18. Chi non muore

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Al suono della voce alle mie spalle mi volto di scatto, giusto in tempo per vedere infrangersi al suolo le uova che la donna ha lasciato cadere per la sorpresa. È bassa e minuta, dall'aspetto molto più aggraziato di tutti i mezzelfi che ho incontrato finora, ma la caratteristica che più risalta all'occhio sono i fiammeggianti capelli rossi, che ondeggiano come dotati di vita propria.

Comincia a dire qualcosa, ma Rohkeus la interrompe, indicandomi: — Parla la lingua delle ninfe, cosicché anche lei possa capire.

— Possa colpirmi un fulmine! Sei proprio tu, Rohki? — esclama allora la donna con una voce roca che contrasta con il suo aspetto leggero. Lui la fissa, senza rispondere.

— Allora è proprio vero, chi non muore si rivede, anche se ammetto che pensavo che tu lo fossi. Morto, intendo. Su, forza, entrate — afferma, ancora sorpresa, spingendoci verso la porta precedentemente aperta dai due bambini.

— Shabh, Onnekas, che ci fate qui? — chiede ai due, che ora ci fissano a occhi sbarrati.

— Mamma, stiamo facendo esercizio con la lingua delle fate? — domanda la femmina, con i capelli che paiono fiamme, come quelli della madre, e penetranti occhi neri.

— Ninfe, tesoro, non fate — la corregge la strega, accompagnandoci in un salotto dalle tende a fiorellini cremisi, così come il divanetto e le poltrone su cui i due bambini corrono a sedersi, spintonandosi. Io non so bene come comportarmi e così, per stemperare la tensione, comincio ad accarezzare Gordost tra le orecchie.

— Accomodatevi — ci invita la strega, vedendoci fermi sull'uscio. Mi siedo rigidamente sul divanetto, con il mezzelfo al mio fianco.

— Rohkeus — ripete ancora, faticando a credere a quel che vede e allungando una mano verso il viso di lui, come per avere la conferma che non sia un sogno. Tuttavia, la ritrae prima di riuscire a sfiorarlo e, con un movimento elegante, si siede a sua volta sull'ultima poltrona rimasta libera.

— Che ti è successo alla faccia? — domanda, osservando le linee nerastre che attraversano la guancia del mezzelfo. In realtà, benché ancora brutta, la ferita è molto migliorata rispetto a ieri.

— Niente — cerca di minimizzare lui, girando il volto in modo che la strega non riesca a vedere il lato infortunato. Lei non sembra convinta, ma si astiene dal fare ulteriori domande.

— Quindi tu sei una ninfa? — chiede spavalda la bambina, che sembra aver perso tutto il timore provato in un primo momento.

— Ninfa! — ripete il bimbo più piccolo, seminascosto dietro la schiena della sorella.

Annuisco, mentre la strega la sgrida: — Shabh, tesoro, non disturbarla. — Poi si volta verso di me e aggiunge, allungandomi una mano: — Non ci siamo presentate: piacere, cara, io sono Huba.

— Lympha — affermo, ricambiando la stretta. Sta per lasciarmi andare la mano, quando d'un tratto si immobilizza, trattenendo le mie dita tra le sue, che ora corrono silenziose sull'anello che porto sul medio.

— L'anello... — sussurra, come in trance. — Rohkeus, dove avete trovato l'anello? Dov'è Vilpiton? — esclama poi, quasi arrabbiata.

— Cosa? — esclamo, ritraendo di scatto la mano.

— Hai dei capelli bellissimi — continua la bambina, completamente fuori luogo, sporgendosi oltre il bordo della poltrona e accarezzandomi la fine della coda. — Se vuoi posso farteli diventare pieni di brillantini.

— Shabh, ti ho detto di lasciarla stare. Andate in camera vostra — esclama Huba, senza però staccare i suoi inquietanti occhi rossi dal mezzelfo, la cui espressione è sconvolta quasi quanto la mia.

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