35. Il prezzo da pagare

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Un grido improvviso si alza dalla folla, acuto e straziante, e subito altre urla gli fanno eco: sono lamenti tanto disperati che sembra quasi che a essere in punto di morte siano gli spettatori e non noi.

Mi volto di scatto, cercando di scorgere qualcosa tra le lingue di fuoco e le mie lacrime, ma non faccio nemmeno in tempo a stringere gli occhi che una cascata d'acqua si abbatte sulle nostre teste. Per l'impatto inaspettato le gambe mi cedono e se non cado in terra è solo per merito delle corde che mi fissano al palo.

Lo scrosciare dell'acqua è tanto forte che non sento più nient'altro, mentre questa mi cola sul viso, obbligandomi a tenere gli occhi chiusi e trattenere il respiro. Pian piano il flusso diminuisce, ma non si ferma: continua a scorrere come un fiume giunto alla sua foce, dividendosi in decine di rivoli che ora mi accarezzano delicati il corpo e si riversano sulle fiamme, che spirano sibilando.

Rimango immobile, troppo sconvolta per fare qualcosa o anche solo per pensare. Il tutto è accaduto così in fretta, l'accensione del fuoco e il suo spegnimento, che hanno giusto fatto in tempo a bruciarsi le punte dei capelli.

Intorno a noi invece è scoppiato il finimondo: tutti quelli che prima ci stavano guardando ora si contorcono sul suolo come se qualche mostro senza pietà li stesse divorando dall'interno, e per un attimo mi piace pensare che sia la loro coscienza. Ogni singola persona grida e piange, mentre qualcosa che sembra acqua sale in fili sinuosi dal suo corpo verso il cielo. Milioni di sottilissimi rigagnoli fluttuanti convergono sopra la mia testa, si intrecciano tra loro e cadono poi in una scrosciante cascata, la portata resa non indifferente dal grande numero di creature presenti. È uno spettacolo terribile e bellissimo, come se la terra stesse piangendo e le sue lacrime formassero un merletto raffinato che si staglia contro il cielo turchese.

— Lympha — mi chiama Iris, la voce colma di meraviglia. — Guarda.

Faccio girare lo sguardo su tutta la radura fino al baldacchino della bhanrigh, che ora giace piegata e agonizzate come tutto il suo popolo. Un sorriso soddisfatto mi si apre sul volto nel vederla accasciata tra i suoi cuscini, accartocciata come una foglia secca destinata a sbriciolarsi.

Sulla pedana, solo una persona è ancora in piedi: Alveus. È immobile, il viso contratto in un'espressione concentrata e assorta, le braccia distese lungo i fianchi e gli occhi chiusi.

Dal suo corpo non si alza nessun filo d'acqua, l'unico a parte Iris e me.

Acqua.

Ma certo, acqua!

Scoppio a ridere in modo isterico.

— Santi fiumi, è acqua! — urlo, rivolta a mia sorella, e lo ripeto come se fosse un mantra: — Iris, è acqua, è acqua!

All'inizio lei mi guarda come se fossi impazzita, ma poi capisce e un sorriso sorpreso le accende il viso.

Come risvegliandosi da un incanto, Alveus spalanca gli occhi e corre giù dalla pedana, mentre tutti i fiumi fluttuanti ricadono al suolo in una pioggia improvvisa e casuale. In un attimo percorre la distanza che ci separa e subito si avventa sulle corde che ci legano i polsi e il busto. Le sue dita tremano in modo febbrile e i capelli gli ricadono davanti agli occhi, nascondendo la sua espressione.

Alla fine riesce a sciogliere i nodi, e io, nel momento in cui mi ritrovo privata del loro sostegno, quasi gli cado addosso, riacquistando però l'equilibrio un attimo prima di finire tra le sue braccia.

Mi allontano di un passo e poi gli domando, guardandolo dritto in faccia: — Alveus, ti ricordi?

Lui distoglie lo sguardo, fissando un punto intorno ai suoi piedi con aria contrita, quasi gli mancasse il coraggio di incontrare i miei occhi.

Fonte limpidaHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin