22. Rimorsi e Sintonia

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Levi si sentiva inadeguato, come se fosse lui l'unico tassello sbagliato in quel puzzle intricato. Non si pentiva della propria scelta, l'avrebbe presa altre cento volte se questo avesse significato salvare Eren dal circolo vizioso in cui si era volontariamente infilato. Illudersi che le conseguenze non fossero state amare da digerire, invece, era tutt'altra storia.

«Cosa pensi, ora...?»

«Che mi hai salvato la vita...»

Eren lo guardava negli occhi e Levi riconosceva ogni singola scintilla che la luce provocava, riflettendosi nelle sue iridi. Erano calmi e sinceri, e se respirava il suo profumo otteneva solo altre conferme.

«Hai preso una scelta molto più coraggiosa della mia. Quando ce n'è stato bisogno, hai messo da parte tutto ciò per cui tu stesso avevi lavorato. Non riuscivo a vederlo, a capirlo, prima, ma adesso è tutto cambiato.»

La corazza che tanto si era sforzato di tenere alta, per paura di cedere e venire meno al giuramento di proteggere Eren a qualunque costo – fosse anche della loro relazione –, cadde giù. Prese a sgretolarsi al di sotto dei vestiti, crepa su crepa, liberandolo di un peso che si era portato addosso nell'istante in cui si era chiuso quella porta d'ospedale alle spalle, lasciandovi dentro le sole cose che oramai per lui avessero importanza.

Gli occhi si fecero lucidi, la voce meno ferma, l'animo più fragile.

«Avrei voluto ci fosse un altro modo, Eren. Mi dispiace.»

«Sì, anche io... Avrei voluto essere migliore. Invece per anni ho condotto una vita che mi ha portato più sofferenza e umiliazione di quanto potessi mai immaginare... Solo perché non riuscivo ad accettare di essere impotente.» Intrecciando le dita delle mani, cominciò a stringerle e pizzicarsele, una piccola tortura, un modo per distrarre la mente dal loop di pensieri in cui stava finendo. «E... Non lo accetto nemmeno ora...» ammise.

Attraversò il salone così velocemente da non rendersene quasi conto, almeno fino a quando non si trovò di fronte gli occhi impossibilmente verdi e sgranati del giovane Omega. Levi era in ginocchio di fronte a lui, le mani in procinto di prendergli il volto e accarezzarlo, sospese in quella posizione come se si fosse fermato appena in tempo. Strinse i pugni, lo sguardo fisso sul suo viso finalmente pieno e dal colorito sano.

«Tu sei perfetto così come sei, Eren. È il mondo che dovrebbe essere migliore. Hai lottato, adeguandoti a delle regole che nessuno dovrebbe seguire, a cui tutti si sottomettono e si arrendono. Il tuo spirito indomito non si è piegato, ma il tuo corpo non avrebbe retto quel ritmo ancora a lungo...»

Prese un respiro profondo, gonfiando il petto. «Possiamo cambiare questa società, tentare di renderla un luogo più equo. Per noi... Per i nostri figli.»

«Mi farai lavorare con te?» gli chiese, sciogliendo la stretta delle proprie dita.

Le mani di Levi ora appoggiate ai cuscini lo chiudevano in un confortevole recinto, e le sue ginocchia gli sfioravano il petto.

Era intrappolato su quel divano, ad opera dell'Alpha di quel territorio – appartamento – in cui si trovava, ma non c'era traccia di timore, né allarme. Eren era sereno, fiducioso; quella nota di agitazione che l'uomo percepiva, era tutta frutto dell'aspettativa di una risposta alla sua domanda. Una domanda così importante per lui in quel momento, che Eren sentì di volerla ripetere di nuovo, con parole uguali ma differenti.

«Verrai a lavorare con me?»

«Se è questo che desideri... sì. Accetterò l'offerta di Petra e porteremo avanti la class-action, insieme. Questa guerra è nostra, adesso. Saremo spada e scudo contro quel figlio di puttana e tutti coloro che discriminano i propri dipendenti, concedendo favoritismi unicamente in base alla dinamica e non al merito.»

A · Breathe · ΩWhere stories live. Discover now