41. Dentro l'abisso

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— Tu sei pazza! — esclama Callàis all'udire il mio piano. — Innanzitutto il mio potere funziona quando tocco le cose direttamente con le mani, e poi non posso far marcire tutto: è troppa roba! — Nel dirlo allarga le braccia, stirandole il più possibile, come a mostrarmi che, per quanto si impegni, è impossibile racchiudere in un solo gesto tutto ciò che Measan-Ura offre.

— Vuoi dire che non ne sei capace? — lo provoco, guardandolo da sotto in su con aria di scherno.

— Vuol dire che non ho mai fatto niente del genere — si difende, punto sul vivo.

— E poi non devi fare tutto da solo — continuo, sempre più euforica. — Alveus può aiutarti.

— Cosa? — esclama il ragazzo, colto alla sprovvista.

— Ma sì, per essere tutto così rigoglioso devono per forza esserci un sacco di fonti d'acqua: basta che le fai straripare, inondi i campi, crei alluvioni... Insomma, quello che ti viene.

Appena finisco di parlare cala il silenzio ed entrambi i ragazzi mi fissano senza sapere cosa ribattere, il primo con un'espressione scettica dipinta in viso e il secondo con i grandi occhi verdi spalancati per l'incredulità.

— Allora? — li sprono. — È la nostra unica possibilità, pensateci bene.

— In realtà non sappiamo come reagirebbero gli elfi a una simile eventualità — mi contraddice Callàis, incrociando le braccia sul petto. — Potrebbero avere un accurato protocollo per mantenere l'ordine ed evacuare in fretta in caso di emergenza.

— Io non credo, sono abbastanza convinta che non si aspettino che possa accadere niente del genere. Chi mai potrebbe voler attaccare un posto come questo? Anche solo trovarlo è complicato.

— Se anche avessi ragione tu, nessuno ti garantisce che in mezzo al caos tu riesca ad arrivare fino ai campi di grano, anche perché sicuramente il tuo mezzelfo non resterà lì fermo ad aspettarti. Probabilmente si farà prendere dal panico e scapperà come tutti gli altri.

— Rohkeus non si fa prendere dal panico — lo difendo prontamente, puntandomi i pugni sui fianchi.

— Ti ricordo che è lo stesso idiota che è sceso da solo nelle prigioni degli elfi per salvarti, nonostante gli avessero già detto che eri scappata.

— E cosa c'entra, scusa?

— Smettetela — interviene mia sorella, prima che la situazione degeneri, ed entrambi ci voltiamo a guardarla infastiditi per la sua intromissione.

— Dicci la tua, Iris — la sprono, fissandola in tralice e minacciandola con gli occhi affinché mi dia ragione.

— Riflettiamoci un attimo — dice lei diplomatica, cercando di placare gli animi. — Qualcuno ha altre idee?

Nessuno le risponde e infine è Alveus il primo a riprendere la parola: ­— Magari io potrei riuscirci, a fare quello che dice Lym.

Io rivolgo a Callàis un'occhiata soddisfatta, ma prima che lui possa ribattere un rumore di passi comincia a riecheggiare dal fondo del corridoio.

— Nascondiamoci — sussurra Iris, con la voce tinta di panico. Afferra Alveus per un polso e lo trascina nella stanza da cui siamo venuti, con noi alle calcagna. Ci accucciamo in silenzio dietro la porta, stretti uno all'altro e trattenendo il respiro, ma fortunatamente gli elfi ci passano davanti e proseguono oltre, senza percepire niente di sospetto.

Conto fino a dieci, poi socchiudo di nuovo l'uscio, sbirciando nel corridoio in modo cauto: il tunnel finestrato è però tornato deserto e mi concedo di tirare un sospiro di sollievo. Mi volto quindi verso i miei compagni, cercando di dipingermi in volto l'aria più seria possibile.

Fonte limpidaWhere stories live. Discover now