Mexican Standoff

By Petite_Poissonne

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Draco credeva che dopo la caduta del Signore Oscuro e l'ignominia di cui si era macchiata la sua famiglia, av... More

1. Un incarico per Hermione Granger - Parte 1
1. Un incarico per Hermione Granger - Parte 2
2. Partenze e Inizi
3. Il canto dei bambini in guerra - Parte 1
4. Il canto dei bambini in guerra - Parte 2
5. Non si toccano gli appunti di Hermione Granger
6. Un'ombra tra luce e oscurità
7. Un passo alla volta
8. La Ragazza che è Sopravvissuta
9. Disincanto Patronus
10. Malfoy Manor
11. Come soldati giocattolo
12. Sono solo parole
13. Non sono solo parole
14. Mattone dopo mattone
15. Esasperante Cameratismo Grifondoro
16. Qualcosa di rosso, Qualcosa di bello, Qualcosa di sbagliato
17. Un pensiero fisso
19. L'imprevedibilità dei viaggi
20. Di bene in...?
21. La Ragazza d'Oro-Nero
22. Il Battesimo
23. Intersezioni
24. Il loro posto
25. Un gioco da pazzi
26. La distanza tra credere e sapere
27. Bugie e verità
28. Per lei
29. Per lui
30. Corsi e ricorsi storici - Parte 1
31. Corsi e ricorsi storici (Tutto per loro) - Parte 2
AVVISO!
32. Gelosie - Parte 1
33. Gelosie - Parte 2
34. Scelte - Parte 1
34. Scelte - Parte 2
35. Azione e reazione
36. Incubo senza controllo
37. Domande e risposte
38. Affinità elettive
39. Tempo mutevole
40. Il Calendario dell'Avvento di Draco Malfoy - Parte 1

18. Legge di Murphy

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By Petite_Poissonne


Aula Pozioni, 6 ottobre 1999

Quel giovedì mattina, prima di entrare nell'aula di Pozioni, Hermione credeva che tutta quella stanchezza accumulata non le avrebbe portato niente di buono, senza considerare che ricordava bene una legge babbana che le aveva spiegato il padre qualche anno prima a proposito delle forze dell'universo che ce la mettono tutta per confutare con spietata ironia quanto il pensiero umano sia ben lontano dall'immaginare le traiettorie finali di una mera supposizione. Che poi avrebbe dovuto iniziare persino a ballare come appena suggerito da Blaise, come minimo avrebbe dovuto cercare le uscite di sicurezza prima di scendere in pista. Era pur sempre la migliore amica di Harry Potter!

«Buongiorno ragazzi» esordì Lumacorno mentre alcuni barattoli lievitavano verso ogni postazione. «Come vi dicevo settimana scorsa, ho raccolto per voi dei funghi che ho fatto macerare per quattordici giorni in acqua di sorgente estratta durante la prima fase lunare. Questa specie è piuttosto rara e altamente allucinogena se consumata in modo puro. Generalmente possono essere assunti in piccole dosi per la cura contro cefalee e altre sintomatologie neurologiche. Ma in questo caso, sono utili nella realizzazione di quale... sì, signorina Granger?» chiese con un sorriso indulgente quando la ragazza alzò prontamente la mano.

«La pozione Rivedipensieri. È la stessa contenuta nel Pensatoio e permette di revisionare i ricordi estratti dal soggetto in esame con l'incantesimo Capio Memoriam. Ovviamente occorrono anche l'utilizzo di alcune rune per potenziare l'efficacia del Pensatoio, che altrimenti mostrerebbe solo delle immagini, invece dell'immersione nel ricordo stesso.»

«Certamente, venti punti signorina» annuì entusiasta il docente. «Pertanto oggi vi occuperete nel realizzare la Pozione Rivedipensieri. È una pozione pressoché veloce da creare, ma altamente ostica per tutti gli ingredienti di cui è composta. Vi dividerete in coppie, che ora scriverò alla lavagna.»

Immediatamente, un gessetto volante eseguì il comando del professore davanti al mormorio concitato della classe. Era raro che svolgessero lavori in coppia.

Susan Bones – Daphne Greengrass

Millicent Buldstrod – Ernie MacMillan

Anthony Goldstein – Theodore Nott

Hermione Granger – Terry Steeval

Draco Malfoy – Blaise Zabini

Il suo gemito di disapprovazione non fu l'unico a emergere quando Lumacorno diede un'ora e mezza di tempo. Si voltò a guardare Terry due tavoli alla sua sinistra e notò che anche lui aveva la sua stessa smorfia mentre fissava la lavagna.

«Professore, mi scusi» sopraggiunse una voce dal fondo dell'aula.

«C'è qualche problema, signor Zabini?»

«Guardi, preferirei fare cambio partner, se me lo concede.»

«Oh, posso chiedere il motivo? Credevo che lei e il signor Malfoy andaste d'accordo.»

«Non più. In tutta sincerità a stento riesco a guardarlo in faccia. O a colpirlo» disse assestando una gomitata nel fianco del compagno che se non fosse stato accecato dallo sdegno, Hermione avrebbe detto che fosse divertito e fiero. Compiaciuto.

Ma che diavolo stava succedendo?

«Per il bene di questo compito e la tranquillità della lezione, preferirei lavorare con Terry Steeval» continuò Blaise.

«Suvvia, cosa sarà mai successo di così grave che non possa essere risolto. È pur sempre un suo compagno di Casa.»

«Mi ha tradito» disse solenne alzando gravemente le sopracciglia. «Provandoci con la mia ragazza.»

«Oh» Lumacorno sbatté lentamente le palpebre. «Capisco. Ma dati gli ultimi avvenimenti con il signor Steeval non è il caso che la metta insieme alla signorina Granger?»

«Lei è la mia ragazza. O meglio, ex» pose un accento sull'ultima sillaba, strascinando la consonate sommessamente. Il mormorio si trasformò in un chiacchiericcio fragoroso che zampillava da una parte all'altra tra le mura dell'aula. «E due traditori come loro non dovrebbero essere divisi, siccome se la intendono» continuò.

Hermione si voltò col viso in fiamme per l'incredulità verso Blaise che sfiorò a malapena il suo sguardo, ma poté vedere un piccolo sorriso farsi strada mente manteneva quell'espressione compassata di un ragazzo innamorato ferito.

«Oh» ripeté il professore massaggiandosi la pancia prominente, l'imbarazzo crescente sul suo volto rubicondo. «È davvero una spiacevole situazione. Certo, certamente. Venga avanti signor Malfoy. Signor Steeval prenda posto vicino al signor Zabini.»

«Grazie, professore» disse profondendosi con sentimento mentre abbassava il mento e dedicò un occhiolino sfacciato alla ragazza che lesse la parola «balla» sulle sue labbra, prima di affilare uno sguardo poco raccomandabile a un pallido Terry Steeval mentre si spostava verso la postazione del Serpeverde.

Hermione non sapeva chi sarebbe uscito meno illeso da quella lezione.

«È una tua idea?» sbottò Hermione quando Malfoy posò la borsa sulla sua postazione. Era la prima volta in diciassette giorni che gli rivolgeva la parola. E si diede della stupida per averli persino contati.

«Buongiorno anche a te, Granger» esordì il ragazzo cacciando il suo materiale sul banco in tutta tranquillità.

«Malfoy!»

Lui la guardò in tralice abbassando appena le palpebre mentre apriva il barattolo di funghi per la pozione e li scolava dall'acqua di sorgente. Non le sfuggì il modo in cui un angolo delle labbra si alzò. «Certe cose non cambiano, vero?»

«Dovresti dirmelo tu. Non sono io quella affezionata alle vecchie maniere» disse tra i denti. Non era lei che aveva deciso di rovinare tutto.

Malfoy posò i funghi sul tagliere e si voltò a guardarla. «Preferivi lavorare con quel verme di Steeval?»

«Persino un verme sarebbe meglio di te.»

Quella luce fiera nel suo sguardo si affievolì velocemente mentre un muscolo guizzò nella guancia. Ma i suoi occhi non mollarono la presa, le osservarono il volto, studiando ogni minimo dettaglio riuscisse a raccogliere e per un breve istante Hermione si ritrovò nel suo letto, nei suoi sogni, a fissare quei pozzi argentati sondarle ogni intimo anfratto del suo corpo, prima di sbattere le palpebre e distogliere i suoi sul banco.

«Ti faccio così schifo che davvero non riesci nemmeno a guardarmi per più di tre secondi?»

