IL CONTEST DEI DESTINI INCROCIATI

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Babilonia, 329 a.C. — Estate

Il conquistatore era entrato in città coperto di gloria insieme al suo esercito di barbari.
Dall'alto della sua postazione in cima alle mura, un uomo aspettava paziente che il nemico arrivasse più vicino. Le sue dita si aprivano e chiudevano ritmicamente attorno all'impugnatura dell'arco di squisita fattura, ma a parte quel piccolo segno di nervosismo l'uomo era perfettamente immobile, tanto da assomigliare alle statue delle sfingi che adornavano le porte di Babilonia.
Aveva la pelle ambrata tipica dei persiani, occhi penetranti che luccicavano d'odio, capelli ricci e neri tenuti a bada da una fascia di cuoio.
Seguiva con lo sguardo il corteo trionfale del conquistatore, che sembrava infinito e faceva un baccano infernale mentre attraversava le vie della città; il giovane condottiero avanzava in groppa a un possente destriero nero e scalpitante, più simile a un demone che a un cavallo.
La corda dell'arco si tese, l'asticella della freccia grattò contro le dita callose dell'uomo, la punta di bronzo si fissò sul suo bersaglio, la testa ricciuta di Alessandro il macedone.

«Io non lo farei.»

Le parole erano state pronunciate sottovoce, quietamente, ma la fredda lama della spada che si poggiò silenziosa contro il suo collo rendeva tangibile la minaccia insita in quell'avvertimento.
L'arciere lanciò un'occhiata alle sue spalle, osservando di sottecchi l'uomo che era riuscito a seguirlo fin lassù e a coglierlo di sorpresa proprio quando stava per attuare il suo proposito di vendetta.
Era uno degli invasori, senza dubbio — lo rivelavano la sua armatura, la disordinata barba rossiccia e la carnagione pallida, troppo chiara anche per un greco; doveva essere nato negli estremi angoli della Macedonia, tra le montagne ai confini del mondo.
Nell'incrociare il suo sguardo furioso, le labbra si arricciarono in un sorriso di puro divertimento.

«Ah!» esclamò il soldato, spingendo più a fondo la lama quando vide la mano dell'altro scivolare verso il pugnale che portava alla cintura.
«Se fossi in te non farei neanche quello!»

«Chi sei tu per negarmi il piacere della vendetta?» sbottò l'arciere, inviperito. «Avevo tre fratelli — tutti massacrati dalla sete di potere di quel ragazzo! Dimmi, pensi che m'importi qualcosa di morire?»

Il macedone l'osservò con aria pensosa: aveva il potere di mettere alla prova le parole del persiano e vedere se davvero non temeva la morte.
Sarebbe bastato lasciar scorrere la spada per vedere il sangue sprizzare.
Aveva ucciso molti uomini nella foga della battaglia, ma allora non aveva badato ai loro volti, non aveva udito la sofferenza nella loro voce.
Percepì che uccidere lì, in cima alle mura di Babilonia, sarebbe stato diverso: recidere con indifferenza la vita di un uomo disarmato significava attraversare la sottile linea che separa un soldato da un assassino.

Il loro destino correva lungo il filo della sua lama.

«Chi sono io? Rallegrati, sono l'uomo che sta per salvarti la pelle e scortarti fuori da qui.»

Mantenne la parola: mentre Alessandro prendeva ufficialmente possesso di Babilonia, il macedone e il persiano si scrutarono a lungo, fuori dalle porte della città.

«Tietti stretto il dono che ti ho fatto oggi, non sprecarlo alla ricerca di una cosa effimera come la vendetta: i tuoi fratelli sono morti e l'odio non li riporterà in vita. Su, va', ragazzo, vattene!»

Lo guardò allontanarsi in sella a un vecchio ronzino: sperava di non vederlo mai più, ma qualcosa, nel profondo del suo animo, gli suggeriva che si sarebbero reincontrati presto.

Roma, I secolo d.C. — Primavera

Il fuoco era dilagato all'improvviso, violento e inarrestabile.
Un uomo fuggiva nel disperato tentativo di sottrarsi alla sua furia, tallonato dalle fiamme che divoravano senza pietà case, botteghe, piazze. S'innalzavano contro il cielo notturno come bestie inviperite, ruggendo e sibilando mentre procedevano nella loro opera di distruzione, quasi fossero cosa viva.
L'uomo aveva all'incirca una ventina d'anni ed era un fabbro dal fisico robusto, eppure quella corsa infinita lo stava sfiancando: gli sembrava di star correndo da ore, ma non dovevano essere passati che pochi minuti da quando si era svegliato per la puzza di fumo che saliva dalla strada di fronte. Aveva ben presto perso di vista i suoi vicini che come lui si erano dati alla fuga, portandosi appresso i pochi averi che erano riusciti ad afferrare prima che la loro insula si accartocciasse su sé stessa e crollasse a terra come una foglia morta.
A un tratto gli parve di udire qualcosa — una voce umana — provenire dall'inferno alle sue spalle e colto da un presentimento si voltò, scrutando le fiamme con occhi penetranti che luccicavano di indecisione.

Of the souls we leave behindМесто, где живут истории. Откройте их для себя