37. E così finsi di essere Alice Cooper

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Mi aspettavo che la festa di Benedetta Serianni sarebbe stata una replica di quella di Liliana e mi ero preparato psicologicamente alla folla accalcata gomito a gomito e alla musica di merda sparata a volume altissimo; tuttavia, nel varcare la soglia di casa della festeggiata — un appartamento spazioso, ma non lussuoso, a Viale Mazzini, poche centinaia di metri da scuola — mi accorsi di essermi sbagliato: gli invitati si riunivano per le stanze in capannelli educati, nessuno appariva in stato di ubriachezza molesta, l'aria pulita testimoniava la presenza di strette restrizioni per i fumatori, la musica era tenuta di sottofondo e risultava perfino gradevole.

Benedetta mi venne incontro squadrandomi con curiosità — dal momento che, evidentemente, non mi aveva riconosciuto. La padrona di casa era una ragazza pallida dal mento pronunciato, i capelli rossi e gli occhi grandi e allungati, di un blu sorprendente. Portava una camicetta a fiori senza maniche e dei jeans rosa e aveva un'aria un po' indie rock, ricercata ma non antipatica.

"Ciao!" mi salutò, stendendo una mano inanellata. "Benedetta, piacere. E tu sei..."

"Ehm, Leonardo? Leo? Non so se Liliana ti ha detto di me," azzardai. "Auguri, comunque!"

Il viso di Benedetta si aprì in un sorriso più educato che caloroso. "Leo! Sì, certo, Liliana mi ha detto che venivi. Grazie degli auguri! Vieni, puoi mettere la giacca in camera mia."

Ti ha detto solamente che venivo, o ti ha spiegato anche il perché? mi chiesi, depositando il mio giubbotto sul letto della festeggiata. Impossibile saperlo; e a questo punto, che importanza aveva?

Feci vagare lo sguardo tra gli invitati, alla ricerca di Viola e di qualche faccia conosciuta. Scorsi Liliana in soggiorno, le andai incontro e lei mi abbracciò ridendo. Come al solito, era la più splendida fra le splendide e non potei fare a meno di sentirmi un po' in imbarazzo, al pensiero dei miei abiti modesti (non avevo avuto voglia di scomodare un'altra volta Elio per agghindarmi da pariolino — né, tantomeno, dilapidare soldi che avrei potuto spendere in maniera migliore).

"Viola è in cucina," disse Liliana, ammiccando con fare cospiratorio e indicandomi la direzione. Prese una bottiglia di Corona e me la offrì. "Vuoi?"

Forse dovrei cercare di mantenermi il più lucido possibile ed evitare figure di merda, del resto ho già una pinta in corpo, pensai. "Sì, grazie," risposi immediatamente, agguantando la bottiglia e stappandola contro il tavolo con il famoso colpo di mano alla Màlstin. Liliana batté le mani a quella mia prodezza e mi porse una fettina di lime.

"Alla salute, Leo!" strillò Claudia, spuntando da dietro Liliana con una birra in mano. Facemmo un brindisi. Mi tornò in mente il giugno dell'anno precedente, gli shorts e la canottiera che Claudia aveva indossato mentre assisteva al concerto di fine anno e come quel suo abbigliamento succinto avesse tolto il sonno a Iacopo per mesi. In effetti, era stato in quell'occasione che il mio migliore amico aveva considerato per la prima volta l'idea di fondare una band — difficile che fosse una coincidenza.

Cercai di togliermi dalla testa Iacopo: non volevo soffermarmi sul pensiero che in quel momento si trovava con Aureliano e il resto del gruppo. Tutta la mia energia mentale doveva rivolgersi verso la ragazza dei miei sogni.

"In bocca al lupo con Viola, Leo," disse Claudia, come se avesse udito le mie elucubrazioni. "Stiamo facendo tutti il tifo per te, sareste carinissimi insieme!" Suonava alticcia, ma sincera. Mi sentii un po' colpa, per come io e Iacopo l'avevamo sempre presa in giro e considerata un'appendice di Liliana, quando invece era sempre stata gentile con noi e, a quanto sapevo, con qualunque altra persona si trovasse davanti.

"Grazie," replicai. Presi un respiro profondo e decisi di non lasciare che la mia determinazione mi sfuggisse. "Ci vediamo dopo." Rivolto un cenno di saluto alle mie compagne di classe, strinsi forte la bottiglia, bevvi a canna e mi incamminai verso la cucina, sentendo il cuore che iniziava ad andare su di giri.

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