Qualcosa si strinse all'altezza dello stomaco quando avvertì il sussurro del ragazzo. Sembrava ferito, amareggiato, seccato come se anche lui avesse avuto un pensiero fisso in quelle settimane, dove lei aveva tentato ogni espediente per rifuggirgli. Non si permise di ragionarci, perché anche lei era ferita. Lui l'aveva ferita. Ancora. Era amareggiata che lui avesse frantumato qualsiasi tentativo di costruire quella fiducia tra loro. Ancora. Era seccata che nonostante tutto, le avesse fatto più male di quanto avrebbe mai immaginato. Ma questo non era colpa sua, era lei che si era illusa. Ancora.

«C'è qualche problema qui?» sopraggiunse Lumacorno davanti la postazione lanciando una lunga occhiata su di loro.

«No, professore» disse Hermione schiarendosi la voce. «Ci stavamo accordando come dividerci gli ingredienti» guardò velocemente la ricetta aperta sul libro. «Io mi occupo dei primi sette, però tu dovresti sminuzzarmi le scaglie di Drago che andranno in infusione con la resina di pioppo.»

«Molto bene» annuì il professore continuando a osservarli con misurato impaccio. «Mi raccomando con i funghi. Strizzateli e asciugateli bene prima di passarli al mortaio.»

«Certo, grazie» accennò un sorriso e il docente passò alla postazione successiva, da Anthony e Theo.

«Granger...»

«Le scaglie di Drago, Malfoy» disse meccanicamente mentre avvertì l'altro sospirare. Ma ormai era immersa nella lettura, si appuntò gli ingredienti da prendere in dispensa e non si parlarono più per l'ora successiva.

Ognuno immerso nelle proprie lavorazioni, ben lontani da un estremo all'altro del banco, si incontravano solo davanti al calderone per inserire a turno gli ingredienti, evitando qualsiasi tipo di contatto fisico o visivo. Certamente da parte della ragazza.

Di tanto in quando lanciava qualche occhiata alla postazione di Blaise e notò con cinico compiacimento il modo in cui il Serpeverde si rivolgeva a Steeval. Non lo attaccava in modo diretto, ma non poche volte si profondeva su quanto fosse inverosimile che i Corvonero erano le menti della scuola se la sua tecnica era così scarsa nello sminuzzare le scaglie di Drago, o come tentennava nel mestare il contenuto nel calderone, chiedendosi ad alta voce su quali basi stesse frequentando quella classe livello M.A.G.O. e favorito dalla netta altezza rispetto a Steeval, aveva visto quest'ultimo sussultare quando Blaise si avvicinava a lui e più di una volta aveva dovuto prendere il controllo del compito prima che facesse saltare in aria la pozione. Anche se ce l'aveva con lui per averla messa in quella situazione con Malfoy, dovette ammettere che provò un dolce calore al petto al pensiero che Blaise a modo suo la stava vendicando. Perché loro erano amici.

Talvolta si sentì osservata da due fronti diversi, ma lei tendenzialmente ignorava quello alla sua destra, scambiandosi invece qualche sorriso con Anthony dalla sua postazione a sinistra. A quanto pareva, Ginny e Blaise ci avevano visto lungo su quel flirt, anche più della ragazza e, onestamente, scoprì che non le dispiacevano quelle attenzioni da parte sua. Sperò solo che il ragazzo non si facesse coinvolgere dalla bugia montata da Blaise per evitare che Hermione lavorasse con Steeval. Cosa che gli confermò quando si ritrovarono entrambi vicino al mobile della dispensa.

«Se non fosse intervenuto Zabini, mi sarei offerto io di chiedere al professore di lavorare con te» disse quando la ragazza lo ringraziò dopo averle preso il flacone di bava di lumaca dallo scaffale più in alto. «Se non fosse che a quel punto Terry e Nott si sarebbero trovati fin troppo vicini.»

Hermione rabbrividì al solo pensiero. Non osava immaginare cosa sarebbe potuto succedere in quell'aula.

«Be', grazie, Anthony» gli dedicò mezzo sorriso. «Anche se mi sembra che qui tutti mi credano incapace di affrontare da sola un idiota.»

«Non è questo» si accigliò lui mentre si dirigevano di nuovo verso le postazioni. «Per quanto mi riguarda vorrei solo che tu avessi a che fare il meno possibile con Terry. A quanto sembra, Zabini ci tiene allo stesso modo» disse rivolgendo un'occhiata alla coppia in fondo all'aula mentre si portava indietro alcune ciocche di riccioli biondi.

«Mi sorprende che tu non abbia creduto alle sue parole.»

Anthony si voltò a guardarla, la graziosa fossetta spuntò sulla guancia quando le sorrise. «Ammetto che ci ho sperato che fosse una messa in scena» disse sfiorandole il gomito con le punte delle dita. «Tu me l'hai confermato.»

«Niente di nuovo sul fronte pettegolezzi» alzò le sopracciglia con fare teatrale.

«Buon per me» la fossetta si fece più sfacciata.

Si scambiarono un'occhiata interessata, prima che qualcuno si schiarisse la voce con fare irritato. Hermione ignorò il narcisista viziato con cui si ritrovava a lavorare, ma ritornò ugualmente al suo posto, prendendo a sminuzzare l'artiglio di Furia con un vago sorriso sulle labbra.

Aveva ragione Blaise, doveva accogliere quella spensieratezza senza troppi costrutti mentali. Doveva ballare, aveva voglia di farlo. Perciò si stava sciogliendo in quel dolce momento frivolo, finché Malfoy le catturò il polso sopra il calderone.

«Che diavolo fai?» berciò la ragazza strattonando la mano.

«Bisogna aspettare per l'artiglio di Furia.»

«Sono già passati dieci minuti, il colore della pozione è violaceo, come illustra anche il libro» chiosò seccata.

«Ti dimentichi che non deve sobbollire, o rischia di fare la schiuma. A quel punto tutto il lavoro sarà da buttare.»

«Non è la Pozione Sempreverde, l'artiglio può essere inserito anche a fiamma viva.»

«Non se hai già inserito il Sangue di Salamandra. Nei tuoi appunti hai sottolineato tre volte che questi due ingredienti si legano solo a basse temperature.»

Oh. Hermione sbatté le palpebre massaggiandosi il polso, un gesto che catturò l'attenzione del ragazzo. Non le aveva affatto male, la presa era stata calda e sicura, e le aveva ricordato con fin troppa vividezza l'altro Malfoy, quello del suo sogno.

«Giusto» mormorò osservando in tralice il suo profilo. Aveva appena citato i suoi appunti. Li stava ancora studiando?

«Non mi merito almeno un plauso per aver studiato efficacemente i tuoi appunti?»

«Non m'interessa» abbassò lo sguardo per pesare la bava di lumaca ed evitare quegli occhi.

«Stai diventando noiosa.»

«Resisti un'altra ora e faremo di nuovo finta che l'altro non esista.»

«Ma tu esisti, con tutto il tuo esacerbato orgoglio Grifondoro.»

E Malfoy esisteva, col suo ingombrante magnetico indimenticabile sguardo tentatore.

«Ti ho solo dato quello che volevi» disse lei.

«Forse è questo il problema» mormorò lui.

«Ero io il problema, ricordi?»

«No. Voglio spiegarti...»

«Non m'interessa» ribadì stringendo i denti e piazzò sul tagliere le ossa di dita di Troll prima di iniziare a tagliarle con foga.

«Ho capito quello che stai facendo. Me la stai facendo pagare con le mie stesse parole. Pessima psicologia, Granger.»

«Ti mostro solo cosa significa il disinteresse. Perché, di fatto, io metto davvero in pratica le mie intenzioni.»

Anche se non riusciva a lasciare andare il pensiero di lui. Anche quando erano ormai sei notti che non smetteva di sognarlo, di sentire il suo profumo, che la seguiva anche nell'Aula Venti quando scappava da quelle immagini viziose. Irrealistiche. Impronunciabili. E ora l'aveva toccata anche nella realtà, l'aveva presa alla stessa maniera e Hermione sentiva la sua attenzione su di sé senza più riuscire ad allontanarsi da quelle immagini, facendola infiammare intimamente, come quando quelle dita oniriche le avevano aperto le gambe, affondando in un unico colpo...

«Granger!»

Hermione sobbalzò alla voce di Malfoy che si fuse un attimo dopo al colpo del coltello sul tagliere. Alzò gli occhi su di lui «Non credevo fossi così suscettibile ai rumori.»

Il ragazzo la guardava atterrito «Granger, il dito...»

«Le dita di Troll sono più friabili di quanto immaginassi. Non fare quella faccia» distolse lentamente lo sguardo e si ritrovò a fissare inebetita il banco chiedendosi perché fosse sommerso improvvisamente da tutto quel rosso.

Per un lunghissimo sibilante secondo, credette di avere un'allucinazione, forse era un effetto dei fumi della pozione con quei funghi speciali del professor Lumacorno, o forse il suo sogno a occhi aperti alla fine si era trasformato in connotazioni splatter. Perché era sangue quello che si stava allargando sulla postazione ed era sangue quello che zampillava a fiotti dalla sua mano sinistra quando la sollevò e si accorse che il pollice intero era rimasto disteso sul tagliere.

Trascorse un altro eterno ovattato secondo prima di svenire.


Era in queste occasioni che le venivano in mente i detti babbani che le aveva insegnato il padre.

"Se qualcosa deve andare storto, lo farà".

Ed era quello che si ripeteva ormai da una decina di minuti da quando era rinvenuta e si era ritrovata in Infermeria a osservare Madama Chips avvolgerle la mano sinistra con delle pesanti garze, mentre dal pollice riattaccato spuntavano due grosse bacchette di acciaio per mantenerlo fissato al metacarpo. E continuava a dirsi di non sottovalutare mai l'evolversi di una giornata che si prospettava terribile in una con risvolti nefasti. A quel punto temeva di chiedersi cosa potesse accaderle di peggio dopo un'auto amputazione e si risparmiò dal tentare ancora la fortuna.

«Rimani così senza muovere il braccio, né tantomeno le dita. Tra tre ore torno per un ricambio. Entro domani sera ti dovrebbe rimanere solo la cicatrice» disse la guaritrice finendo di stringere il bendaggio.

«Grazie, Madama Chips. Lo sa che è piuttosto brava nel suo lavoro?» sbiascicò sforzandosi di sorridere alle sue cure quando la vide posare le garze sporche sul carrellino accanto al suo letto. Si sentiva un po' la faccia intontita. In realtà anche la bocca iniziava ad apparirle insensibile e riconobbe il torpore della pozione sedativa. «E lo sa che le voglio davvero bene?»

«Sì, sì. Mi raccomando, nessun movimento» la ammonì prima di allontanarsi e dirigersi verso il suo studio. Quando superò il paravento alla sua sinistra, Hermione sentì i suoi passi fermarsi e la donna sbuffare prima di dire con voce scocciata: «Le ho già detto che non sono ammesse visite durate l'orario delle lezioni. Non senza permesso.»

«Ho il permesso» disse un'altra voce che Hermione riconobbe immediatamente. Probabilmente le fece vedere il documento e continuò: «E il professor Lumacorno mi ha garantito che avvertirà il professor Vector dell'accaduto e che sono esonerato dalle lezioni. Si aspettano che mi assicuri della salute della signorina Granger.»

La ragazza lo immaginò ghignare per quella sua vincita, spavaldo e fiero, persino con la guaritrice, e si rimproverò di continuare a dirigere il suo pensiero verso lui.

«Faccia in modo che quella ragazza non muova il braccio» disse infine Madama Chips prima di allontanarsi a passo sostenuto nel suo studio.

Hermione ebbe il tempo di due profondi respiri prima che Malfoy si rivelasse alla sua vista.

Non ne sarebbero stati sufficienti diecimila.

Lo osservò avvicinarsi ai piedi del letto, indeciso se prendere posto sulla sedia affianco al carrello delle medicazioni. Per un breve attimo posò lo sguardo sullo spazio attiguo alle sue gambe, sul letto – di certo era frutto della sua immaginazione stordita dalla pozione – ma alla fine risolse rimanendo in piedi a guardarla in tutta la sua miserabile esistenza, semidistesa sul letto dell'infermeria, il braccio sinistro posato su un cuscino al suo fianco.

«Ti piace quello che vedi?» Hermione si portò immediatamente la mano buona alla bocca, guardandolo stupita della sua uscita, ma anche divertita. «Scusa, non volevo dirlo davvero» disse senza riuscire a rattenere la risata.

Malfoy la osservò col capo inclinato, sorpreso di trovarla di buon umore dopo quello che si erano detti, ma alla fine chiese: «Dire cosa, Granger?»

«Be' tu mi guardavi da lì e non la smettevi e non vorrei che ti faccia strane idee dopo quello che hai sentito stamattina ma poi ci sono questi sogni che mi perseguitano e mi sono ricordata quando mi hai infilato le dita nei pantaloni che a proposito sono davvero lunghe e mi chiedevo dove hai imparato a fare tutte quelle cose...?»

La ragazza si bloccò, balbettando qualche sussurro, guardando l'espressione sbigottita e sempre più smarrita del ragazzo a mano a mano che sproloquiava e con non poco sforzo si riascoltò e niente, poteva dire addio alla sua dignità.

Aveva appeno spiattellato tutto davanti a lui.

Avrebbe dovuto avvertire Madama Chips che le aveva somministrato una dose troppo forte di sedativo, stava dando i numeri. Ma ovviamente, un piacevole intontimento sempre più progressivo la obbligò a rilassarsi e abbandonò la testa sul cuscino sentendola pesante, reclinando il collo e facendo attenzione a non muovere il braccio come raccomandato.

«Granger» lo sentì mormorare, ma non capì se fu una richiesta di spiegazioni o un'esclamazione contrita. Non lo sapeva, non riusciva a vederlo da lì, così si limitò a osservare con occhi sbarrati le volte di pietra del soffitto.

«Devi tornare in classe» disse alla fine in un fugace momento lucidità. «Rimarrai indietro.»

«Sono esonerato.»

«Non puoi rischiare di rovinare i risultati che hai ottenuto e ti sei impegnato molto anche se mi hai ferita più che ma-» si morse la lingua all'ennesimo slancio di sincerità da sedativo. «Non puoi permetterti di saltare le lezioni proprio ora. Mancano poche settimane ai tuoi esami» si sforzò di dire sbattendo violentemente le palpebre.

«Pensi ai voti anche così, mezza sedata dopo un'amputazione» mormorò con un sorriso nella voce prima di aggiungere: «Ma mi fa piacere che ti preoccupi ancora per me, Granger.»

«Vai a farti affatturare, Malfoy» disse lei in risposta chiudendo gli occhi, perché quella voce, il modo in cui disse il suo nome, le fece vibrare un anfratto nascosto nel petto.

Se fingeva di dormire, lui l'avrebbe lasciata in pace? Non voleva rischiare ancora di rimanere sola con lui. La distraeva e la faceva sentire poco lucida, più di quanto non stesse già contribuendo quella pozione.

Ascoltò il suo stesso respiro nel totale silenzio dell'infermeria e quando credette di aver atteso a sufficienza che Malfoy avesse letteralmente tirato le tende, si arrischiò ad aprire l'occhio destro e alzò leggermente la testa per verificare che non ci fosse più. Sospirò con sollievo, ma anche con frustrazione quando non lo vide ai piedi del suo letto. Appoggiò di nuovo il capo al cuscino, ma si sentiva irrequieta oltre che scomoda. Avrebbe fatto volentieri un sonnellino anche per recuperare le notti insonni che aveva passato negli ultimi giorni, se non fosse per la posizione in cui era costretta: il cuscino era troppo in basso e le sosteneva più la schiena che la testa, sempre più pesante, e iniziava a sentire anche un po' freddo, ma la coperta era ancora imboccata sotto il suo corpo e senza muovere il braccio, non sarebbe mai riuscita a sgusciarci dentro intorpidita com'era.

Si rassegnò a trascorrere le prossime ore nella disperazione di non avere un minimo di possibilità di rimettersi totalmente in forma mentalmente e fisicamente.

Emise un gemito demoralizzato.

«Ti fa male?»

Hermione spalancò le palpebre e si voltò a sinistra verso la voce di Malfoy che aveva preso posto sulla sedia vicino al letto. Lo guardò come se si fosse appena trasfigurato in un Leprecauno. Per non rischiare di lasciarsi sfuggire qualche altra nefandezza dalla bocca, evitò di parlare e si limitò ad osservarlo con occhi da gufo.

«Annuisci se ti fa male, non fare nulla in caso contrario.»

Hermione rimase immobile a fissarlo e il ragazzo, emettendo un sospiro frustrato, aggiunse: «Hai capito quello che ho detto?»

Hermione annuì, labbra serrate, era l'unica cosa che potesse permettersi per non sembrare totalmente ammattita. Sebbene, con le cose che aveva confessato, le avrebbero garantito un posto speciale al San Mungo.

«Quindi ti fa male?» chiese ancora.

Anche se non era previsto nelle condizioni, Hermione scosse il capo negativamente, o non ne sarebbero più usciti da quella situazione.

Si studiarono per qualche minuto e quando quella posizione le irrigidì le spalle e il collo, non ce la fece più e riprese la parola.

«Ho bisogno... puoi aiutarmi a stendermi? O chiami Madama Chips, non credo di farcela da sola senza muovere anche il braccio» sospirò infine sconfitta.

Lo vide reprimere un sorriso e ignorando deliberatamente la seconda opzione, Malfoy si alzò dalla sedia sporgendosi su di lei.

«Puoi chiamare anche...»

«Perché disturbare Madama Chips, già molto impegnata. Inoltre, credo che Lumacorno mi abbia mandato qui proprio per adempiere a questo tipo di mansioni.»

«Non potevi essere più cristallino» berciò sarcastica tra i denti contorcendo il volto in una smorfia.

Malfoy raddrizzò un po' le spalle e spostò il peso del corpo all'indietro mentre era intento ad avvicinarsi. «Sempre se non vuoi che ti tocchi, ovviamente» mormorò col mento basso sondandole lo sguardo, l'espressione esitante e persino mortificata che le ricordò il modo in cui aveva reagito quando aveva gli aveva detto che un verme era meglio di lui.

Non le piacque quell'espressione. Non era da lui. E non voleva essere la causa di quella nuova versione di Malfoy, anche se l'aveva ferita. Preferiva di gran lunga lo spavaldo aristocratico narcisista a quello.

Perciò deglutendo il suo orgoglio, alla fine annuì. «Fai pure» disse a mezza voce distogliendo lo sguardo.

Lo sentì sospirare mentre si piegava su di lei e le avvolse il busto col braccio agganciando la mano dietro la scapola destra per sollevarla e aiutarla a scivolare sul letto verso il basso. Si trovò schiacciata contro il suo petto e con gli occhi chiusi, avvertì il calore improvviso di quel corpo annientarle qualsiasi barriera mnemonica. Nessun sogno batteva quel momento. Si aggrappò con la mano sana al tessuto della sua divisa sulla spalla e quasi annegò nel profumo d'agrumi, risvegliandole non solo i ricordi del sogno, ma anche quando si era avvolta nel morbido e caldo maglione che le aveva ceduto il giorno in cui avevano litigato.

Perché le dava solo pochi morsi di quella versione gentile e premurosa? Perché aveva rovinato tutto quello che stavano costruendo? Perché le aveva permesso di allontanarsi?

Hermione attese che il ragazzo le togliesse alcuni cuscini dietro la schiena spostandoli in alto e la accompagnò lentamente contro il materasso, il tutto nel totale silenzio della sala, spezzato dal battito del cuore che le pompava furioso nelle orecchie.

Per un attimo impercettibile strinse il tessuto nel pugno, sfiorò il colletto della camicia con la punta del naso, inebriandosi ancora di più della sua essenza. Non voleva lasciarlo andare, non voleva che ci fosse di nuovo quel muro tra di loro, anche se questa volta lo aveva eretto lei, ma quando la mano di Malfoy iniziò a scivolare via dalla sua schiena, un barlume di razionalità la obbligò a lasciarlo andare e aprì gli occhi mentre la sua mano cadette pesantemente sulle coperte sotto di lei.

Si adagiò nella nuova posizione, il braccio sinistro categoricamente steso lungo il fianco come da indicazioni di Madama Chips e quel muro gelido la circondò nuovamente appena Malfoy fu a un metro di distanza da lei e si sedette di nuovo sulla sedia, sul volto un'espressione distaccata.

Era meglio così, si disse. Con quella versione lì era più semplice.

«Posso farti una domanda?» disse lui dopo qualche minuto mentre Hermione fissava immusonita le volte del soffitto.

«Non mi va più di giocare.»

«Mi chiedevo solo come avessi fatto a tagliarti in quel modo.»

«Distrazione» si limitò a dire.

«Ti sei amputata un dito, non è che ti sei semplicemente fatta un graffietto.»

«Non fare finta che la cosa t'interessi.»

«Se sono rimasto c'è un motivo.»

Hermione si strinse nelle spalle ma non rispose.

«Granger...»

«Potevi andartene a zonzo in cortile o nel tuo dormitorio. Per un altro giorno saresti stato esonerato dalla mia miserabile presenza» disse con amarezza. Non le importò di suonare patetica persino alle sue orecchie.

«Vorrei che mi lasciassi spiegare quello che è successo» sussurrò lui, ma lei scosse la testa chiudendo gli occhi.

«Sono stanca, Malfoy. Sono piena delle tue parole e delle tue offese. Sono...» si morse il labbro inferiore quando iniziò a tremolare. «Non ho più nulla da ascoltare da te. Non ho più nulla da dirti. Vattene e lasciami respirare.»

Rimase immobile e al sicuro nel buio dietro le palpebre chiuse. Sentì i piedi della sedia alla sua sinistra strusciare pianissimo contro il pavimento e la sua voce le giunse con un bisbiglio.

«Va bene» disse e se ne andò.

Questa volta non ci fu bisogno che controllasse, il gelo si era fatto più mordente e aprendo di nuovo gli occhi verso il soffitto, sentì quel respiro che anelava condensarsi in brina lungo la gola.


Trascorse le ore successive rammaricata di aver perso una giornata di lezioni, a ripetersi che era giusto quello che stava facendo. Malfoy non meritava che si spiegasse, né tantomeno meritava il suo perdono se era quello che cercava. Si disse che se l'avesse fatto, se gli avesse di nuovo permesso di avvicinarsi, avrebbe trovato un altro modo per schernirla, per sotterrare ancora più profondamente quella fiducia nell'abisso della sua malignità. Perché quel commento bruciava ancora come se glielo avesse spiattellato appena qualche ora prima.

Lui non aveva la minima idea di cosa significasse perdere in quel modo i suoi genitori, quello che aveva passato negli ultimi anni, quello che tuttora viveva nei rimorsi dei suoi incubi per avergli sottratto la memoria. Non conosceva l'agonia di osservare da lontano una vita di cui non avrebbe più fatto parte, di vederli invecchiare senza che lei potesse contare da vicino le rughe che avrebbero modificato i loro volti. E non sapeva quanto la annientasse la consapevolezza che loro non l'avrebbero vista raggiungere i suoi traguardi, vederla diplomarsi, affrontare il primo giorno di lavoro, accompagnarla all'altare quando si sarebbe sposata, non avrebbe ballato con suo padre, non avrebbe stretto la mano di sua madre durante il parto e non avrebbero saputo che un bambino li avrebbe chiamati nonni.

Quel futuro aveva cessato di esistere quando era scomparsa dalle loro menti e lei non avrebbe più pianto sul grembo di sua madre, non si sarebbe più fatta preparare il tè da suo padre. Loro non c'erano più, anche se continuavano a esistere, e lei si sentiva di smettere di esistere ineluttabilmente come quei ricordi rubati.

Perciò non ci riusciva, non aveva forza a sufficienza per andare oltre quello che le aveva detto. Lei non era nessuno per sradicare quel muro di oscurità che lo celava alla luce. Aveva raggiunto il suo limite e l'aveva scoperto proprio con Draco Malfoy.

Non era più un suo problema. Non doveva più importarle, anche se quella sconfitta le corrodeva le viscere.


Trascorsero le tre ore raccomandate da Madama Chips prima che tornasse a cambiarle il bendaggio e quando terminò, scoccata la campana del pranzo, si presentarono a turno al suo capezzale.

Prima arrivarono in blocco Seamus, Dean, Neville, Luna e Ginny e pranzarono con lei tenendole compagnia. Dean e Seamus avevano portato gli scacchi e uno per volta si fecero stracciare. Con poca clemenza confessò che Ron le aveva svelato tutti i loro trucchetti e che lei li ricordava a memoria. Neville le lasciò la talea di una pianta che con la fotosintesi avrebbe velocizzato la guarigione. Non servì a nulla dire che ci stava già pensando la medimaga con le sue cure efficaci e che il giorno dopo sarebbe ritornata a lezione. Ginny, invece, rimase per lo più in silenzio dall'altra parte del letto con le gambe incrociate in mezzo ai suoi piedi, ma fu difficile dissimulare una risata davanti alla sua faccia quando Luna iniziò a volteggiare intorno al suo letto in una danza tribale che le aveva insegnato il padre per allontanare qualche strano spiritello Murphiano che ronzava tra i capelli di Hermione, a suo parere, e che era per questo che ora si ritrovava in Infermeria. O con i capelli disordinati.

La lasciarono poco prima che iniziassero le lezioni pomeridiane, promettendo che sarebbero passati in serata.

Dopo pranzo passò Anthony, ma non rimase per molto tempo. Le portò un libro di Trasfigurazione avanzata che aveva scovato in Biblioteca e le disse che gli avrebbe fatto piacere discuterne con lei davanti un tè quando avrebbe terminato di leggerlo. Un modo per un altro per dirle che voleva trascorrere del tempo con lei, un pensiero che la fece arrossire.

