La Guerra degli Dei - La Pres...

Oleh Letizia_Writer

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Quando la madre di Selene si ammalò, ella si dedicò con anima e corpo a prendersene cura, determinata a non p... Lebih Banyak

Introduzione/Cast
Prologo
Il Patto degli Antichi
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Oleh Letizia_Writer

I passi procedevano cauti, come in un lento e sinuoso ballo. L'aria pesante trottolava nel vento e stringeva la gola in una presa ferrea, mancando il fiato. Il cielo, buio e tempestoso, calava sulla nuca di tutti come un'ombra minacciosa. Il silenzio era assordante, gli occhi fissi sulla bara, sorretta dai funzionari incaricati del trasporto verso la tomba.

Selene non versò una lacrima. I suoi occhi erano spenti, inghiottiti da un odio puro e rabbioso che teneva prigioniero il suo dispiacere. Non avrebbe permesso a lui di vedere il suo dolore, nemmeno dopo la sua morte. Non lo meritava.

Se solo avesse voluto, avrebbe potuto essere l'uomo più buono e gentile tra tutti. Invece, si lasciò trascinare da un'oscurità perversa che lo trasformò in un mostro, un essere spietato e privo di cuore.

Quando trovarono il corpo, mangiato e sgozzato nella foresta accanto al fiume, non batté ciglio, non mosse un dito, non prese fiato. Non le provocò alcuna reazione, tranne che per i sensi di colpa. Selene provò un certo sollievo quando dissero che era morto. Le cicatrici che portava sarebbero rimaste solo un ricordo lontano, e le parole agghiaccianti e crudeli sarebbero rimaste confinate in un angolo buio della sua mente.

Continuò a seguire i funzionari, avanzando lentamente. La sua attenzione, nonostante il suo caldo desiderio di scappare, era rivolta al legno dorato della bara, che lo rinchiudeva. Il suo abito, di un bianco latte e con i ricami dorati, strisciava sulla neve umida, insinuandosi e rabbrividendo la pelle.

I diamanti di ghiaccio che presero il posto dei suoi occhi, caddero sulla madre, Semyona, che silenziosamente le rivolse un'occhiata fugace, tirando su col naso. Rispetto a Selene sua madre, era più brava nel fingere di provare dolore, o forse, erano solo delle lacrime di gioia che vedeva macchiare la sua pelle pallida.

Semyona le prese la mano, stringendo le dita sottili nelle sue, cercando di darle conforto, ma Selene non ne aveva bisogno. Non lo voleva.

Le parole e i gesti erano superflui eppure era lei che voleva trovare un modo per rasserenare sua madre, di dirle che il mondo senza di lui sarebbe diventato un posto migliore, ma ogni parola che avrebbe permesso di uscire dalla sua bocca sarebbe stata inutile.

Tuttavia, si ostinò a stringerle solo la mano. Si scambiarono un flebile ma forte sorriso.

Poco dopo, giunsero al cimitero, dove ogni defunto aveva il proprio piccolo tempio e dove avrebbe trovato riposo murato al suo interno. La bara venne collocata nel luogo designato, e tutti si prepararono per ascoltare il Predicatore mentre iniziava la Preghiera.

Con voce calda e pacata, l'anziano parlò: «Gli Dei, con la loro grazia e saggezza, hanno benedetto Brice Diorshwa con un profondo sonno, un sonno che ci porta ad abbracciare l'eternità con il cuore carico di speranza e riflessione.»

Selene sforzò di non storcere il naso. La voce del Predicatore sembrava una beffa, poiché sapeva che le "benedizioni" di suo padre erano state tutto fuorché un sonno tranquillo.

Le virtù, i valori e le gesta di Brice Diorshwa, vennero annunciate dall'anziano come un testo imparato a memoria. E non c'era nulla di più falso in tali parole.

Brice non aveva nessuna di quelle qualità elencate, ma solo violenza. Era capace di spezzare i cuori di chi gli era vicino, senza un briciolo di rimorso.

