Two Years - Sherlock Holmes

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Il suo tocco, il mio nome fuoriuscito dalle sue labbra avevano un effetto calmante sul mio nervosismo. Non me ne spiegavo la ragione, ma lei era meglio dell'eroina; lei mi aiutava a ragionare e al contempo era la mia distrazione peggiore. Sapeva quando avevo bisogno di incrementare le mie capacità intellettuali e allora iniziava a guardarmi con quei suoi occhi bellissimi. Sapeva quando, invece, dovevo calmarmi o risentivo degli effetti dell'astinenza e allora appoggiava la sua testa sul mio petto e i nostri respiri si sincronizzavano. Era la parte umana della mia mente calcolatrice.
Tutto a un tratto, non ero più sicuro che le emozioni fossero un difetto.
John aveva capito, lui era l'esperto di "umanità" tra noi due.
Il mio unico amico sapeva che qualcosa si era sbloccato dentro di me.
Forse, dopotutto, le emozioni non erano un difetto nella macchina, ma l'aggiornamento del sistema.

È stato difficile tenerle nascosto il fatto che ero vivo per due anni.
Senza i suoi occhi, la sua voce, il suo tocco delicato ero ricaduto nelle vecchie abitudini quando ne avevo bisogno.
Mio fratello mi aveva promesso che l'avrebbe tenuta d'occhio e si sarebbe assicurato che non avrebbe fatto stupidaggini in mia assenza.
Mi aggiornata costantemente sul suo stato emotivo e fisico.
Era passata attraverso diversi stadi.
La negazione.
Quando mi vide saltare giù dal tetto del Bart's, strinse il braccio di John mormorando "no" con la voce bassa e rotta da un pianto isterico che sarebbe arrivato di lì a poco.
Passava giornate intere rannicchiata sul divano, dove generalmente stavo io, coperta dalla mia vestaglia blu.
Dopo cinque giorni, John la trovò ancora lì, con gli occhi chiusi.
Non riusciva a svegliarla.
Non rispondeva agli stimoli.
Il battito era debole.
Fu portata subito in ospedale e si presero cura di lei al Bart's.
Uscì dopo un paio di settimane, e nei giorni successivi Watson e la sua nuova fidanzata, Mary, rimasero al 221B di Baker Street ad assicurarsi che si riprendesse totalmente.
Poi, la rabbia.
Bisognava che ci fosse qualcuno a fermarla durante gli attacchi di rabbia che la coglievano all'improvviso.
Sbatteva i pugni al muro, rovesciava i tavoli, le poltrone erano vittime dei suoi calci.
Allora John la teneva ferma tra le braccia e lei prima si dibatteva, poi scoppiava in lacrime, lacrime di rabbia.
La negoziazione.
Andava alla mia lapide e sussurrava frasi come: "Ti prego, non essere morto. Fai questo miracolo e io smetterò di..." e nominava un vizio.
La fase della depressione è quella che dura ancora oggi.
Mycroft mi fa un resoconto settimanale di come sta.
Va da uno psicologo, non si prende cura di se stessa oltre fare ciò che è importante.
È dimagrita, molto, ma fortunatamente la salute fisica è ancora dalla sua parte.
Le sono stati prescritti degli antidepressivi e sono innumerevoli le volte in cui ha passato pomeriggi interi a fissare quel piccolo cilindro di plastica arancione.
Glielo si leggeva negli occhi.
In quelle iridi colorate si vedeva la volontà di farla finita.
Di dare una conclusione a questo dolore.
Quando anche Watson ne è stato informato, lui stesso era presente quando doveva prendere le pillole e poi provvedeva a nascondere la confezione.
Gli devo molto, al caro dottor John Hamish Watson.
Si è preso cura di lei, quando non c'era nessun altro a farlo.
Ma oggi, oggi la rivedrò.
Ormai due giorni fa Mycroft mi ha detto che c'era di nuovo bisogno di me, a Londra.
E qui mi trovo ora.
Al 221B di Baker Street.
Attendo pochi secondi dopo aver suonato il campanello e la porta si apre, rivelando una figura minuta, con i capelli disordinati e le occhiaie intorno agli occhi.
Senza dire nulla, si gira, dandomi le spalle e tornando verso l'appartamento e ovviamente io la seguo chiudendo l'entrata.
Una volta faccia a faccia nel mezzo del salotto uno schiaffo colpisce la mia guancia.
Poi un secondo.
Un terzo.
E un quarto.
Quando non ne sento arrivare altri, mi tocco la guancia destra massaggiandomela.
"Me lo meritavo." dico semplicemente, ed è la verità. Che razza di persona sparisce per due anni fingendo la propria morte e nascondendola alla persona che più si ama?
"Tu... " mormora solo guardandomi negli occhi.
"Sei un lurido bastardo!! Due cazzo di anni credendoti morto! Fino a ieri andavo alla tua lapide a piangere su una tomba vuota! Sei un infame! Come hai potuto fare questo?! A me, a John, alla signora Hudson! E poi risbuchi magicamente due anni dopo! Hai idea dell'inferno che ho passato? Una chiamata, una lettera, un sms con poche parole era tutto quello che chiedevo. "
Rimango in silenzio, consapevole che ha totalmente ragione.
La vedo scoppiare a piangere e si catapulta sul mio petto, schiacciando il viso contro il mio cappotto e circondandomi il busto con le sue braccia.
La mia reazione è istintiva e anche io la stringo a me, accarezzandole i capelli e baciandole la fronte.
Il silenzio regna sovrano e di parole, oggi, non ce n'è bisogno.

Sono bastati pochi secondi di una scena di un film che stavo vedendo per far sì che smettessi di seguirlo e iniziassi a scrivere. Dico solo questo.
Comunque mi farò venire qualche idea per scrivere qualcosa sul povero Chadwick Bosman, che ci ha lasciati tre giorni fa dopo una lunga battaglia contro il cancro😭.

One-shots [SOSPESA]Where stories live. Discover now