Nel tardo pomeriggio, Blaise e Theo la trovarono a sfogliare il libro e il sorriso che le dedicò il primo, le fece dimenticare il motivo per cui credeva di avercela con lui dopo la sceneggiata tirata su alla lezione di Pozioni.

«Eccola la Ragazza d'Oro» esordì sedendosi sul materasso affianco alle sue gambe. «Non mi saluti nemmeno con un'alzata di pollici?»

«Questa era davvero pessima» mormorò Theo scuotendo il capo mentre si sedeva sul letto adiacente.

«Se alzo un pollice come questo» disse Hermione accennando alle bacchette che spuntavano dalla fasciatura «rischio di infilzarti come uno spiedino.»

«Uhm, graffiante» disse lui estendendo il sorriso. «E io che credevo di trovarti con la bella compagnia di un biondo affascinante.»

Hermione serrò la mascella e abbassò gli occhi, dove c'era il libro sulle gambe e un sorriso furbo le spuntò velocemente. «Mi ha lasciato questo libro un paio di ore fa. Anthony è stato molto gentile e poco velatamente mi ha invitato a un tè.»

Le sopracciglia di Blaise svettarono verso l'alto. «Non mi dire che sotto sotto quel Corvonero ti piace?»

«Forse. Era quello che volevi, no?»

«Non sono io che devo uscirci. Purtroppo sono già impegnato, sai?»

«Se proprio ci tieni posso farmi da parte» s'intromise Theo dedicandogli una lunga occhiata. «Comunque, non siamo venuti qui per tormentarti.»

«Parla per te» disse Blaise togliendosi peli invisibili sul polsino del maglione.

«Ti abbiamo portato gli appunti delle lezioni di oggi» continuò Theo ignorando il fidanzato e pescò un plico di pergamene dalla sacca prima di porgerle a Hermione che aveva già la mano destra allungata verso di lui con gli occhi luccicanti e afferrò le pergamene.

«Grazie, grazie, siete stati gentilissimi! È il pensiero più bello che qualcuno...» stava dicendo mentre sfogliava le pagine, ma la voce si spense appena notò alcuni piccoli interessanti particolari.

Ebbene, non conosceva la calligrafia di Theo, né tantomeno quella di Blaise, ma sapeva esattamente chi arricciasse in quel modo la coda della ipsilon, o come il cappuccio della ti si allungasse coprendo le tre lettere antecedenti della parola, o ancora come la parte inferiore della esse maiuscola si avvolgeva quasi descrivendo una spirale.

Sollevò lentamente gli occhi sui due ragazzi e li trovò a fissarla aspettando che finisse cosa stava dicendo. Ma fu lo scintillio nello sguardo di Blaise a confermarle i suoi sospetti. Lui aveva capito che lei sapeva. Lui sapeva che lei aveva riconosciuto quella calligrafia.

Non seppe spiegarselo, ma tutto ciò la mise a disagio.

«Grazie» ribadì schiarendosi la voce e posò gli appunti sulla sedia alla sua destra, stringendosi infine il libro di Anthony al petto. Le dava una certa sicurezza.

«Che fate dopo?»

«Abbiamo un appuntamento con Pippy nelle Cucine» disse Blaise. «Questa sera mi insegnerà i vari tagli delle verdure.»

«Salazar non voglia che te lo ritrovi come vicino di letto dopo cena» mormorò Theo con una smorfia accennata.

«Malfidente! Sono molto abile con le lame. Da piccolo ho tirato di scherma.»

«Tagliare è ben diverso dal trafiggere» chiosò Hermione.

«Grazie» disse Theo riservando un'occhiata eloquente al moro, come se non fosse la prima volta che affrontavano quell'argomento.

«Quando preparerò una perfetta mirepoix o una delicata fin julienne vi ricrederete.»

«Questo amore per la cucina me lo devi spiegare» chiese Hermione incuriosita.

«Sono stato in Italia per un anno durante la guerra» disse tranquillamente, sebbene la voce si abbassò di un paio di note. «È il paese per eccellenza della gastronomia e della buona cucina e mentre riscoprivo la mia spiritualità, mi sono lasciato conquistare dal piacere per il cibo.»

«È un bellissimo paese» mormorò la ragazza con un sorriso mesto.

«Ci sei mai stata?»

«Una volta» annuì. «In vacanza con i miei genitori» sospirò.

«Oh, è meraviglioso. Dove siete stati? Per quanto tempo?» chiese con entusiasmo Blaise.

Hermione si strinse nelle spalle, non sapeva nemmeno perché l'aveva detto. Non perché non volesse parlare di loro con i Serpeverde, ma proprio perché non riusciva a farlo. Temeva di perdere quei ricordi se li avesse condivisi ad alta voce, ora che erano solo suoi. Se qualcuno avesse osato deturparli come aveva fatto Malfoy con quell'unico ricordo trapelato durante le esercitazioni di Occlumanzia.

Ma aveva sottovalutato la spiccata sensibilità di Theo quando la sottrasse dalla diffidenza che la attanagliava.

«Forse è ora che andiamo, Blaise» disse osservandola con il suo acuto e gentile sguardo cristallino. «Hermione dovrebbe riposare e lo sai quanto diventa dispotica Pippy se facciamo tardi.»

«Giusto» disse l'altro allargando gli occhi. «Ora che mi ricordo. Pippy ci ha chiesto di dirti quando torni a trovarla, ha bisogno di parlarti.»

«Oh, è successo qualcosa?» si mise dritta per quanto le permise il braccio bloccato. «Vi ha parlato del C.R.E.P.A.?»

«Non lo so, ma ieri ci ha caldamente obbligato a cercarti e dirti di scendere nelle Cucine appena puoi.»

«Ditele che passerò domani a pranzo, forse a colazione se Madama Chips mi dimetterà presto.»

«Hermione» disse Theo che intanto si era alzato e le posò una mano sulla testa. «Riposati. Ci andrai domani a cena, quando avrai al sicuro tutti i pezzi al posto giusto» fu quell'espressione inflessibile seppur premurosa a farla sgonfiare come un palloncino.

Gli dedicò un sorriso di ringraziamento quando il suo pollice le accarezzò la sommità della fronte, sia per la premura che per la cauta delicatezza che aveva avuto un attimo prima, anche se lui non conosceva le motivazioni della sua reticenza. Loro erano amici e si prendevano cura l'una dell'altro, nel loro modo unico di intendersi anche senza parlare. Erano supernove che si sarebbero illuminate la strada a vicenda.

Forse un giorno, si disse, ci sarebbe riuscita.

Li osservò allontanarsi verso l'uscita e quando sparirono dietro le porte, si lasciò andare ad un respiro sofferto. Lo sguardo svettò immediatamente di sbieco verso la sedia alla sua destra. Ma venne distratta quando le porte si riaprirono di nuovo ed emerse la testa fulva di Ginny.

«Non era necessario che passassi ancora» le disse mentre l'amica si sedeva vicino alle sue gambe dove un attimo prima c'era Blaise. «Tanto domani sarò di nuovo in giro.»

«Non mi dispiace. Anche se sono solo di passaggio, tra poco ho gli allenamenti.»

«Come va con le nuove reclute?»

Ginny fece una smorfia. «Siamo ancora troppo indietro. La prima partita con i Tassorosso è solo tra tre settimane e la nostra squadra è così giovane. Non ci voleva l'espulsione di Seamus.»

«Lo sai che ti si addice il ruolo di capitano?»

«Tu dici?» chiese arrossendo, le lentiggini rese ancora più evidenti. La sorprese quella reazione, non era da lei.

«Potrà anche non interessarmi il quidditch, ma so che tu sei fatta per comandare. E lo sappiamo tutti come è finita l'ultima volta che hai guidato la squadra di Grifondoro: hai portato in Casa la Coppa.»

«L'ho fatto principalmente per Harry» disse stringendosi nelle spalle. «Anche se sono stata premiata nel modo in cui non mi sarei mai azzardata a immaginare» si sciolse in un sorriso timido, forse ricordando il bacio che l'aveva accolta davanti a tutti nella sala comune quando Harry aveva scoperto che avevano vinto e finalmente aveva fatto quel passo verso di lei.

«Oh, amica mia, tu te l'eri immaginato eccome. Ma non ti eri permessa di sperarlo.»

«Forse» inclinò la testa di lato, trattenendo malamente un sorriso.

«Allora cosa ti preoccupa tanto?» chiese Hermione.

Ginny sospirò. «La professoressa Bumb mi ha detto che durante il torneo, non si sa quali partite, verranno gli esaminatori delle Holyhead Harpies e mi tremano le ginocchia al solo pensiero. Vorrei solo riuscire a cavarmela.»

«Lo sai cosa dovresti fare, allora?» L'amica scosse la testa. «Dovresti smetterla di giocare per Harry Potter e iniziare a farlo per Ginevra Weasley. Questo è il tuo futuro, se lo vuoi.»