Selene si sentiva prigioniera di quella verità maledetta, un segreto che doveva essere custodito gelosamente per proteggere l'immagine di suo padre agli occhi degli altri. Ma quella maschera di gentilezza e affetto che indossava in pubblico si sgretolava per lasciar spazio all'orrore della sua vera natura una volta entrata in casa.

L'anziano continuava ignaro il suo discorso e lei si isolava sempre di più.

Sentiva i dubbi, le domande e le curiosità degli altri addosso e sapeva che si stavano chiedendo perché non scorresse dai suoi occhi nessuna lacrima o perché il suo volto non celasse alcuna espressione. Ma non sapevano che le lacrime che non riusciva a versare all'esterno erano come un fiume impetuoso all'interno, e il suo cuore era imprigionato in una gabbia.

Non aspettò la fine, non ce la faceva.

Delicatamente, lasciò la mano della madre, che teneva stretta, e camminò via, ignorando gli occhi curiosi e confusi sulla schiena.

Con il fiato pesante e la testa bassa, Selene camminò per le vie del cimitero, superando tombe e lapidi e calpestando la neve ghiacciata sotto i suoi scarponi, che al contrario dell'abito, erano vecchi e rovinati. Ogni passo era un peso sulla sua anima, mentre il dolore e l'ira continuavano a bruciare dentro di lei, senza via d'uscita.

Dopo la Guerra degli Dei, i morti si erano moltiplicati, e il cimitero ne era ormai colmo. Molti di loro erano ancora nella Casa del Silenzio, in attesa che altri tempi permettessero di costruire nuovi sepolcri. Tuttavia, mio padre aveva pensato bene di comprarne uno, come se sapesse che quel privilegio gli sarebbe stato utile, e così fu.

La luna, coperta da un velo bianco di nuvole, seguiva Selene ovunque andasse, mentre si allontanava sempre di più finché il suono della voce del Predicatore non sparì. Si sentiva soffocare, i ricordi di suo padre si agitavano come fantasmi nella sua mente.

Il cimitero si trovava su una montagna, che offriva una vista su tutta Alacanthe, alcune colline ricoperte dalla neve come zucchero a velo che la circondavano e i villaggi vicini. Si poteva persino vedere il mare oltre di essi.

Selene si sedette a terra, ignorando l'umidità sotto il suo abito, con la testa posata contro un pino, lo sguardo rivolto verso l'orizzonte e il canto delle cicale a farle compagnia.

Fu lì, da sola, al buio, che luna lacrima solitaria le percorse la guancia. Quel giorno avrebbe dovuto essere un giorno di liberazione, di pace, ed era così, ma era furiosa. Colma d'ira perché avrebbe dovuto essere felice, perché non ci sarebbe stato alcun bisogno di descrivere quella giornata come una liberazione se non fosse stato un mostro.

Tuttavia, qualcosa di buono le aveva donato: la musica. Era stato lui a insegnarle a suonare, più precisamente il violino e il pianoforte. Era in quei momenti che si trasformava nel padre che desiderava. Forse era per quel motivo che molte volte lo perdonava quando le faceva male. Diceva a se stessa che non era così, che non era una bestia, ma solo un uomo complicato.

Un ricordo in particolare era impresso nella memoria di Selene in modo indelebile: il momento in cui finalmente riuscì a suonare un intero brano per la prima volta. Era stata una delle sue sfide più grandi, ma suo padre aveva creduto in lei più di quanto avesse fatto lei stessa.

***

Quella voce, così dolce e premurosa, risuonava come una carezza delicata mentre Selene cercava di tenere saldo l'archetto del violino con le sue piccole manine e lo passava sulle corde tese. Dopo numerosi tentativi e fallimenti, finalmente riuscì a produrre la musica sullo spartito senza errori.

Il suono vibrante e puro che emerse dalle corde la riempì di gioia e soddisfazione. Guardò suo padre con occhi scintillanti di eccitazione, mentre il suo sorriso orgoglioso illuminava il suo viso.

«Ci sono riuscita!» esclamò entusiasta.

«Ero certo che ce l'avresti fatta», le scompigliò i capelli sotto la sua risata.

Selene posò il violino sul tavolo di legno della cucina e lo abbracciò.

«Grazie grazie grazie!» era così felice che lui l'avesse insegnato a suonare.

Sin da quando aveva tre anni, lo vedeva mentre suonava con le sue abili dita il violino. Voleva essere brava quanto lui, avere quella magia tra le mani che rincuorava gli animi delle persone e il suo. Che portava gioia, allegria nei petti e a volte, anche un po' di tristezza.

Ma era la tristezza più armoniosa che avesse mai provato.

Brice rise, stringendo forte Selene. Poi si staccarono e le pizzicò il naso piccolo tra l'indice e il pollice, procurandole una smorfia.

«Se ti impegni con amore e devozione, riuscirai in qualsiasi cosa», disse con convinzione.

«Papà, sei il maestro più straordinario che abbia mai conosciuto», rispose Selene sorridendo.

Gli occhi del padre si illuminarono. «Le tue parole mi rincuorano, figlia mia. Ringrazio ogni mattina gli Dei per avermi donato te», le sorrise, accarezzandole il viso. Selene lo abbracciò una seconda volta, nascondendo il viso sul suo petto e sentendo il battito del suo cuore.

«Ricorda, bambina mia, la musica è l'essenza stessa dell'umanità. Anche l'animo più oscuro e solitario può trovare conforto e guarigione attraverso di essa», disse con fermezza.

Le sue parole risuonarono nella mente di Selene.

«Non lasciare a niente e a nessuno di portartela via», le baciò il capo, mentre lei si godeva il suo calore.

«Non lo farò, papà», promise con determinazione.

***

Come poteva essere due persone così diverse?

Poco tempo dopo, arrivò il primo schiaffo. La causa era un bicchiere caduto. Da lì in avanti, gli schiaffi diventarono sempre più frequenti e intensi. Si ritrovò intrappolata in una gabbia, incapace di trovare una via d'uscita. Provò a nascondere le cicatrici, la sua sofferenza, ma sapeva di non poter nascondere la verità a se stessa.

Giorni prima della sua morte, accadde l'incidente più terribile. Si ritrovò in una pozza del suo stesso sangue, segnata dalla sua violenza.

Inutile dire che non si azzardò più a suonare. Era diventato una costante fonte di dolore e ambiguità, un legame con il passato che non voleva più alimentare. L'amore beffardo che suo padre sembrava donarle attraverso la musica era troppo difficile da sopportare.

Rinchiudere il violino nella cassaforte e coprire il pianoforte con un telo impolverato era simbolicamente come mettere un sigillo. Era un modo per proteggersi, per mettere fine a quel capitolo doloroso della sua vita.

Il cielo nuvoloso sembrava avvolgerla come una calda coperta, ma dalla quale non sentì alcun calore.

Con il dorso asciugò la lacrima che stava graffiando la sua pelle, deglutendo il groppo che le tagliò la gola come una lama tagliente.

Selene cercò di rilassarsi in quella dolce e lenta armonia che la notte le concedeva, lasciandosi trasportare da quel silenzio. Non le inquietava il fatto che i morti la circondassero, anzi. Finalmente aveva intorno a sé persone che per la prima volta non avevano nulla da dire.

Abbassò le palpebre, sentendo la stanchezza dei preparativi della funzione e il peso del passato schiacciarla come un chicco d'uva.

Ma poi dei rumori insoliti, non molto lontani, la fecero scattare. Aprì bene gli occhi, immobilizzandosi contro il tronco dell'albero. Una sensazione pungente le bucava il profilo del viso, facendola rabbrividire.

Non era sola.

Credette che fosse sua madre, venuta a cercarla e a dirle che la funzione era finita, ma lei non era da nessuna parte. I suoi occhi scrutarono ogni angolo deserto che aveva intorno, fermandosi nell'oscurità degli alberi fitti. Rimase immobile, attenta e scaltra, pronta a scappare se necessario.

Altri rumori ovattati riecheggiarono e fu certa che provenissero da lì. Lentamente si alzò, impugnando un ramo spezzato e bagnato dalla neve che raccolse da terra. Non era granché come arma, ma meglio di niente.

Il battito del suo cuore accelerò nel petto, e il respiro divenne affannato. Temeva che potesse essere un lupo o un orso. Spesso, a quegli animali venivano attribuite colpe anche per la morte di persone, come era successo a suo padre. Ma se davvero fossero stati loro, sarebbe stata pronta a difendersi. Non avrebbe permesso a nessuno di ucciderla, né tantomeno di morire come lui.

Selene indietreggiò a passo di formica. Sobbalzò quando un ringhio furioso ruggì dal buio. L'animale si stava avvicinando, lei lo percepiva, lo sentiva. Un ciuffo di capelli corvini le ricadde davanti al viso dall'acconciatura stretta e alta che sua madre le aveva fatto. Strinse ancora più forte il ramo, bucandosi la pelle, e arretrò ancora, cercando di tenere il controllo della paura che le stringeva la gola.

Udiva i suoi ringhi rabbiosi e il suo respiro pesante. Stava per uscire dalla penombra, stava per farsi vedere. Continuò a indietreggiare, terrorizzata. Temeva che se avesse cominciato a correre, l'animale l'avrebbe seguita. La sua unica possibilità era quella di restare calma e trovare un modo per allontanarsi.

Il cuore le martellava nelle orecchie mentre cercava di rallentare il respiro per non far sentire la sua presenza all'animale. Mantenendo lo sguardo fisso nel buio, cercava di percepire il più possibile i suoi movimenti.

Sentiva le goccioline di sudore colarle giù per la fronte, la tensione e la paura crescere in modo immensurabile.

Doveva andarsene.

Si voltò, camminando con furore e con l'adrenalina che scorreva come una cascata nelle sue vene, ma la sua veloce camminata ebbe presto termine quando davanti ritrovò sua madre, a pochi passi di distanza.

«Selene! Cosa stai facendo qui tutta sola?» chiese preoccupata. «Vieni, andiamo a casa.»

Cercando di nascondere la paura che ancora la tormentava, annuì.

Con passo incerto, si avvicinò nella sua direzione, con le gambe tremolanti.
Ma non riuscì a controllare la tentazione e si voltò un'ultima volta, scorgendo qualcosa che mosse il suo cuore.

Due punti luminosi e splendenti brillavano di luce propria, contrastando l'oscurità che li circondava. Il suo corpo si paralizzò nel momento esatto in cui si rese conto che quei punti erano occhi e non di animale e che stavano guardando dritti nei suoi.

«Selene» la richiamò sua madre.

Con la stessa velocità con la quale erano comparsi, essi scomparvero, facendole tirare un sospiro di sollievo, anche se la sensazione agonizzante che attanagliava la sua gola, quasi impedendole di respirare, non andò via.
Tornò a concentrarsi su sua madre, la quale era rimasta a guardare nella sua stessa direzione, con la fronte aggrottata e le labbra separate. Lo sgomento e la paura irradiavano il suo volto.

Aveva visto, proprio come lei.

La sua mano, afferrò in fretta il suo polso, non lasciandole il tempo di domandarle cosa fossero quegli occhi.

«Andiamo via subito» sentenziò con frenesia.

I suoi piedi vennero trascinati a terra e il ramo umido venne abbandonato, mentre alle sue spalle, nonostante sembrassero essere scomparsi, percepiva ancora il loro sguardo pungente e l'agitazione di sua madre che non accennava a voltarsi indietro, percorrendo la strada che conduceva la loro casa.



***

È con grande gioia che annuncio la pubblicazione del primo capitolo! Vi invito cordialmente a leggerlo e lasciare un commento. Non dimenticate di seguirmi sui miei altri social per rimanere sempre aggiornati sulle mie ultime novità!

Tanti saluti dalla vostra Letizia😘

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