18. Shock e Disperazione

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Levi restò lì, a fissare l'esatto punto in cui l'amato era sparito, in un silenzio surreale. Appena qualche ora prima, sentiva di avere tutto. Adesso, era solo un miserabile in attesa di sapere cosa ne sarebbe stato di lui perché, senza Eren, Levi non era niente.

Nel pronto soccorso, a quell'ora di notte, c'era più movimento di quando ci si sarebbe aspettati. Non molti facevano caso a lui e chi lo faceva, rivolgeva uno sguardo pieno di orrore e compassione ai suoi abiti rossi, ai capelli spettinati, alle nocche bianche delle sue dita chiuse a pugni, sulle ginocchia. Le vite di decine di persone incrociarono la sua, per tutta l'ora di attesa che dovette sopportare. Eppure Levi non avrebbe esitato a sacrificarle tutte per salvare quella di un solo ragazzo.

Una mente che soffre ha strani pensieri.

Infine, gli si avvicinò un viso noto. L'infermiera che l'aveva fermato tornò da lui, con una divisa nuova, appena cambiata che profumava ancora di lavanderia e disinfettante.

«Mi scusi, Signor Ackerman» disse, sbirciando il nome sulla cartellina che stringeva tra le braccia. Dare i propri dati per registrare l'accesso e garantire tutte le cure possibili era stata l'unica cosa utile che aveva potuto fare.

L'uomo si alzò immediatamente in piedi, andandole velocemente incontro.

«Dov'è Eren? Sta bene?!»

«È stabile» rispose subito, consapevole che nessun'altra risposta interessasse all'uomo quanto quella. «Ci sono alcune cose di cui la dottoressa vorrebbe parlare in privato con lei. Se vuole seguirmi.»

Lo condusse attraverso un breve labirinto di corridoi tutti uguali, bianchi, con targhette di numeri e nomi che erano l'unico elemento a variare. L'infermiera era una Beta, così come tutto il resto del personale del piano in cui gli Omega e gli Alpha – in aree separate – venivano ricoverati d'urgenza. Levi fu costretto a lavarsi brevemente e spruzzare sulla pelle, sopra alle ghiandole, un liquido capace di bloccarne temporaneamente la funzione per essere ammesso.

C'era una persona, seduta accanto al letto di Eren. Una donna in camice bianco, corti capelli chiari raccolti in una piccola coda, occhiali dalla montatura così sottile da sembrare invisibile ed un freddo sguardo professionale che Levi avrebbe apprezzato in qualunque altro contesto, ma non in quel momento.

«Oh, eccovi» disse, alzandosi in piedi. «Sono la dottoressa Brzenska. Ho in cura questo ragazzo. I marchi sulle sue cosce appartengono a lei, signore?»

Levi aveva la gola secca e il palato arido come il deserto.

«Sì, sono miei» si sforzò di dire. Avrebbe voluto chiederle tante, troppe cose. È in pericolo? Perché tutto quel sangue? È molto grave? Si limitò a porre la sola domanda di cui gli premeva la risposta. «Si riprenderà...?»

L'odore fresco venne preso dalla dottoressa come una prova del legame che univa la coppia. Anche se il ragazzo Omega non era cosciente per confermare, il suo intuito raramente sbagliava.

«Non le nasconderò che la situazione è stata grave. Il suo corpo ha resistito e le cure sembrano funzionare. Ciononostante dovrà restare in osservazione per alcuni giorni. Data la sua condizione, non possiamo lasciare nulla al caso.»

L'Alpha, sporco e stanco, la fissò senza capire realmente il suo discorso.

Il suo corpo ha resistito. Situazione grave. La sua condizione.

«Temo di non comprendere. Può essere più specifica, per favore?»

«Lei era consapevole del cocktail anomalo di soppressori che il suo compagno assume regolarmente?»

C'era poco di interrogativo in quelle parole. Era un'accusa, più che una vera domanda. Il tono di voce di chi ha già le sue risposte, ma ha bisogno di sentirle da bocca altrui. Limpide, cristalline. Irrevocabili. Condannanti.

A · Breathe · ΩWhere stories live. Discover now