Postfactum

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La pioggia giunse su Roma, quel giorno di fine Gennaio, come un amico di lunga data che venga dopo tanto tempo a fare una sorpresa, bussando alla porta di domenica mattina presto

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La pioggia giunse su Roma, quel giorno di fine Gennaio, come un amico di lunga data che venga dopo tanto tempo a fare una sorpresa, bussando alla porta di domenica mattina presto.

Inaspettato, un po' infastidisce, ma un po' anche reca conforto e sollievo.

La pioggia giunse piano piano, in punta di piedi, come se non volesse disturbare, tra il trambusto brulicante della Città Eterna, il via-vai dei suoi abitanti e il tumulto nascosto dei loro animi.

Ravenna se ne rese conto solo quando una goccia più pesante delle altre le piombò tra le ciglia.

Spiò il cielo con perplessità, ricordò di non avere con sé alcun ombrello e si precipitò verso la fermata dell'autobus.

Incrociava passanti sul suo cammino, raffigurazioni trafelate di loro stessi, bordi trasparenti di volti senza nome, ansiosi di trovare riparo.

L'acquazzone aveva preso tutti alla sprovvista.

Vide in lontananza la sua meta designata, un autobus che accostava e le porte che si aprivano.

Una marea di passeggeri si riversò sul marciapiede, inondando quanti tentavano di salire controcorrente, tra spintoni e colorite imprecazioni.

Ravenna si accorse che l'autobus, già stracolmo, era quello che avrebbe dovuto prendere anche lei, ma un secondo troppo tardi. Gli andò incontro come un naufrago con la terraferma, mentre il temporale si faceva scrosciante.

‒Aspetta, ci sono anch'io!‒ si sgolò, sbracciando e correndo, nella speranza di rendere manifesta la sua presenza all'autista.

Quello, quasi per dispetto, ripartì a tutta velocità, lasciando Ravenna zuppa e impotente a osservare la scena.

La ragazza tirò un lungo sospiro amareggiato e si rassegnò all'idea che avrebbe preso la corsa successiva. Allungò verso la pensilina, ma quando la folla di viandanti si disperse, Ravenna si fermò e il cuore le cadde dal petto.

Alla fermata era rimasto qualcuno.

Un coniglio bianco.

Aspettava l'autobus sulla panchina, tutto solo.

"Ma i conigli non aspettano l'autobus."

Ravenna raggiunse la pensilina e gli si piantò di fronte.

‒Ciao‒ disse. ‒Che ci fai qui?

Il coniglio non rispose.

Ravenna indicò il posto accanto a lui. ‒Posso sedermi?

Il coniglio la scrutò coi suoi indolenti occhietti azzurri.

Ravenna sapeva di non avere un aspetto dei migliori coi capelli rosa gocciolanti e i jeans strappati scuri di pioggia, ma l'altro non obbiettò, quindi la ragazza lo prese per un sì e gli si accomodò di fianco.

Rimasero in silenzio per un po'.

Alla fine, prendendo coraggio, Ravenna chiese: ‒Come stai?

Il coniglio non glielo disse.

‒Io bene, tutto sommato. Dolores e i miei mi hanno raccontato la verità. E' stato difficile da accettare all'inizio, però adesso mi sembra che la mia vita abbia molto più senso.

Il suo interlocutore rimase sulle sue, ma a Ravenna non parve seccato, quindi proseguì: ‒Ah, sto anche pensando di unirmi alla Congrega di Dolores. Stranamente, mamma e papà non sembrano avere niente in contrario.

Guardò la strada, l'acqua che tamburellava imperterrita sull'asfalto, schizzandole gli anfibi consumati. Dondolò le gambe come una bambina. ‒Il fatto è che per la prima volta le cose stanno andando per il verso giusto. Mi fa un po' strano, perché niente di tutto questo sarebbe mai successo se non ti avessi incontrato.

Ravenna rimase in attesa di una replica, che non arrivò. Di colpo fu assalita da una profonda tristezza. ‒A volte ci penso a quella notte, sai? A quello che sarebbe potuto succedere. Tu ci pensi mai? Se fosse andata diversamente, ora io non sarei qui. Perché non l'hai fatto? Perché non sei andato fino in fondo?

Ravenna gli lanciò un'occhiata penetrante da sopra a una spalla, ma, ancora, il coniglio non rispose.

La ragazza scosse la testa e ridacchiò.

‒Certo che sei un pavido, eh! E poi, comunque,‒ Ravenna si umettò le labbra, curvando il collo di lato, ‒mi è sempre rimasto un dubbio, e questo devi proprio levarmelo. Mi avresti mai invitata a ballare se non avessi dovuto uccidermi? Sii sincero. Puoi dirmelo, non mi offendo mica!

Di nuovo, il coniglio non replicò, ma adesso la guardava. Ciondolò due passetti verso di lei per annusarle la mano. Questa volta non la morse.

Ravenna sorrise. ‒Va bene, ho capito. Grazie.

Trascorse del tempo. Avrebbero potuto essere minuti come ore.

Smise di piovere.

Un secondo autobus giunse alla fermata. Non era quello di Ravenna, ma era quello del suo piccolo amico.

Il veicolo si arrestò, brontolando, tra lo stridio dei freni e una lenta scivolata. Non contava molti passeggeri.

Quando le porte si spalancarono, il coniglio balzò giù dalla panchina, saltellò fin quando non si trovò a una ragionevole distanza e salì a bordo. Poi si voltò verso di lei.

Ravenna gli fece un cenno con la mano. ‒Ci vediamo, Paura.

Lui non distolse mai lo sguardo.

Infine, le porte si richiusero con cigolare e sferragliare.

In una nuvola rombante di fumo nero, l'autobus partì, si allontanò e scomparve per le vie di Roma.

E forse si sarebbero rivisti, o forse no, ma questo nessuno avrebbe potuto prevederlo.

Per loro era vago il significato della parola "Addio".

Malva e PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora