39. Il raccolto (parte 1)

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— Non dovevo dirlo? — domanda Callàis, sogghignando. — No, probabilmente no, ma che ci puoi fare: io sono un mostro, e questo mi permette di dire e fare quello che voglio, senza preoccuparmi di ferire gli altri, che poi è l'unica cosa che sono capace di fare.

Le sue parole sono affilate come coltelli e lui le dice con una cattiveria tale da farmi pensare che il suo obiettivo sia esattamente quello di farsi del male, rigirando la lama nella ferita infetta e marcescente che gli si è appena aperta dentro.

Rimango un attimo a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua, sconvolta da come le cose stiano rapidamente scivolando fuori dal mio controllo. — Non è come sembra — affermo poi, rivolgendomi ad Alveus e ignorando Callàis, mentre con le mani mi stringo le spalle ferite dal suo tocco di morte.

Gli occhi smeraldini del ragazzo si adombrano, mentre il suo volto si fa di pietra. — Dimmelo tu, Lympha: come sembra?

— Io... — Esito, non sapendo come giustificarmi. ­— Io non volevo. Sai com'è la bhanrigh... Ci ha offerto da bere e da mangiare, e io ne ho approfittato troppo: di sicuro la bevanda era stregata, non sapevo quello che facevo... Alla fine trova sempre il modo di obbligarti a fare quello che vuole lei.

Tutto quello che dico è vero, senza dubbio, ma mentre parlo mi pare comunque di sentire lo stridore delle mie unghie mentre mi arrampico sugli specchi: se non suono convincente nemmeno alle mie orecchie, come può credermi Alveus?

Lui mi fissa con uno sguardo serio che stona sul suo viso di solito solare. — In realtà la bhanrigh in genere inganna le persone affinché bacino lei — puntualizza, con una punta di dolore e imbarazzo nella voce.

— Certo... Infatti è andata così...

— Hai baciato la bhanrigh? — domanda, spalancando gli occhi.

— No, no, Rohkeus me lo ha... cioè... mi è stato impedito prima che potessi farlo.

Non appena pronuncio il nome del mezzelfo Alveus fa una risatina amara e non ribatte più nulla.

— E allora perché alla fine hai baciato lui? — si intromette Callàis, appoggiato a braccia incrociate a uno scaffale e con un'espressione di sfida dipinta in viso. Le labbra gli si deformano in un sorriso sornione, come se fosse un gatto che gioca col topo un attimo prima di mangiarselo. Forse è il suo modo di esorcizzare la propria sofferenza, forse vedere me che annaspo in cerca di una via di fuga da questa conversazione lo fa sentire più a suo agio. Non lo so. Quello che so è che in questo momento lo odio.

Lo odio nonostante mi dispiaccia terribilmente per lui, per quello che ha appena scoperto.

Lo odio perché sembra stia facendo di tutto per diventare il demone che crede di essere, e nella sua disperazione trascina anche me nel fango, come in realtà ha sempre fatto.

E come sempre io sono piena di appigli, glieli fornisco su un piatto d'argento. Perché, come sempre, se Callàis può smascherare il mio lato colpevole e cattivo è solo colpa mia. In fondo, ognuno raccoglie ciò che semina.

— Sta' zitto! — gli urlo, spintonandolo e facendogli sbattere la testa contro una fila di libri. — Lasciami stare. Perché devi sempre rovinare tutto?

— Io non ho rovinato proprio un bel niente, Lympha, hai fatto tutto tu con le tue stesse mani. Anzi, con le tue stesse labbra.

— Era un incantesimo! Un maledetto incantesimo! Lo sappiamo tutti e nessuno meglio di te, Alveus — esclamo, senza riuscire più a trattenere la rabbia e la disperazione che mi si espandono dentro sempre più, aumentando di intensità fin quasi a farmi esplodere.

Fonte limpidaWhere stories live. Discover now