I. Bianconiglio

114 13 22
                                    

‒Ravenna! Ravenna, aspetta! Ravenna!

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

‒Ravenna! Ravenna, aspetta! Ravenna!

Ravenna non diede ascolto ai richiami di Dolores. Corse intorno al laghetto, oltre la palizzata, e si accucciò sul terriccio polveroso, accanto alle grosse pietre liminari. Lì un nutrito gruppo di anatre l'attendeva con trepidazione.

La bambina non esitò e tirò fuori dallo zaino rosa il suo prezioso scettro, ciò che le garantiva il vero potere: un sacchetto di carta colmo di pane. Non appena lo videro, le anatre starnazzarono e si accalcarono intorno a lei.

Ravenna rise. ‒Ho capito, ho capito! Un attimo di pazienza!

Aprì il sacchetto, ne estrasse una grossa fetta e iniziò a sbriciolarla con puntigliosa attenzione. Si sentiva felice come una Pasqua.

Nel frattempo, Dolores l'aveva raggiunta. Affaticata per la corsa e raccogliendo la lunga gonna blu che indossava, si accucciò a sua volta accanto alla bambina e scosse la testa. ‒Non devi correre così sulla riva. Potresti scivolare e cadere!‒ Poi, come realizzando solo in quel momento che cosa stava accadendo, aggiunse: ‒Dagliene poco, oppure si gonfieranno e staranno male.

Per tutta risposta, Ravenna ignorò la raccomandazione e distribuì un'altra copiosa manciata di molliche sulla superficie dell'acqua.

Dolores le scoccò un'occhiata ammonitoria, ma non disse nulla.

Era una bella giornata primaverile. Il sole brillava alto nel cielo, ma non bollente, mitigato dalle brezze che spiravano nell'aria. Il fruscio di foglie nuove, il cinguettio degli uccellini, il sussurro ciarliero dei turisti a passeggio erano una musica familiare, a Villa Borghese.

Ravenna alzò gli occhi sulla costruzione che si ergeva armoniosa nel bel mezzo del lago e pensò che fosse davvero bella.

‒Quello è il tempio di Asclepio‒ disse Dolores, seguendo il suo sguardo.

‒Chi è Ascepio?

‒Asclepio era il dio greco della medicina‒ spiegò paziente la donna, il volto velato d'ammirazione. ‒Il suo bastone era in grado di guarire ogni ferita!

Ravenna annuì, pensando che quell'Allepio (o come si chiamava) doveva essere stato proprio un bravo dio per meritarsi addirittura un tempio.

Lei e Dolores andavano spesso a zonzo dopo la scuola, ma non le era mai capitato di passare per il Giardino del Lago. Le piaceva quel posto: c'erano pace e colore, e i sentieri del parco erano tanti e tanto lunghi che sembrava di trovarsi in un labirinto.

Dopo aver riposto il sacchetto del pane, Ravenna schizzò in piedi, decisa a godersi il pomeriggio fino in fondo. Ancora un paio d'ore e sarebbe dovuta rincasare e, per quanto fosse dei più lussuosi, il suo appartamento in Via dei Gracchi non era definibile "accogliente". E nemmeno i suoi genitori.

Rivolse a Dolores un sorriso furbo e, muovendo un passo indietro, la sfidò: ‒Prova a prendermi!

Dolores balzò verso di lei. ‒Prega che non lo faccia!

Troppo tardi. Zaino in spalla, la bambina si diede a una fuga disperata. Sentiva il vento fra i capelli, la terra sotto ai piedi e il cuore in gola.

‒Questa volta non mi scappi!‒ tuonò Dolores e Ravenna scattò più veloce.

Acchiapparella era il suo gioco preferito. No, ogni gioco in cui bisognava correre lo era. La sensazione di un corpo lanciato nel mondo, il movimento, l'energia che si sprigionava intorno: tutto diventava unico, vivido, bellissimo.

A un tratto, la mano di Dolores si allungò pericolosamente verso il suo braccio e lo mancò per un pelo. Ravenna rise forte e si infiltrò tra gli alberi del parco. Era libera, libera!

Ma, nei pressi di uno spiazzo erboso, si fermò.

C'era qualcuno.