L'amica respirò profondamente e fece un'altra smorfia. «Va bene. Però non chiamarmi più Ginevra. Sembri mia madre.»

Hermione ridacchiò appena, ma il sorriso si incrinò e si mordicchiò l'angolo delle labbra. Si sentì osservata dall'amica, ma non la pressò, aspettò che parlasse Hermione, come le aveva detto in camera sua. Era libera di parlarle di qualsiasi cosa e quel giorno aveva avuto modo di pensarci su, così, dopo un sospiro, infine disse: «Ho voglia di vedere di nuovo i miei genitori.»

Ginny sollevò impercettibilmente le sopracciglia e le prese la mano destra sopra il libro di Trasfigurazione. «Sei sicura? Questa estate hai detto che sarebbe stato pericoloso, se ti avessero vista ancora.»

«Lo so, farò in modo di non farmi vedere, questa volta.»

«Posso fare qualcosa? Vuoi che ti accompagni?»

Hermione sorrise dolcemente. «No, non è necessario. Però ho bisogno di una copertura per la prossima settimana, quando ci sarà l'uscita a Hogsmead.»

«Va bene, tutto quello che vuoi.»

«Grazie, Ginny.»

La ragazza le strinse maggiormente la mano accarezzandole il polso col pollice. «Hermione, sicura di stare bene?»

«No» disse sinceramente. «Ma ho bisogno di rivederli e dopo quello che è successo con Malfoy, non riesco a smettere di pensarci.» Tra le altre cose. Ma non era il momento di affrontare quello. Non ci sarebbe proprio dovuto essere quel momento.

«Non so quando, non so come, ma io a quel furetto gli farò passare un terribile quarto d'ora. Macché, non basteranno quindici anni!»

«Non darti tanta pena. Te l'ho detto che non m'interessa.» Anche se le aveva fatto avere gli appunti di quel giorno tramite Theo e Blaise e che catturarono di nuovo la sua attenzione quando Ginny la salutò dopo pochi minuti per andare agli allenamenti di quidditch.

Perciò scosse la testa e riaprì il libro che aveva in grembo, cercando la pagina che aveva lasciato in sospeso.

Durante la lettura trovò qualche annotazione scritta ai margini e si stranì perché Anthony aveva detto che l'aveva preso in Biblioteca. Ritornò sulla prima pagina e solo in quel momento si accorse del nome dell'autore del libro: Arthur Anthony Goldstein. Era sicuramente un parente. Forse il padre? O il nonno? Si chiese notando la rilegatura abbastanza datata.

Riprese a leggere con più curiosità e trasporto appuntandosi mentalmente di domandarglielo la prossima volta che l'avrebbe incontrato.

La lettura si rivelò intrigante, descriveva l'uso di tantissimi incantesimi che non conosceva e la flessibilità di crearne di nuovi persino in base al tipo di bacchetta che si utilizzava. Le annotazioni scritte con la piuma aggiungevano nuovi dettagli, ma quando si aggiustò sul letto per stare più comoda, con la coda dell'occhio vide le pergamene alla sua destra. Sbatté un paio di volte le palpebre resasi conto di aver letto una frase senza aver capito il contenuto. La rilesse con più intenzione, perché quegli appunti non significavano niente. Assolutamente non avrebbe accorciato la voragine che li separava. A ben vedere era il minimo che potesse fare dopo tutto quello che aveva fatto per lui. E poi sarebbero stati sicuramente incompleti e poco chiari, non era veloce come lei a scrivere e di sicuro nelle lezioni successive avrebbe dovuto chiedere ai docenti di rispiegarle i passaggi che mancavano.

Non cambiava nulla.

Ed era quello che continuava a ripetersi mentre il libro di Anthony scivolava verso il basso e si allungò a prendere gli appunti con una smorfia.

Conosceva bene quella calligrafia, ormai ne era totalmente certa. L'aveva avuta davanti in quelle settimane di ripetizioni, l'aveva osservato prendere appunti mentre gli spiegava gli argomenti per i suoi esami. Aveva persino corretto i suoi saggi, quando per i compiti assegnati del programma in interim, quando gli aveva fatto quell'unico test per valutare il suo andamento e l'aveva superato brillantemente.

Iniziò a leggere dalla prima pagina: c'era la lezione di Aritmanzia, la prima che aveva saltato quel giorno dopo che si era infortunata e più proseguiva nella lettura, si accorse che non era affatto raffazzonata, ma precisa, articolata, i calcoli appuntati mostravano persino le varianti errate dei risultati, con tanto di punti esclamativi laddove un passaggio era particolarmente importante. Come faceva lei. Come aveva letto nei suoi stessi appunti dal programma del sesto anno. Come aveva capito il modo in cui lei prendesse appunti. 

Non seppe perché quei dettagli la sconvolsero così tanto e perché si sentisse il volto accaldato mentre sfogliava con voracità pagina dopo pagina. C'erano persino i disegni degli incantesimi della lezione di Difesa Contro le Arti Oscure! E la Barker non permetteva di prendere appunti, non quando si esercitavano. E per la miseria, le date di Storia della Magia erano segnate per ordine cronologico, non come il modo disordinato e dispersivo in cui spiegava il professor Rüf. Sembrava davvero li avesse scritti lei per lei quegli appunti. Non era possibile, non riusciva ad ammetterselo.

Ma quando finì di leggere l'ultimo paragrafo dell'ultima pagina, tra tutto quello che aveva letto fino ad allora le rimbombarono nella mente quelle uniche due parole scritte a piè di pagina.

Mi dispiace.


Osservava i capelli castani della donna sparsi scompostamente sul tappeto intorno al volto cinereo, gli occhi erano spalancati e rivolti verso l'angolo destro quando aveva catturato per l'ultima volta lo sguardo dell'uomo al suo fianco disteso e immobile anche lui, il braccio proteso verso la mano della moglie.

«Guarda che cosa hai fatto» le sussurrò la strega all'orecchio dietro di lei. «Guarda bene.»

Hermione fissava inerme i loro corpi senza vita dicendosi che era sbagliato. Loro non erano morti, li aveva salvati, non potevano, lei...

Bellatrix le avvolse il polso destro con la sua mano, scivolando lungo il dorso e insieme alzarono il braccio. Si accorse di avere la sua bacchetta in mano, sentiva il potere della magia oscura scivolarle lungo l'arto come petrolio abrasivo, una mano pallida falciante, come quella della strega che la teneva stretta da dietro come una seducente compagna di ballo.

«Hai visto come è stato veloce?» sussurrò ancora sfiorandole l'orecchio con le sue labbra. «Hai visto quanto è stato misericordioso?»

Suo malgrado Hermione si ritrovò ad annuire anche se nella sua testa un grido silenzioso le comprimeva i timpani, le offuscava la vista. Stava piangendo e aveva ancora il riflesso del lampo verde sfrigolarle la cornea.

«Mia cara» mormorò l'altra allontanandosi di un passo, facendole cadere il braccio lungo il fianco. Le camminò intorno finché non fu davanti al suo volto e poté sottrarla dall'immagine di quei due corpi inermi. Osservò i suoi occhi neri, come l'abisso che si allargava nel suo centro e lei cadeva e urlava e si strappava i capelli per l'agonia, ma le fu concesso solo quella lacrima, solo quel respiro strozzato. 

Bellatrix le posò la mano sulla guancia catturandole quella stilla e sorrise dolcemente come una mantide religiosa che sfiora un amante dopo l'amplesso.

«Capisci cosa succederà ancora se non mi dici dove tu e i tuoi amici avete preso la Spada?» la mano scivolò sulla mandibola, sotto al mento, le dita strinsero appena avvolgendole il collo. Una tacita promessa, una carezza di morte.

Hermione deglutì contro il palmo, ma non ebbe più paura, non l'aveva mai avuta, non più dopo che loro erano morti. Perché erano morti, li aveva uccisi lei, non era riuscita a salvarli...

Le pupille di Hermione slittarono di lato, oltre il volto della strega. Intravide la mano pallida della madre agguantata ancora al tappeto pregiato del salotto, come aveva fatto anche lei in un altro ricordo, in un altro mondo, in un'altra vita dove loro erano ancora al sicuro. Doveva credere che in un altro universo sarebbero sopravvissuti.

Bellatrix seguì il suo guardo voltandosi e sorrise compiaciuta prima di ritornare a guardarla. «Vuoi andare da loro?» domandò dolcemente. «Anche dopo averli uccisi?»

Le sfuggì un singhiozzo e si ritrovò ancora ad annuire. La strega ghignò e strattonandole con forza il collo la lanciò in avanti verso i suoi genitori. Inciampò sui loro arti e cadde in ginocchio in mezzo a loro.

In quel momento anche la Maledizione Imperius cedette ed Hermione si sentì attirata sempre di più in quell'abisso di tormento e dolore, rimorso e agonia e morte. Voleva morire, voleva uccidersi per quello che aveva fatto. Non voleva, non voleva, non voleva. 

«Mi dispiace» mormorava tra i singhiozzi mentre afferrava le loro mani e se le portava al petto. Erano così fredde, così rigide e non avrebbe più potuto farsi stringere da loro, da quel calore che le aveva dato la vita. «Mi dispiace» mormorava tra le lacrime, affogando, strozzandosi mentre se le accostava sulle labbra. «Mamma» disse baciando quelle dita sottili che così tante volte le avevano intrecciato i capelli, ripetendole che era perfetta. «Papà» disse baciando l'altra mano che le aveva insegnato con le sue carezze cosa fosse l'amore gentile. «Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.»

«Che cosa devo fare con te, ragazza?» disse la strega che la sormontava.

Hermione si accovacciò più stretta e più piccola contro i corpi dei suoi genitori, come faceva quando era bambina e dopo un incubo andava a ripararsi nel loro letto in mezzo a quel calore. Ma c'era solo freddo e solitudine e quando quell'incubo reale sarebbe finito, non ci sarebbero state più le loro braccia ad accoglierle. Perché lei li aveva uccisi.

«Mi sto annoiando» continuò Bellatrix. «Devi rimanere concentrata.»

Improvvisamente si ritrovò a stringere il vuoto, come il vuoto nero della sua anima. Cercò tentoni in mezzo alle lacrime i corpi dei suoi genitori, ma non li sentiva, non c'erano più. Erano spariti per sempre. Non sarebbe più morta in mezzo a loro.

«No» gridò tra i singhiozzi. «Riportali indietro. Riportali da me. Ridammeli!»

«La Spada, ragazza. Dimmi dove l'avete presa!»

Hermione scosse la testa mordendosi ferocemente le labbra. Sentì il sapore del sangue sulla lingua e continuava piangere a stringersi le braccia intorno al corpo mentre la prima sferzata di Cruciatus le ghermirono le membra. Una, due, tre volte. Tre violenti colpi la fecero contorcere per il dolore.

«Granger!»

Hermione urlava e urlava fino a graffiarsi la gola, a cedere tutta sé stessa mentre la maledizione la dilaniava ancora.

Un corpo la sormontò e lei scalciò e graffiò cercando di ritrarsi, di sfuggire da quella tortura, da quelle mani che la afferravano con fermezza.

«Lasciami. Lasciami!»

«Guardami.»

Ma lei si rannicchiò nel suo bozzolo di tormento piangendo e urlando e singhiozzando. Perché non moriva? Perché non l'aveva ancora uccisa? Perché Bellatrix continuava a giocare così con lei? Voleva solo morire. Voleva solo quella concessione.

«Hermione, svegliati.»

Come osava chiamarla per nome? Glielo avevano dato i suoi genitori. Quel nome non meritava di essere pronunciato dalle sue labbra di morte. L'aveva costretta a ucciderli. L'aveva macchiata con la più immonda delle torture. Ma era stata la sua bacchetta a ucciderli.

«Apri gli occhi» disse. «È un incubo.»

Quelle mani la strinsero ancora costringendola a voltarsi. Le avvolsero la testa premendo i pollici sulle guance mentre le trascinava via le lacrime. Ma lei voleva annegarci, voleva soffocare, non voleva più respirare.

«Guardami, Hermione!»

L'urlo la destò e si ritrovò a spalancare le palpebre atterrita. Forse la carnefice voleva che lei assistesse ad una nuova tortura. L'avrebbe uccisa, poi? Le avrebbe dato quella grazia?

«È solo un incubo» continuò mentre lei metteva a fuoco il volto davanti a sé. Sbatté ancora le palpebre e la luce del salotto nel suo campo visivo si confondeva, si scuriva sempre di più, si affievoliva come la sua vita...

Sbatté ancora le palpebre, il respiro in gola, mentre si sentiva ancora costretta da quelle mani. Non potevano averla seguita, non potevano stare lì.

«Respira» disse mentre lei si contorceva per sfuggirgli, chiudeva di nuovo gli occhi. «Non muoverti. Hai ancora la fasciatura. Guardami, Hermione.»

Lei scosse la testa, non riusciva a respirare. Aveva bisogno di aria, aveva bisogno... i suoi genitori. Aveva bisogno di sapere se erano salvi. Si cercò il braccialetto sul polso destro, ma quel corpo le bloccava i movimenti, la teneva fermamente con le spalle contro il letto morbido... Da quando si era spostata nel letto? Era su un tappeto, c'era più luce... dove... dove...?

«Guardami» disse quella voce tra i denti.

Ed Hermione lo ascoltò e lo guardò. Si perse senza fiato in quegli occhi grigi illuminati da una flebile torcia sopra le loro teste. Dove...?

«Respira» ordinò ed Hermione lo fece. «Un altro.» Sentì la gabbia toracica espandersi mentre i suoi occhi non la mollavano. «Un altro.» Prese un altro respiro. «Brava, continua a respirare.» E lei continuò a respirare, uno dopo l'altro, incoraggiata da quella voce e da quegli occhi gentili ma determinati a non farla smettere di respirare, a tenerla salda in quella realtà, come le mani agganciate sulle sue spalle, salde, forti, ma garbate, come quelle di suo padre prima che lei... «Respira» insisté e lei respirò ancora e ancora e ancora finché non sentì interamente le sue membra, finché non sentì l'aria fredda asciugarle le lacrime sul volto bagnato. Respirò e non smise finché non mise a fuoco nuovamente il volto davanti al suo, riconoscendone i tratti spigolosi, le sopracciglia pallide, i capelli biondi quasi argentei, un argento diverso da quello dei suoi occhi, che controllavano che lei non smettesse mai di respirare, di perdersi, di lasciarsi sopraffare da quell'incubo. Non l'abbandonarono mai. La tennero incatenata a sé, in modo diverso da come facevano in altri sogni, ma più come quando si perdevano a sfidarsi nella realtà nel loro personale stallo, quando la incitavano a non mollare, a non smettere di combattere, a continuare a respirare, come ora.

Ed Hermione emise un altro lento profondo respiro avvertendo quel gelo scivolarle via, trasportato lontano da quella corrente calda che le trasmettevano i suoi occhi.

Deglutì con fatica la cenere che si sentì nella gola facendo una smorfia per la fatica.

«Vuoi un po' d'acqua?» chiese il ragazzo attento a ogni sussulto.

Hermione annuì e vide respirare profondamente anche lui mentre rilassava la postura delle spalle e si allontanava da lei per versarle l'acqua in un bicchiere dal comodino affianco al letto. Osservò i suoi movimenti sotto la luce delle torce e sembrava irrigidito, dolorante, così lo osservò meglio e notò delle bende che spuntavano da sotto la camicia da notte sul torace. A un'indagine più dettagliata si accorse che aveva una benda anche intorno alla testa che la circondava da tempia a tempia sulla fronte.

Ma non ebbe modo di chiedergli nulla, la voce continuava a morirle in gola e si chiese quanto avesse urlato prima che lui...

Malfoy le porse il bicchiere e la aiutò a sollevarsi senza dire nulla, mentre la sorreggeva e lei con mano tremante beveva a piccoli sorsi. Quando fu certo che avesse finito le chiese se ne volesse ancora, ma lei scosse la testa, così la adagiò di nuovo sul materasso e le prese il bicchiere posandolo sul comodino.

Seduto al suo fianco, Hermione lo vide osservarla ancora con la schiena ricurva e quando fu certa di aver ritrovato la voce, disse: «Sei entrato nel mio sogno.»

«Non sapevo più come farti svegliare» sussurrò torcendo la mascella, l'espressione mortificata. «Non volevo violarti.»

Hermione inspirò profondamente dal naso, avvertendo quel calore all'altezza del petto vibrarle come quel respiro ancora tentennante. Infine espirò mentre chiedeva: «Che cosa ti sei fatto?»

La sua fronte s'increspò sotto la fasciatura, mentre i suoi occhi s'illuminavano debolmente. «Sono caduto dalla scopa.»

«Come?»

«Forse ero distratto.»

«Tu non cadi dalla scopa» disse lei accigliandosi appena.

«Tu non ti amputi alla lezione di Pozioni.»

«Malfoy.»

«Granger» arricciò un angolo delle labbra.

Hermione sospirò alzando gli occhi al cielo e vide quel sorriso distendersi ancora di più per una ragione che non capì.

«Sul serio, come hai fatto a cadere?» insisté.

«Un difetto alla scopa, credo. È abbastanza vecchia.»

«Come hai fatto a non accorgertene prima?» Non se ne intendeva di volo, ma sapeva che una scopa non si guastava all'improvviso, a meno che... «Malfoy, e se qualcuno l'ha manomessa?» Solo in quel momento le venne in mente la minaccia di Ginny e spalancò gli occhi inorridita. «Dov'eri quando sei caduto?»

«Sorvolavo la Foresta Proibita, perché?»

«Quando?»

«Durante la cena.»

Quindi non era stata lei, anche se non la rassicurò affatto, perché significava che effettivamente c'era qualcuno o qualcosa che l'aveva tirato giù.

«Lo sai che non devi girare da solo per la Foresta, specialmente la sera e soprattutto se c'è qualcuno che vuole farti del male.»

«È più forte di te, vero?» lo vide stringere le labbra, irritato. «Non ce la fai a rimanere fuori dalla mia vita.»

La sua reazione ebbe un effetto uguale e contrario ed Hermione partì in quarta. «È più forte di me cosa, preoccuparmi? È questo che dà fastidio? Che qualcuno si preoccupi per te? O che lo faccia io in particolare?» chiese tra i denti, una sensazione di rifiuto si fece strada.

«Quindi vuoi parlare di questo, ora? Non eri stanca?»

«Eri tu che volevi spiegarti. Perciò prego, spiegati pure.»

Malfoy la osservò attentamente, le labbra una linea dura, ma alla fine costatò che se non l'avesse fatto in quel momento, Hermione non gli avrebbe più concesso quella possibilità, anche se i toni erano già accesi nel principio di un litigio.

«Ho avuto quella reazione perché non voglio essere controllato, perché non mi piace se qualcuno prende decisioni al posto mio. Non l'ho mai voluto, ma ora più che mai sono stufo di essere un burattino. Credete tutti cosa sia giusto per me, ma non sapete cosa significhi essere me. E sono stufo che mi trattiate tutti come un cazzo di bambino che deve essere sorvegliato.»

«Nessuno qui ti ha mai controllato, Malfoy. Ogni decisione che hai preso da quando è iniziata la scuola è stata tua e tua soltanto. Non eri obbligato a prendere quelle dannate ripetizioni, non veramente, te l'aveva detto anche la Mcgranitt. Hai scelto tu di assecondarci, perché sapevi che avevi bisogno di un aiuto. E la cosa che ti dà più fastidio, è che sia stata io a dartelo.»

«All'inizio sì, mi dava fastidio che fossi proprio tu. Sei esasperante, impicciona, arrogante. Non mi dai tregua, nemmeno una volta. Non sai cosa significa ascoltarti blaterare...»

«Insultandomi ancora, non mi dai una buona ragione...»

«Ora devi stare zitta!» la interruppe brusco. «Vuoi che parli? Allora chiudi quella bocca e ascoltami. Sei così maledettamente attaccata alle tue regole da buona samaritana che sembra tu lo faccia di proposito a portarmi all'esasperazione. Ma questo prima» si concesse un respiro nervoso, «prima di capire come sei fatta veramente. Sei buona e altruista e nonostante quello che ti ha fatto Bellatrix, mia zia, a casa mia, tu hai continuato a essere te stessa, anche con me. E non significa niente quello che ho fatto, se ti ho salvata, perché è quello che dovrebbe fare qualsiasi essere umano dotato di buon senso. Tu sei andata oltre a tutto quello che ti ho fatto prima, negli anni scorsi. Sei andata oltre gli insulti, le angherie e alle fatture nei corridoi. E non mi sento a mio agio con questo. Perché so che un mi dispiace non basta per quello. Ma mi dispiace per ciò che ti ho detto quel giorno. È stato ingiusto e gratuito. Non ce l'avevo con te, ma con mia madre, perché ti ha messo in mezzo in una situazione che avrebbe potuto evitarti, dopo quello che hai passato. Perché ancora una volta non la smette di controllare la mia vita.»

«Malfoy, come mi hai detto tu una volta: il passato è passato. Quello che ci siamo detti, non ce lo possiamo rimangiare. Ma l'unica cosa che possiamo fare è evitare di fare gli stessi passi, di compiere gli stessi errori. Io ero veramente preoccupata per te, sapendo che ci sono ancora Mangiamorte che vogliono farti del male. Ma hai preferito ferirmi perché ti sei sentito controllato. Hai usato quello che ti ho mostrato contro di me e mi hai ferita deliberatamente.»

«Qualsiasi cosa ti abbia detto, mi dispiace.»

«Non mi basta. Perché non sai nemmeno quello che mi hai detto! Tu credi di conoscermi, ma non hai la minima idea di quella che sono o di quello che ho passato, di quello che sto tutt'ora passando.»

«Allora dimmelo. Dimmi come non ferirti più.»

Hermione scosse la testa umettandosi le labbra. «Non posso. Non riesco più a fidarmi» disse con sincerità. «Chi mi dice che domani tu non possa usare un altro modo per ferirmi?»

«Dimmi come fare» ripeté sommessamente.

«L'hai detto tu stesso: non sei un bambino. E io non posso accompagnarti con la manina ogni giorno per evitarti le buche mentre io cado al posto tuo.»

Malfoy dischiuse le labbra come se l'avesse schiaffeggiato. Lo vide raddrizzare la schiena prima di chiedere: «Quindi adesso cosa facciamo? Torniamo a ignorarci e basta?»

«Ti ringrazio per quello che hai fatto stasera e per gli appunti, ma forse è meglio così.»

«Perciò ti stai arrendendo.»

Hermione si accigliò a quella provocazione, ma davvero non ce la faceva più. E quella discussione era la prova che loro non ce l'avrebbero mai fatta. E le fece male costatare che in effetti non esisteva un loro. Non era mai esistito, se non nei termini più tempestosi delle loro interazioni. E un loro non sarebbe sussistito in nessun'altra maniera. Nemmeno in quei sogni così sconclusionati che erano la prova che sarebbero potuti esistere solo lì, in quell'universo irreale, dove erano altre persone, un altro loro. Un altro stallo senza conclusione. Una storia infinita. Perciò lo pose lei l'epilogo in quella realtà, lì poteva farlo, lì ne aveva il potere. E fu con un sorriso senza sentimento e la disillusione nello sguardo che infine disse con estenuazione: «Non m'interessa più.»

Malfoy respirò tra i denti, non gli aveva mai visto quel tipo di irritazione ma s'impose di distogliere lo sguardo da lui. E continuò a fissare il letto vuoto alla sua sinistra mentre lui si alzava e ritornava al suo dall'altra parte dell'Infermeria, aggiungendo spazio in quel divario che li separava. Ma si disse che era giusto così anche se aveva ancora voglia di litigare, di continuare a urlarsi addosso, di sentirsi ancora così viva come non lo era con nessuno, non così, almeno. Ed era questo che la infastidiva ancora di più, la consapevolezza, repentina, che smetteva di sopravvivere quando era con lui, quando litigavano e la pungolava e lei fremeva per rispondergli. E ora era persino riuscito a farla riprendere da un incubo, l'aveva tirata via e l'aveva riportata alla realtà in ogni senso immaginabile. E quello era un potere che la spaventava più di ogni cosa. Il potere che fosse Malfoy a renderla viva, che la facesse respirare in un'esistenza in apnea. Eccola quella paura che la faceva ritrarre, finalmente.

Aveva paura che Malfoy fosse entrato in lei più profondamente di quanto si sarebbe mai immaginata.

Ancora una volta, le tornò in mente quella legge babbana e capì con sconcerto che la catastrofe non l'aveva nemmeno sfiorata. Ci si era catapultata con tutta sé stessa e ora ne era sommersa.


Eccoci con un nuovo aggiornamento!

Eeeeh... niente. Questo capitolo è bello intenso, o almeno per me lo è stato scriverlo. Questi due mi fanno ridere e penare nello stesso momento. Io vorrei fargli fare delle cose, ma loro agiscono in tutt'altro modo e delle volte mi viene voglia di prenderli e ammucchiarli come quando da piccola facevo fare altre cose alle barbie senza chiedere loro il permesso. Ma niente, se voglio farli arrivare dove voglio, devo prima ascoltare cosa hanno da dire e mio malgrado, sono loro che comandano (una mia amica ci tiene a sottolineare che questo dramma non sussisterebbe giacché sono nella mia testa, ma si sa, i pensieri non li puoi controllare... Scusa, Hermione, mi riferivo proprio a te.)

Comunque, deliri a parte, spero che vi sia piaciuto. Grazie per aver letto, votato e inserito nelle letture. È sempre un piacere scorgere quelle notifiche nella barra in alto.

Alla prossima.

Bisous

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