terra, un respiro tremante ed era ancora su.

And every demon wants his pound of flesh

But I like to keep some things to myself

I like to keep my issues drawn

It's always darkest before the dawn

Il bagno volteggiò intorno a lui e prese un profondo respiro, ma l'olezzo della sua vita impermeabilizzava quelle mura, la sua carne e i suoi aneliti. La bocca era corrosa, le narici erano bruciate, ma almeno ricominciò a sentire altro rispetto a quel cuore pulsante, a quella parata funebre.

Perciò andò al lavandino per ripulirsi, per far scivolare via anche la sensazione del suo collo stretto nella sua mano e si sciacquò la bocca e la faccia e la mano. Lavò e lavò e lavò, ma la sensazione rimaneva, come il ricordo di quello sguardo, come se ci fosse un demone davanti a lei, i mille demoni che Draco si trascinava dietro vincolati alle sue spalle. E non trovava più la via per scrollarseli di dosso, non c'erano più passi da fare per rigettare anche quella sensazione sul palmo della sua mano.

La sua mano che aveva avvinghiato il collo di Hermione Granger, quella ragazzina terrorizzata da sua zia in casa sua e ora da lui nel loro posto. Quel fantasma indemoniato che era ancora tra loro e che aveva annientato qualsiasi spiraglio di assoluzione. Nessun guerriero, nessun nobile uomo, ma solo il volto emaciato di Lucius Malfoy che riconobbe nello specchio quando alzò lo sguardo davanti a sé.

Era lui, come quel pomeriggio nello studio di sua madre, stesso pallore malaticcio, stesso sguardo spento e lattiginoso. Alienato. Fuori controllo.

Una sferzata, un altro colpo repentino, e Draco si scagliò infrangendo le nocche della mano destra contro lo specchio. Un colpo, due, tre, dieci, venti a ritmo di quel cuore martellante, che non era la marcia di un funerale, ma quella di un'esecuzione. Il giudice aveva parlato e ora lo guardava in faccia, distorto e frammentato, sporco di sangue e avido di giustizia.

Giudice, tarli e boia, tutti erano nelle sue orecchie ad ogni colpo, e vide il demone con la sua faccia, vide Lucius, vide Bellatrix e Rodolphus, ogni colpo era un volto. Yaxley, Greyback, Rockwood, Nott, su quest'ultimo fu più feroce e fulmineo, e poi ancora Lucius, Lucius, Lucius, Nott, Bellatrix, Rodolphus, Lucius, Bellatrix e quando comparve Lui, cambiò mano, cambiò braccio, il Suo braccio. E colpì, colpì, colpì finché il rosso di quegli occhi fu ovunque, frammenti di uno sguardo, il mosaico di un assassino senz'anima. Tutti i fantasmi vennero fuori, tutti che avevano preteso un suo pezzo di carne, di spirito. E più colpiva e più si rendeva conto pienamente quanto fosse stato anche lui un folle, un cieco, un demone d'ira che non si era mai davvero lasciato nulla alle spalle. Il passato non era passato, perché era lì, tutti quei volti erano davanti a lui che lo deridevano, lo comandavano, lo spaventavano, lo controllavano, lo annientavano, lo soffocavano sempre di più. E quando gli sembrò di scorgere finalmente anche Draco Malfoy rimasto in tutto quel casino e demoni assassini che avevano affollato la sua vita, lì capì che aveva appena cominciato.

Stava per sferrare un'altra scarica di colpi, ma due braccia lo afferrarono per la vita e lo trascinarono lontano da quel vile fantasma che aveva terrorizzato la cosa più preziosa che avesse mai avuto in una vita di lussi.

Fu sbattuto contro al muro con una forza che era il prodotto del controllo, quello vero, senza repressione e abissi, ma fatto di verità scomode e sentimenti espressi ad alta voce, confessioni davanti al caminetto, sfottò fraterni e consigli babbani. L'unica persona che aspettava al Manor alla fine del sesto anno, che aveva dato del traditore quando invece si stava solo salvando la vita come avrebbe voluto fare anche Draco, ora riusciva a riconoscerlo, che non era vigliaccheria, quella apparteneva a tutt'altra categoria, ma autoconservazione, egoismo nella sua accezione più pura.

Il compagno di stanza il quale a quattordici anni aveva scavato nella mente per divertimento, una violazione non richiesta, e che aveva acceso senza nemmeno rendersene conto quel primo barlume, quel primo pensiero di accettazione della diversità nella sua rigida educazione di purosangue e che l'aveva condotto fino a quel momento, a realizzare ora che non sarebbe stato niente senza di lui. Il suo migliore amico, suo fratello che lo capiva, lo assecondava, lo difendeva, lo rimproverava, lo ascoltava, lo consigliava, lo seguiva, lo cercava, lo sbeffeggiava e lo insultava. Ma che nonostante tutto, nonostante l'avesse allontanato in passato, lui era sempre ritornato e l'aveva sempre perdonato. E ora l'aveva fermato dall'uccidere quel Draco Malfoy.

«Blaise.»

Osservò gli occhi neri e saldi nei suoi che lo tenevano appigliato in bilico di quell'esistenza vuotata nel gabinetto, come quelle braccia ripiegate sul suo petto per tenerlo bloccato in quella realtà infernale senza controllo.

«Va bene» disse lui annuendo. «Hai chiarito il tuo punto di vista. Però avrei voluto che lasciassi un pezzetto di specchio anche a me.»

«Le ho fatto del male.»

Lo vide sgranare appena quello sguardo saldo nel suo e senza mollarlo mai, disse: «Theo.»

«Sto andando. Dov'è?» la voce dell'altro suo fratello gli giunse affianco a lui e Draco fece per girarsi, ma Blaise spinse con più fermezza l'avambraccio sul suo petto.

«Dov'è?» chiese.

«L'ho lasciata al sesto piano.»

«Vado» disse Theo seguito dai suoi passi finché non si sentì la porta della camera sbattere dietro di lui.

«Ho perso il controllo» bisbigliò.

«Qui di sicuro» Blaise aggrottò appena le sopracciglia. «Spiegami cosa è successo sopra. Anzi, prima ti curiamo le mani e poi mi racconti» si staccò lentamente mantenendo gli occhi agganciati ai suoi e Draco si permise un respiro, anche se sibilante. Era completo, non era intervallato da quel martellante battito, ma non era nemmeno di libertà. Era un semplice respiro, un anelito di vita.

Alzò le mani che sentiva insensibili, come se non ci fossero, ma scoprì che erano lì, illuminate da un baluardo bluastro mentre carne, tendini, sangue e ossa si ricomponevano silenziose e fulminee, come aveva fatto l'ustione sul palmo. E mentre la magia rimarginava fino all'ultimo centimetro di unghia, la runa Inguz, la runa del guerriero, bruciava intensa e abbagliante sotto il polsino della camicia chiazzata di sangue.

«Okay» mormorò Blaise osservando anche lui esterrefatto le sue mani e la sua runa. «Questa me la devi decisamente spiegare. Perché hai Inguz incisa sulla pelle?» chiese scostandogli il polsino.

«La conosci?»

«Mia madre mi ha spiegato un po' di Divinazione runica» disse sospirando e si grattò la nuca guardando la runa. «Inguz è complessa e richiede un lavoro introspettivo non da poco. Da quando ce l'hai?»

«Da ieri sera» Draco deviò lo sguardo sul pavimento nello spazio tra di loro. Quando credeva di aver esorcizzato un fantasma del suo passato, nonostante fosse impresso in modo permanente sulla pelle, come una traccia che fosse stato lì, e invece ne aveva risvegliato un altro. E se il primo era morto, l'altro sarebbe stato con sé per il resto della sua vita.

«Okay» ripeté Blaise massaggiandosi le palpebre con l'indice e il pollice. «Non sono sufficientemente strafatto, ma va bene. Andiamo di là, chiamo Pippy per un bel tè e ci rilassiamo.»

Draco annuì brevemente e fece per guardare verso il lavandino, ma il suo amico e lo intercettò e si frappose ancora davanti a lui: «Na-ah. Non guardare ora, aspetta.»

«Che cosa?»

«Tu semplicemente aspetta. Fidati di me.»

Anche se non capì, Draco si limitò ad annuire ancora. Lì dentro, con tutti quei frammenti indemoniati del suo passato, si sarebbe fidato solo di lui, di suo fratello. Si diressero in camera e mentre Blaise chiamava Pippy, Draco si sedette sul suo letto e poi si stese, la nuca poggiata sul bordo, il confine verso il baratro.

Non chiuse gli occhi, temeva di perdersi ancora nell'oscurità dietro le sue palpebre, nella sua mente, di rivivere tutto, di rivedere quegli occhi che erano la sua rovina, ma che lui aveva rischiato di rovinare per sempre. Perciò mantenne lo sguardo sulle sue stelle, quei bagliori immortali, gli unici che riuscivano a spiccare nel buio, che non si perdevano e rimanevano lì immutate, cangianti ed esplosive, diverse e uniche, preziose e inafferrabili, lontane e quasi irreali.

Lei glielo aveva insegnato e le stelle avevano risposto alla sua chiamata, in passato, gli avevano dimostrato che nonostante il vuoto, l'esistenza permaneva. Se c'era luce, c'era vita, in loro come in...

«No» lo richiamò Blaise. «Ora non ti è concesso perderti nei tuoi pensieri. Avanti, ho richiesto la tua miscela preferita con un'aggiunta speciale.»

Draco si sollevò con un respiro, ma non ebbe le forze per alzarsi del tutto e andare alle poltrone per prendere il tè, così rimase a letto e accettò la tazza di porcellana che gli offrì l'amico prima che si sedette affianco, una gamba ripiegata sotto di lui. Fece tintinnare i bordi delle loro tazze, prima di prendere un sorso. E mentre Blaise mormorava un apprezzamento nei confronti delle premure dell'elfa che era sparita prima che Draco si alzasse e aveva lasciato un tavolino colmo di altro tè e piccola pasticceria assortita vicino al letto, anche Draco si avvicinò la tazza alle labbra, riconoscendo immediatamente quell'aroma speziato che gli solleticò le narici e gli riscaldò i sensi, facendogli chiudere brevemente le palpebre.

«Cannella» disse prima di prendere un sorso.

«Sì, fa bene contro la nausea e i disturbi gastroesofagei» Draco sollevò gli occhi su Blaise che inarcò leggermente le sopracciglia. «Per un periodo ho sofferto di acidità di stomaco e reflusso» chiarì. «Quando si tende a trattenere, lo stomaco, dov'è il plesso solare, è il primo organo che subisce più danni.»

«Meditazione babbana?» prese un altro sorso, il dolce sapore della cannella gli scivolava sulla lingua e poi giù, riempiendolo, un tepore mielato che si propagava attraverso il gelo e l'aridità di quella sera.

«Già» annuì e si portò una mano tra lo sterno e l'ombelico. «Qui c'è il terzo Chakra, si chiama Manipura, è l'energia dell'io e della manifestazione personale. Quando è sbilanciato, si hanno questi problemi fisici e comportamentali, come esaltazione dell'ego, presunzione e arroganza esacerbata. Ma anche deprivazione del proprio sé e sottomissione emozionale.»

«Immagino che tu non lo dica tanto per dire» mormorò Draco sul bordo della tazza.

«Stai diventando perspicace» si strinse nelle spalle. «Ma non voglio parlare di meditazione babbana, non ora. Magari lo faremo un'altra volta» Draco annuì arricciando leggermente un angolo delle labbra e bevve ancora, mentre Blaise chiese: «Vogliamo parlare prima di quello che è successo, o della runa? Anche se credo che le due cose siano correlate, perciò parti dal principio.»

Si sentì stringere lo stomaco e costrinse il proprio braccio a muoversi per bere altro tè fino all'ultimo sorso. Quando allontanò la tazza, Blaise gliel'aveva già riempita e lo ringraziò. Lui si limitò a scuotere la testa mentre sceglieva un dolcetto dal vassoio. Rimasero in silenzio per diversi minuti, Blaise in attesa, ma senza farglielo pesare, infatti continuava a occupare quel vuoto che si stava di nuovo propagando con commenti relativi a ciò che stava mangiando, finché Draco, vuotata la seconda tazza di tè, disse: «L'ho lasciata.»

Il moro si bloccò nel morso di un biscotto e sollevò velocemente gli occhi nei suoi, in cerca di un chiarimento.

Così prese un altro respiro e posò la tazza sul comodino prima di abbandonare la schiena contro la spalliera del baldacchino e guardando le mani sane e forti sulle sue gambe, rivisse insieme al suo amico quei momenti prima del suo incubo senza controllo. 

«L'ho trovata a parlare con Goldstein, non volevo origliare» strinse la mascella. «Non del tutto. Ma l'ho sentita ridere, in quel modo che fa con me e lui la provocava, spingeva quei tasti che la fanno illuminare, la curiosità che la caratterizza. Hanno iniziato a parlare di cose babbane che l'hanno entusiasmata e delle loro famiglie, lei non parla a nessuno dei suoi genitori, ma l'ha fatto con lui. E hanno parlato di libri, una cosa sua, ma che ha in comune con lui e lei era sempre più coinvolta.»

Versò tutto, come aveva fatto anche nel gabinetto, ma a differenza di prima, ora erano le sue parole che si rovesciarono inarrestabili, le sue emozioni trapelarono attraverso esse, come faceva Blaise con quella sincerità disarmante, come aveva imparato con lui e con lei. Per tutta la notte raccontò ogni cosa accaduta, anche degli ultimi giorni, degli ultimi mesi con lei, non tralasciando nulla, anche in modo sconnesso, con salti temporali e momenti cristallizzati. Ritornò a quella sera e di come si era sentito nel vederla così tranquilla di parlare di qualsiasi cosa con un altro, di come quello raccontava della sua famiglia senza problemi, senza fantasmi in agguato che rischiavano di far morire le loro parole. Raccontò di come si era sentito morire dentro quando aveva realizzato che lei meritasse quel tipo di tranquillità, a parlare delle cose che le piacevano, che accrescevano la sua formidabile intelligenza, che stimolava la sua curiosità e quanto infine si fosse sentito sprofondato sottoterra nel momento in cui quello si era proteso verso di lei a sufficienza da sfiorarle le labbra, quelle che lei gli aveva negato per tutto il giorno, così per il mese a venire. Raccontò di come le cose fossero degenerate sempre di più, quello che l'aveva sfidato apertamente, che voleva lei e lei che non diceva nulla, non chiariva come stavano le cose, ancora una volta, non ammetteva una semplice verità di quello che erano loro due, rifugiandosi nella scusa che non poteva ancora parlarne. E se non poteva averla come voleva, alla luce del giorno davanti agli occhi di tutti, allora quel loro era inesistente, era come il suo nulla, fitto e oscuro. Allora tanto valeva renderlo reale, il loro niente.

«Io sono così stanco di dovermi nascondere da ogni cosa, da casa mia, qui a scuola, con lei. Non fa altro che inventarsi nuovi sotterfugi, modi per nascondere le cose e sono stufo delle bugie delle persone che mi circondano. Ti voglio bene, Blaise, ma anche tu e Theo l'avete fatto, mi avete mentito e nascosto la verità, anche Pansy, mia madre mi ha nascosto delle verità, mio... la mia vita è tutta un'infinita bugia. E io sono così stanco. Perciò ho chiuso, perché se non la posso avere totalmente, non la voglio affatto, preferisco che stiamo lontani. Perché come si fa a privarsi di qualcosa di così unico, quello che abbiamo, se comunque non lo possiamo vivere totalmente? Ci ho provato, davvero. Ti ho ascoltato, ho cercato quell'equilibrio e un modo solo nostro per evitare fraintendimenti, le sto insegnando a leggere la mente così non ci dobbiamo nascondere e ritirare ogni cinque minuti se dobbiamo scambiarci una parola o un gesto. Ma non è servito, perché continuiamo a fraintenderci, continuiamo a cadere sempre sugli stessi errori.»