Un coniglio.

La stava aspettando.

Il cuore di Ravenna fece una capriola. "I conigli non aspettano le persone."

I due rimasero a studiarsi per istanti interminabili. Ravenna era mora e spigolosa, il coniglio invece bianco e soffice come una nuvola. Era solo. Si trovava nel bel mezzo della radura, come se fosse caduto lì dal cielo o germogliato dal terreno.

Ravenna aveva la strana sensazione di averlo già visto. Si erano incontrati prima? Erano destinati a farlo? Avvertì un pizzicore alla base del collo, una spinta, un bisogno.

La bambina si accartocciò sul posto e allungò una mano. ‒Vieni qui‒ disse.

Il coniglio obbedì. Saltellando sulle zampette, raggiunse la mano di Ravenna e l'annusò.

Poi la morse.

Ravenna lanciò un urlo e cadde sulla schiena. ‒Mi ha morso!‒ gridò sgomenta, osservando il rosso che colava tra le dita. ‒Mi ha morso!

Dolores le fu subito accanto. L'afferrò per le spalle e la aiutò ad alzarsi. ‒Que pasa?‒ chiese preoccupata, prendendole la manina grondante di sangue.

Ravenna non riusciva nemmeno a parlare. Piangeva disperata, più per lo spavento che per il dolore. C'era qualcosa che non quadrava, qualcosa di sbagliato in un giorno perfetto, in un posto perfetto. Guardò il coniglio. Enormi occhi blu la scrutavano, brillanti, famelici, senzienti. ‒Il coniglio ha voluto mordermi‒ disse infine Ravenna.

Dolores sulle prime parve confusa. Abbracciò forte la bimba e le fece scorrere le dita tra i capelli. ‒Adesso passa‒ la rassicurò. Ma non appena i suoi occhi verdi si posarono sul coniglio, la donna si irrigidì e, con uno scatto secco, si parò di fronte alla bambina.

In un attimo, per Ravenna ci fu solo la sagoma di Dolores, una montagna invalicabile contro l'azzurro del cielo e il verde del parco. ‒Non osare avvicinarti!‒ intimò, allargando le braccia.

Ravenna si sporse di poco e vide che, dietro al coniglio, dall'altra parte dello spiazzo erboso, ora era apparso un ragazzo. Era alto, ben piazzato e dal volto spietato. Veniva risoluto e torvo verso di loro, i denti scoperti in un ringhio animalesco.

Guardandolo, Ravenna quasi dimenticò il bruciore del morso, assalita da un terrore molto più viscerale e istintivo. ‒Che succede, Doli?

Il coniglio indietreggiò, ma lo sconosciuto avanzò ancora, implacabile.

Allora accadde qualcosa che Ravenna non riuscì mai a spiegarsi del tutto: dal corpo di Dolores si propagarono un guizzo e una scossa arancio nello spazio intorno a loro. Ravenna si aggrappò alla lunga gonna della donna, e solo per questo non venne sbalzata indietro.

Il corpicino del coniglio rotolò nell'erba fino ai piedi del ragazzo, che cadde in ginocchio, ma non arretrò di un millimetro. Al contrario, tirò fuori qualcosa dalla tasca interna della sua giacca. Qualcosa di nero e pesante, qualcosa di orribile, ma... Ravenna non fu in grado di metterlo a fuoco.

Si risvegliò la mattina successiva, al sicuro nel proprio letto, nel grigiore della propria abitazione. Del morso del coniglio non era rimasta che una debole traccia argentea sul dorso della mano sinistra.

Ravenna conservò solo pochi e frammentari ricordi di quel pomeriggio. Non capì mai cosa fossero stati i lampi aranciati che aveva visto, come avessero fatto a tornare a casa, come la sua ferita fosse guarita così in fretta e che cosa avesse in mano il ragazzo spietato.

Ma da quel momento, anche se non lo disse ad alta voce, Ravenna covò sempre il sospetto che, se Asclepio era stato un dio, Dolores non doveva essere poi qualcosa di molto diverso.

E forse, dopotutto, quel coniglio la stava davvero aspettando in quello spiazzo.

Perché era un posto perfetto,

in un giorno perfetto.

Malva e PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora