23. Respirare

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Svegliandosi, il mattino seguente, per un momento Eren non riuscì a ricordare dove fosse. Non riconobbe le lenzuola in cui era avvolto, o il muro di fronte a sé.

E poi un suono alle sue spalle lo fece voltare, e vedendo il viso dell'Alpha addormentato una cascata di ricordi gli invase la mente.

Quindi, alla fine, l'aveva fatto per davvero.

Era tutto finito. O forse era meglio dire che era ricominciato?

Quel lungo periodo passato da solo, a prendersi cura unicamente di sé stesso, gli aveva fatto bene, non poteva negarlo. Lasciarsi era stato doloroso, ma ciò che Eren aveva dovuto vivere, affrontare ed elaborare, non avrebbe potuto farlo con Levi. Quelle settimane erano state la sua crisalide, e non era sicuro di esserne ancora del tutto uscito, ma essere riuscito a riavvicinarsi all'Alpha gli faceva ben sperare di poter intravedere ora una piccola luce, che filtrava nel bozzolo.

Aveva fatto pace col suo passato, ma ancora di più, aveva fatto pace coi bambini che portava in grembo e la cui esistenza aveva ignorato per tanto tempo. Negandola, li aveva messi a rischio. Forse, se fosse stato meno concentrato su di sé, sarebbe stato capace di fare due più due, di cogliere i segnali prima che diventassero un allarme rosso che l'aveva messo KO.

Sfiorò lo stomaco con il palmo della mano e si mise seduto, passando l'altra tra i capelli spettinati. Poi lasciò il letto per andare a cercare qualcosa da bere. Era ancora presto, quindi fu il più silenzioso possibile, muovendosi attraverso la casa scalzo, e quasi senza luce.

Stava versandosi del succo d'arancia fresco, quando l'odore lo raggiunse.

Confusione. Agitazione.

Levi si stava destando e, ancor prima della voce, fu il suo istinto a cercare l'Omega.

«Eren...?» chiamò, ed il ragazzo sorrise alla nota di panico in sottofondo. Riempì un secondo bicchiere e avanzò scalzo fino alla camera da letto, dove trovò il compagno isso sui gomiti, i capelli scarmigliati e l'espressione stravolta di chi aveva appena messo in moto il cervello. A quel punto, il ragazzo non riuscì a fare a meno di ridere.

«Buongiorno.» Le braccia di Levi lo avvolsero ed Eren faticò nel tenere le lenzuola asciutte e il succo al proprio posto.

«Giorno...» biascicò col viso contro la sua schiena, strofinandovisi lentamente.

«Levi, fai attenzione per favore. Non vedi che ho le mani occupate?»

Il suo appello sembrò andare a vuoto. L'unico modo per essere sicuro di non combinare un disastro era sbrigarsi a svuotare i bicchieri, così portò alle labbra il proprio; quando il succo gli bagnò finalmente la gola, nello stesso momento sentì sollievo e il lento ma inesorabile arrivo della nausea, che in quel periodo non gli dava tregua.

L'uomo lo privò dell'impiccio, posando entrambi i vetri sul comodino per poi concentrarsi sull'espressione rigida del compagno.

«Tutto bene...?»

«Sì... È sempre così quando mangio, al mattino... A loro non piace nulla prima delle undici...»

Sentirlo parlare delle loro creature in quei termini, come se così piccole potessero già avere preferenze e fare capricci, dando grattacapi alla madre, suscitò nell'Alpha una sensazione di profondo attaccamento verso quegli esserini minuscoli e già tanto caparbi; un sentimento viscerale che trascendeva l'umana logica, rendendo il giovane accanto a sé la creatura più bella dell'universo.

Aveva sempre creduto di non poter amare nessuno più della propria carriera. Poi Eren lo aveva travolto con la potenza di un uragano, spazzando via quella stupida convinzione e sostituendola, divenendo il fulcro della sua intera esistenza.

A · Breathe · ΩWhere stories live. Discover now