E lui era così stanco di ripetere quegli errori, era così stanco di cadere nei fraintendimenti, così stanco di nascondersi, di stare zitto sulle cose che voleva e che avrebbe invece voluto urlare al mondo intero che lei era sua. Non esistevano altre condizioni, non le riusciva a vedere e allora preferiva rinunciarci e l'aveva lasciata. Raccontò il dolore immenso che aveva provato per quella decisione, che era per lui tanto quanto lo era per lei, così non sarebbe stata nemmeno lei costretta a doversi nascondere, a mentire su ciò che erano, così sarebbe stata libera anche di parlare delle cose che lui non affrontava con lei, perché non voleva trascinarla nel suo nulla, in mezzo a quei fantasmi che l'avevano quasi uccisa, che l'avevano derisa e tormentata come aveva fatto anche quel ragazzino per così tanti anni. E quando arrivò all'incubo senza controllo, al modo in cui lei aveva forzato la sua privacy, raccontò di come si fosse sentito ancora una volta controllato, come sotto il suo addestramento dove nessuno aveva chiesto se era giusto quello che Bellatrix e Rodolphus gli avevano fatto, nessuno si era opposto quando l'avevano dilaniato e sbrandellato senza senno. E così lui aveva perso il suo, di senno. Aveva fatto quello che nessuno aveva fatto per lui in passato, perché in quel momento terrificante non c'era lei, ma tutti gli altri, tutti i suoi demoni e fantasmi e aveva distrutto qualsiasi margine di allontanarlo dalla violenza da cui era sfuggito, da cui era sopravvissuto. Era diventato quella nullità che non aveva più valore e che imputridiva la sua casa. Era diventato Lucius. Aveva perso il controllo e le aveva fatto del male dopo averle promesso che non sarebbe più successo. L'aveva spaventata dopo che le aveva garantito che quel Draco Malfoy non si sarebbe più messo in mezzo a loro. Così l'Algiz, la runa protettiva della Granger aveva parlato, ma lei aveva continuato a giustificarlo, come faceva anche sua madre con quella nullità.

Cosa c'era di giusto, in quello? Come si poteva difendere un'azione del genere? Come si faceva a sacrificare sé stessi anche davanti a quello? Quanto poteva essere disonorevole per un uomo che si definiva nobile, spezzare qualsiasi promessa con un'unica azione repentina? Come poteva anche solo pensare di chiedere il perdono per aver perso il controllo?

Blaise lo ascoltò per tutto il tempo in silenzio, osservandolo, annuendo, accigliandosi e scuotendo la testa. E quando terminò, lo guardava ancora e sembrava che stesse ascoltando anche tutto il resto, tutto ciò che non gli aveva mai raccontato in passato, se non a piccoli bocconi sarcastici e strascicati. Ascoltò i silenzi e le sue espressioni facciali, ascoltò la lontananza a cui l'aveva costretto al sesto anno e anche quella dell'anno in cui lui non c'era. Ascoltò tutte quelle domande appena espresse, come quelle che Draco aveva silenziato e ignorato, sotterrato nei substrati della sua mente. Lo ascoltò. Lo sentì e lo vide come solo il suo migliore amico l'aveva sempre sentito e visto. Il suo stronzetto pallido. La spina nel fianco della sua vita. Suo fratello.

Blaise sospirò e versò altro tè per entrambi. E la prima cosa che disse, fu forse la peggiore. «Tu non sei lui, Draco» esordì con una durezza nello sguardo e una solennità nella voce. «Non sei Lucius Malfoy, non lo sei mai stato, anche se da piccoli lo emulavi. Se tu fossi stato lui, tutto quello che è successo negli ultimi anni, non sarebbe mai esistito e io non sarei qui. Theo non sarebbe qui. Hermione non sarebbe qui. Tu non saresti qui. Perché tu sei unicamente quello stronzo di Draco Malfoy.»

Draco fece per scuotere la testa e ribadire di non giustificarlo, ma Blaise non glielo permise.

«Non sto giustificando nulla, non ti sto dando il perdono. Di questo gesto, come di tutto il passato. Hai perso il controllo, perché avevi bisogno di capire che tu non puoi controllare assolutamente nulla. Vuoi che ti dica che è stato ignobile? Non ne hai bisogno, lo sai già da te. Ma ti sei fermato, non per la runa di Hermione e se provi anche solo a dire che non è così, allora sei tu che ti stai giustificando, sei tu che ti stai nascondendo e non ti permetti di perdonarti. Quello che è successo è il risultato di un'energia potenziale che hai accumulato per tutto questo tempo in cui hai dovuto sopprimere te stesso in favore del volere degli altri, i veri assassini e mostri senza controllo. Quello che è successo è la reazione di un uomo spaventato che stava salvando il ragazzino che nessuno ha mai difeso. Io ripugno la violenza, lo sai, ma credimi se ti dico che lo devi accettare, o significa che Theo non si potrà mai perdonare per aver picchiato a botte quella merda di Terry Steeval dopo che ha insultato Hermione, o che io non mi potrò mai perdonare per quello che ho fatto a mia madre due mesi dopo che siamo scappati» sospirò e chiuse gli occhi un secondo, le spalle ricurve mentre attorcigliava un fazzoletto tra le dita.

«Era appena giunta la voce che era morta la mamma di Theo, che lui era lì. Era la prima notizia che avevo di lui dopo settimane di silenzio e paura e vergogna per essermene andato in quella maniera. Volevo ritornare a casa, volevo ritornare da Theo, ma mia madre si è frapposta e ho avuto un'esplosione di rabbia, ho distrutto il salotto e alcuni frammenti di vetro l'hanno ferita. La mia rabbia le ha fatto del male, tutto ciò che ho soppresso per mesi, ha rischiato di togliermi l'ultimo brandello di sanità mentale che mi era rimasta. È dopo questo episodio che ho iniziato a leggere di meditazione babbana. Mi ha insegnato a perdonarmi, a perdonare anche mia madre per avermi negato di rimanere e ritornare qui» sollevò lo sguardo su di lui, una risolutezza che lo assoggettò. «Le nostre vite fanno schifo, il nostro passato è un'accozzaglia di merda e merde che ci hanno spinto a sopprimere ogni infinitesima parte di noi stessi, in favore di cosa? Della purezza, della tradizione, della sottomissione a regole imposte da una società che altrimenti vorrebbe me e Theo e Pansy morti, e chissà quanti altri.

«Sabato sera mi hai chiesto come faccio a sopportare di dovermi nascondere per vivermi la mia storia d'amore. Io non lo sopporto, anche io sono stanco, anche io non tollero più di essere ancora controllato da una società che non mi accetta. Per essere quello che sono, per amare con tutto me stesso la persona che mi rende libero. Ho ancora voglia di spaccare il mondo per questo? Certo che sì. Vorrei sterminare ogni singola famiglia purosangue che mi nega la possibilità di prendere per mano il mio fidanzato quando passeggio per i corridoi della scuola o per gli ambienti che abbiamo frequentato sin da quando siamo bambini. L'unico motivo per cui non lo faccio è per quella stessa libertà che altrimenti non sentirei quando sono con lui, quando parlo con mia madre o quando sono con te. Voi siete le uniche persone di cui m'interessa, perché io vivo con voi per voi. E questa consapevolezza, questa libertà, mi ha portato a perdonare anche loro, quei bigotti che mi vogliono morto, per questa società di merda che prima o poi morirà appassita dalle loro stesse regole contraddittorie, morirà con la sua violenza. E quando questo incubo terminerà, io starò lì a guardare e a brindare sulle loro carcasse avvizzite e brinderò con voi, perché siete gli unici di cui m'interesserà continuare a vivere la mia libertà senza più alcun controllo da parte loro.

«Ma ora tu ti devi perdonare, o quello che hai fatto fino a questo momento, quello che sei diventato, cadrà di nuovo nel nulla in cui ti sei costretto per colpa degli altri. Oltre al fatto che ora hai una runa che non ti darà più scampo. Inguz ti ha riconosciuto, ti ha accettato, ha visto quello che hai fatto nella tua vita e ti ha assolto nel momento in cui te la sei impressa sulla pelle, o non saresti sopravvissuto. Mi spieghi come cazzo ti è venuto in mente di fartela?»

«Hermione l'ha scelta per me» sussurrò abbassando lo sguardo sul polso sinistro, la runa che continuava a brillare, un rombo luminoso che affrontava come uno scudo in battaglia la testa del serpente di morte che si allungava sull'avambraccio. «Le ho chiesto di farmela dopo che le ho mostrato il Marchio Nero. Volevo qualcosa che mi avvicinasse ancora di più a lei, non sapevo che sarebbe accaduto tutto questo, che cosa significa?»

Blaise sbuffò e si alzò dal letto iniziando a camminare per la stanza.

«Certo che non lo sapevi» disse scuotendo la testa dopo il primo giro. «Mia madre mi ha detto che questa è una delle rune più potenti sull'accettazione del proprio percorso evolutivo, dell'io puro. Ti mette davanti alle tue scelte, a quello in cui hai creduto e che hai abbandonato in favore degli altri, per proteggerli. È la runa della trasformazione spirituale, rifiuti il vecchio, per accettare il nuovo. Se in passato hai avuto dei dubbi sul tuo comportamento, o sull'insegnamento che ti hanno imposto, la runa ti ha caricato di quella stessa energia potenziale che continuavi a soffocare. Ma ha riconosciuto il tuo cambiamento, ha riconosciuto quello che hai fatto per gli altri, cosa hai sacrificato e stasera, guarendoti, ha perdonato anche il tuo gesto, perché sa che non hai agito per attaccare, ma per difendere te. È terribilmente complessa e pericolosa e dannato Brahma, Draco, se quella ragazza ha visto tutto questo e te l'ha fatta consapevolmente, oltre al fatto che ti ha esposto ad un pericolo mortale, se non avesse funzionato, ha una fiducia in te che non dovresti mai dubitare. È una pazza sconsiderata» sogghignò Blaise scuotendo ancora il capo allibito. «Ma è stata brillante. Davvero geniale.»

«Lo so, glielo ripeto da po' che è una pazza» mormorò.

Ecco, che l'avrebbe messo in pericolo quello non glielo aveva accennato. Di nuovo. Ma valutò tutto quello che si erano detti finora, valutò quella fiducia di cui parlava Blaise e che Godrick venisse dannato, ora era sicuro che quella fiducia non esisteva più. Non solo per quel gesto repentino, ma per ciò che lui aveva fatto e detto prima. La sua gelosia l'aveva accecato totalmente.

Alla fine Blaise si avvicinò al suo comodino ed estrasse uno spinello che accese con un colpo di bacchetta. Prese un lungo tiro ed espirò una fitta nuvola voluttuosa di fumo che lo circondò. Ed osservando la sagoma dell'amico avvolta nella nebbia assuefacente, aggiunse: «Come posso controllare la mia gelosia? Come posso evitare di deluderla ogni volta che quella molla scatta quando la vedo parlare con quel Corvonero o guarda gli altri?»

Blaise emerse dopo qualche secondo con un sopracciglio alzato, lo spinello lasciato sul posacenere a bruciare da solo come un bastoncino d'incenso. Si sedette di nuovo sul letto e si stese allungando i piedi vicino al suo fianco destro, la testa poggiata sulle braccia ripiegate, mentre osservava le stelle sul soffitto del baldacchino. «Ancora, non puoi controllarla, perché sei terribilmente viziato e possessivo. Ma è umano, Draco, l'unica cosa che puoi fare è non farglielo pesare e ti devi ricordare che tu non la possiedi, ma le appartieni, come lei appartiene a te. C'è una bella differenza. Questo è un altro tipo di lavoro che dovrai fare su te stesso, e cortesemente, non mettete in mezzo altre rune. Inoltre, tutta questa intensità è fomentata dal fatto che voi non siete ancora andati a letto insieme.»

Draco si rilassò anche lui scivolando in basso, la testa sul cuscino e lo sguardo verso le stelle che osservavano dall'alto quei due amici che parlavano della loro umanità, come le stelle che circondavano e assistevano ai cambiamenti, agli sbagli e alle imprese eroiche del mondo.

«Sul serio» riprese Blaise. «Non capisco perché vi siate complicati così la vita, va bene giocare per mantenere la vivacità e tutto il resto, ma così vi state caricando come dei bolidi. Perché aspettare? Le hai fatto vedere il Marchio e okay che tu non scopi da un pezzo e hai paura di fare cilecca, ma così rischiate di bruciarvi ed estinguervi solo tenendo un fiammifero in mano.»

«Volevo fare le cose come si deve. Nel modo giusto.»

«Come si deve, cosa?» sogghignò lui. «Non c'è un modo giusto o sbagliato per due persone che si vogliono, adulte e consensuali. Non dovevi fermarti venerdì, se lo volevi, se lo voleva lei. Come credi che sia iniziata tra me e Theo?»

Draco premette le labbra e si accigliò osservando le stelle. «Non credo di volerlo sapere, sono fatti vostri.»

«Oh, ma dai, cresci un po'. Devi sapere come è iniziata tra papà e papà» lo spintonò col ginocchio sul braccio. «Quando ho capito attraverso l'Amortensia che volevo Theo, dopo la prima lezione di Lumacorno al sesto anno, quello stesso giorno, mentre tutti andavano a pranzo, l'ho attirato nello sgabuzzino nella Sala dei Trofei per dirglielo» ridacchiò e Draco fu tentato di coprirsi le orecchie. «Ma quando me lo sono trovato davanti, così vicino, quegli occhi che mi guardavano con curiosità e attesa, avevo una fifa tale che non ho proferito parola, semplicemente gli ho afferrato il volto e gli ho ficcato la lingua in bocca.» Oh, no, ti prego, Salazar. «E quando lui ha ricambiato» continuò con un sorriso nella voce che doveva essere enorme sul volto, trasferendo un'emozione che alla fine fece sorridere anche Draco, solo un pochino, soverchiato totalmente dall'imbarazzo, «ero talmente euforico che mi sono inginocchiato, gli ho sbottonato i pantaloni e...»

«No...» mormorò nascondendo il volto sotto il braccio, ma lui continuò imperterrito «E subito dopo che l'ho fatto venire, mi sono alzato, l'ho girato faccia e muro, e a quel punto sono stato io a sbottonarmi i pantaloni.»

«Oh, Salazar!» sbottò sfilandosi il cuscino da sotto la testa e lanciandolo contro la faccia del suo migliore amico, che scoppiò a ridere. «Hai stuprato mio fratello, bestia!»

Quella era un'immagine che non si sarebbe mai tolto dalla testa. Altro che sguardi rubati o bacetti casti, quella era una bestia pervertita!

«E vuoi sapere in tutto ciò quanto sono durato io? Un minuto.»

A quel punto fu Draco a scoppiare a ridere, una risata che gli risalì dallo stomaco, cicatrizzando tutto ciò di cui si era liberato nel bagno, che in quegli anni lo avevano corroso dall'interno. Rise e lo derise fino alle lacrime, come gli amici lo avevano deriso il giorno prima, quando avevano fatto quella scoperta sulla sua venuta nei pantaloni durante quello che aveva fatto nella fontana delle carpe. E Blaise rise insieme a lui, dopo tutte quelle parole che si erano scambiati e avevano entrambi versato su quel letto e dopo minuti a ridere come dei ragazzini, Blaise aggiunse: «È stato il minuto più lungo e bello della mia vita, l'ho amato e da allora non ho mai più smesso di farlo. Non ho più smesso di sentirmi libero. Anche lì sono stato senza controllo, eppure a Theo non è dispiaciuto affatto, anzi, la volta successiva è stato lui a cercarmi. Quella sera stessa, per la precisione.»

Il sorriso di Draco si affievolì e scosse la testa: «Non è la stessa cosa. Tu non gli hai mai fatto del male, siete sempre stati amici. Entrambi purosangue. Stessa Casa, stessa ideologia. Siete cresciuti insieme, vi siete aiutati e vi siete liberati insieme. Con lei...»

«Con lei è una storia diversa. L'hai detto, non è la stessa cosa» s'interpose. «È una storia fatta di guerre tra i corridoi e ideologie originariamente opposte, eravate nemici, un purosangue e una nata babbana, siete in due Case differenti. Ma anche voi in un certo senso siete cresciuti insieme e di sicuro vi siete liberati insieme. Perché credimi, lei adesso non è la stessa Hermione che ho trovato in quel corridoio mentre accarezzava il mio Theo, non è la stessa che si intristiva nei suoi pensieri durante le lezioni di yoga. Non è più quella ragazza che non sapeva nemmeno cosa significasse essere spensierata. Le hai dato tanto, come lei ha dato tanto a te. Riconosciti il fatto che hai reso felice Hermione Granger, stronzetto. Sei il suo guerriero, ora.»

«Non sono più suo» sussurrò.

«Oh, non ricominciare!» sbottò Blaise alzandosi e restituendogli il colpo col cuscino. «Ti giuro che se la lasci, la prendo sul personale.»

«L'ho già lasciata» sospirò sollevandosi anche lui, mise da parte il cuscino e portò i piedi sul pavimento. «Ci credo davvero a quello che mi hai detto, ho capito tutto. Ma ho bisogno di sapere che lei sarà al sicuro.»

«Ti stai ancora controllando, Draco. E sinceramente, parlo per esperienza, non puoi lasciarla per questo» disse lanciandogli un'occhiata obliqua. «Soffrirete entrambi.»

And I am done with my graceless heart

So tonight I'm gonna cut it out and then restart

'Cause I like to keep my issues drawn

Ma ormai Draco aveva smesso di ascoltarlo e si era alzato dirigendosi in bagno. Per un attimo, avanzando oltre la porta, rivide una scena familiare, ma diversa. Rivide sé stesso entrare trovando Theo sul pavimento mentre abbracciava il gabinetto, il pavimento disseminato di vomito e alcol, le sue colpe e le sue vergogne, i suoi tormenti e le sue responsabilità di aver lasciato Blaise per non vederlo soffrire per lui, mentre ora c'era l'ombra del suo fantasma inginocchiato davanti alla tazza di ceramica, c'erano le sue colpe e le sue vergogne, i suoi demoni sbrindellati in pezzi di vetro che riflettevano i mille volti di quell'anima soppressa, il suo sangue sparso un po' ovunque sulle piastrelle del pavimento, nel lavandino, sul muro, il prodotto di un'arte emozionale, la sua rabbia dipinta, il tentativo di allontanare dalla sua vita tutti quegli assassini che gli avevano macchiato l'esistenza.

Della musica partì dalla camera e Draco fece per voltarsi e ritornare da Blaise, capire come avesse avviato quella canzone composta di bassi e organi, tamburi martellanti, una voce di una donna che si riverberava nell'ambiente, potente e vibrante, come se comandasse l'aria e scuotesse la terra, rivoltava gli oceani e appiccava incendi, allora sollevò lo sguardo e si bloccò davanti quello specchio ridotto a un mosaico astratto, il caleidoscopio di una vita di bugie e folli criminali. Tra il sangue che non era puro, ma era solo sangue e certamente non era quello di un assassino, rivide ancora quel Draco Malfoy e solo lì capì interamente cosa gli aveva detto prima Blaise.

Quel Draco Malfoy sarebbe sempre rimasto con lui, non poteva scrollarselo di dosso, come non poteva ucciderlo a colpi in faccia, non lo esorcizzava con una runa, come non lo vomitava in un gabinetto. Era lì con lui, era lui. Lo doveva perdonare, si doveva perdonare. Perché era l'unico con cui avrebbe vissuto per il resto della sua vita, anche in quella nuova vita di ex Mangiamorte, in quel viaggio che aveva intrapreso nudo con un solo mantello a coprirgli le chiappe, come un guerriero idiota pronto a battagliare per salvare le persone che amava. E in un certo senso gli piacque quell'immagine, lo faceva sperare e lo scuoteva dall'interno, gli faceva vibrare le ossa come la sera prima quando aveva ricevuto la sua runa, quando Inguz l'aveva riconosciuto prima che lo capisse lui, come l'aveva capito anche Hermione Granger quando l'aveva scelto per lui.

Fu allora che Draco Malfoy riconobbe la sua runa e questa smise di brillare, cessò di parlare, diventando una semplice lettera antica, ma che gli avrebbe ricordato per sempre il suo ruolo in quel mondo nuovo che credeva di non meritare e comprese cosa doveva fare con lei, per lei.

Perciò tornò in camera da Blaise e lo trovò ballare in mezzo alla stanza ad occhi chiusi. Non andava a ritmo di musica, sembrava quasi un primate con quelle braccia lunghe che agitava in aria o faceva dondolare intorno ai fianchi, scuoteva le spalle e ruotava il bacino in modo incoerente, quasi senza controllo, ma c'era una confidenza nei suoi movimenti che lo indussero a osservarlo, ad ammirarlo e a fargli capire che nonostante dovesse nascondersi per salvarsi, lui lì dentro rimaneva sovrano della sua vita dove nessuno gli avrebbe tolto la libertà.

Nemmeno lo stronzetto pallido che era quando lo perculò. Perché Draco era suo fratello, la sua spina nel fianco. Lo insultava, lo capiva, lo assecondava, lo difendeva e lo proteggeva, lo rimproverava, lo ascoltava, lo consigliava, lo seguiva, lo cercava e lo sbeffeggiava. Anche lui si era allontanato, ma Draco lo aveva perdonato. Erano una famiglia, quella che si erano scelti, perché in mezzo a quell'accozzaglia di merda del loro passato, loro non avevano mai smesso davvero di vivere, non se erano insieme.

«Grazie, Blaise.»

«Fottiti, stronzetto» mormorò rimanendo ad occhi chiusi.

Draco sorrise appena e prese un lungo respiro, incanalando tutto quel coraggio che gli occorreva per spezzare un ciclo e ricominciarne un altro.

«Voglio parlarle, adesso» disse. Blaise interruppe il balletto scoordinato e si avvicinò al suo baule dove aveva poggiato una scatola rettangolare, sicuramente babbana, con due reti alle estremità e dei bottoni al centro, di cui ne spinse uno e una musica mitigata si librò nell'aria. «Dici che Theo l'ha trovata?»

«Di sicuro, o sarebbe ritornato in camera» rispose sedendosi sul letto e accendendo di nuovo lo spinello lasciato nel posacenere, prendendo un tiro. «Saggia scelta, comunque. Vai in camera sua?»

«Preferirei nell'Aula Venti. Puoi inviarle un messaggio?»

Sapeva che Blaise poteva eseguire un Patronus, ma non glielo aveva mai visto fare. E scoppiò di nuovo a ridere quando il moro evocò il suo Patronus messaggero, rivelando un orango tango, come quel primate danzante che aveva trovato un attimo prima. Ora sapeva assolutamente a che tipo di bestia associarla.

«Sai già cosa dirle?» chiese quando il suo orango sparì oltre la porta.

«Immagino che improvviserò» si spogliò della camicia sporca di sangue, non voleva né intimorirla, né farla preoccupare ulteriormente e ne indossò un'altra pulita. «Tanto con lei non posso controllare un bel niente.»

«Allora confido per voi in una bella sveltina senza controllo.»

Draco sogghignò e scosse la testa. Si diresse verso la porta, un passo alla volta, davanti a sé si aprì il corridoio dei dormitori, poi la sala comune vuota e silenziosa, ma non era come il nulla che sentiva prima, era quiete, una sospensione del tempo. Le acque del Lago erano oscure nella notte, ma lentamente s'intravidero le alghe del fondale volteggiare indisturbate, danzatrici che si liberavano illuminate dalle prime luci dell'alba.

And I'm damned if I do and I'm damned if I don't

So here's to drinks in the dark at the end of my road

And I'm ready to suffer and I'm ready to hope

It's always darkest before the dawn





Ecco qui!

La violenza non si giustifica, mai. Non per rabbia o gelosia. Non per possessione o fallimento. La violenza è violenza e io ho voluto mostrarla per quella che è. Ne ho parlato nel modo sbagliato? Di sicuro, perché ognuno l'ha vissuta e vive e vivrà nel modo sbagliato. Perché la violenza è sbagliata, ma è anche insita nell'essere umano. E giacché io cerco di mostrate i personaggi nella loro totale umanità, l'ho affrontata attraverso questi personaggi che mi fanno ridere e piangere e che continuano a sbagliare tracciando il percorso dei loro viaggi.

In questo capitolo dovevo inserire un punto di vista di Hermione più lungo, ma ho pensato che sarebbe stato meglio far emergere di più Draco, specialmente per tutto quello che doveva buttare. Il prossimo sarà interamente suo.

I versi che spuntano vengono dalla canzone "Shake it out" dei Florence and the Machine. Una delle mie canzoni preferite e che spesso ascolto con le orecchie del mio stronzetto pallido. Ed è anche la canzone che avvia Blaise quando si mette a ballare. La mia scimmia danzante.

Voglio dedicare questo capitolo alle mie amiche e a mia cugina, che sono quelle persone che mi è stato permesso scegliere in una vita che è del tutto casuale. Lo dedico a loro, perché tranne quando sono da sola a ballare nella mia libertà, sono quelle persone che mi capiscono e mi accettano anche quando non parlo con loro, che comprendono le mie lacrime e le mie risate, le parolacce random, come i discorsi esistenziali o quelli sui ragazzi. Non sottovalutate mai la forza delle persone che scegliete, sono sempre quelle che riscaldano il cuore.

E dopo queste sviolinate che fanno venire il latte alle ginocchia, voglio ringraziarvi per aver letto, votato e aggiunto negli elenchi di lettura. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.

Alla prossima.

Bisous.

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