11. La scriminante della provocazione

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Io e Santarelli fummo entrambi sospesi. Sentite le nostre versioni dei fatti, e valutato il danno alla mia faccia, il preside decise di emulare lo spirito equanime di Re Salomone e di sospendere tutti e due per un solo giorno. Poi fu chiamata mia madre, che mi accompagnò al pronto soccorso per accertarsi che la mano a prosciutto di Santarelli non avesse provocato qualche danno irreversibile al mio bulbo oculare. Risultò di no.

Tornammo a casa che era già passata l'ora di pranzo. Mia madre manteneva un silenzio imbarazzato che io non avevo intenzione di rompere. Aveva già telefonato al laboratorio d'analisi dove lavorava per annunciare che sarebbe rimasta a casa per il resto della giornata, quindi sapevo che non avrebbe tardato a fare il suo dovere di genitrice e richiedere chiarimenti sulla questione della pallonata in faccia a Santarelli. Sperai non si sentisse in dovere di punirmi in qualche maniera: del resto, ero stato biecamente provocato e il mio attacco non aveva inflitto nessun danno, questo era evidente.

Sorrisi tra me, nel rendermi conto che stavo ragionando con i termini di Dungeons & Dragons. Leo Felici, coglione innamorato di 18° livello, scaglia un pallone da basket +1 a distanza ravvicinata, ma il suo misero 6 sul dado da venti non riesce a superare la Classe Armatura di Roberto Santarelli, troll sbeffeggiatore di taglia media, che con il suo contrattacco tira 20 ed è colpo critico!

Mamma appese il cappotto e la sciarpa, posò la borsa e sospirò. Mi si strinse un po' lo stomaco a vederla così seria: mia madre sorrideva spesso e parlava molto — sicuramente più di me, che avevo preso da mio padre — anche quando era stanca dopo una lunga giornata di lavoro. Aveva passato da poco i quarant'anni senza crucciarsene e la trovavo molto bella (io, ancora una volta, assomigliavo a mio padre); ma in questo un figlio è sempre un po' parziale, giusto?

Mamma gettò uno sguardo verso camera di mia sorella, accorgendosi che la porta era chiusa.

"Per favore, vai a dire a Rebecca di aiutarci ad apparecchiare," disse, facendomi un cenno con la testa. "Non mangio niente dalle sette, ho una fame..."

Da dietro la porta proveniva un fitto chiacchiericcio che poteva voler dire una sola cosa. Bussai e la voce di mia sorella si interruppe. Ci fu un tramestio, poi la porta si aprì di qualche centimetro.

"Che c'è?" esclamò Rebecca, fulminandomi con uno sguardo irritato. La mia sorellina — nove anni, dieci a marzo — aveva i capelli castani scostati dal viso dalle sue inseparabili mollette fluo e si era tolta il grembiule, ma senza cambiarsi nei suoi vestiti da casa. Un attimo dopo, i suoi grandi occhi nocciola si dilatarono per la sorpresa. "Che cacchio ti è successo alla faccia, Leo?"

"Ho fatto a botte a scuola," risposi, succinto. "Tranquilla, che adesso mamma vorrà sapere tutto dall'inizio."

"Tu hai fatto a botte?" fece mia sorella, inalberando un'espressione incredula su quella sua faccetta da volpe. "Guarda che non vale come fare a botte, se ce le prendi e basta."

"Non ce le ho prese e basta!" sibilai, irritato dal fatto che in realtà, nonostante i miei sforzi, ce le avessi prese e basta. "E tu non ti chiudere in camera, lo sai che mamma si incavola," affermai. Avevo tutto l'interesse che mia madre rimanesse nello stato d'animo più sereno possibile. "Dai, vieni ad apparecchiare che si mangia."

Rebecca sollevò le mani, coperte di glitter e melma appiccicosa. "Tra cinque minuti?"

"Che cavolo stai facendo lì dentro?" chiesi, buttando un occhio all'interno della camera. Come al solito, aveva l'aspetto di un luogo dove un kamikaze si è fatto esplodere abbracciato a un barile di vernice rosa e un secchio pieno di perline. Sulla scrivania erano appoggiate due ciotole, colme di materiale non identificabile.

"Sto realizzando un video su come fare lo slime," mi spiegò lei, con il tono di chi illustra un'ovvietà. "È un tipo nuovo di slime, l'ho inventato io come regalo speciale per i miei followers."

Alzai gli occhi al cielo. "Quindi mi hai fregato un'altra volta il tablet per aggirare i blocchi sul computer di papà, immagino?"

Nell'arco di un secondo, gli occhi di Rebecca si fecero imploranti come quelli di un cerbiatto davanti al fucile spianato di un cacciatore. "Non dirlo a mamma," mi pregò, a bassa voce, giungendo le mani melmose. "Il mio ultimo video ha fatto quattromilasettecentosette visualizzazioni. Non posso lasciare i miei followers senza nuovi contenuti proprio adesso! Mamma e papà mi perdoneranno, quando comincerò a fare un sacco di soldi con le pubblicità."

"Becca, fare la youtuber non è un lavoro, di sicuro non a nove anni," sussurrai, sentendo una forte voglia di schiacciarmi una mano in faccia.

"Questo lo dici tu, in America ci sono quelli che fanno i milioni!" ribatté lei, e per un attimo mi sembrò di vedere due piccoli $ lampeggiare nei suoi occhioni. "C'è un bambino molto più piccolo di me che fa i video di unboxing e che ha..."

"Ragazzi!" chiamò la voce di nostra madre, vibrando con una nota spazientita. "Allora, venite o no?"

"Vado a lavarmi le mani e arrivo, mami!" trillò Rebecca, in una vocina tutta candore e innocenza. Si tolse il grosso della fanghiglia dalle dita con uno scottex, prese la sua felpa azzurra con Rainbow Dash e uscì dalla cameretta, chiudendosi dietro la porta. Mentre mi passava accanto, inarcò le sopracciglia e mi scagliò un'ultima occhiata che diceva a chiare lettere non una parola.

Sospirai e andai a raggiungere mamma in cucina.

Quando tre piatti di pasta fumante furono davanti a noi, mia madre si mise comoda sulla sedia e domandò spiegazioni per quanto era accaduto a scuola. Non mi feci pregare e raccontai tutto — senza accennare a Viola, naturalmente — mettendo nella peggior luce possibile Santarelli (non che ci volessero grandi sforzi d'immaginazione per farlo) e dipingendomi come un povero ragazzo esasperato dalle prese in giro, che aveva avuto un momento di follia, per fortuna senza nessuna seria conseguenza. Rebecca mi teneva gli occhi puntati addosso, attenta a non perdersi nessun dettaglio, mentre faceva andare su e giù la forchetta piena di fusilli al pesto; sperai che non ricavasse dal mio resoconto materiale per qualche video da dare in pasto ai suoi famelici followers.

Dall'espressione di mamma, capii che forse avrebbe voluto arrabbiarsi per la sospensione che avevo rimediato, ma si sentiva più che altro perplessa: quale forza aveva potuto spingere il suo mite, tranquillo figlio adolescente a fare a botte per la prima volta in vita sua?

Ripetei per filo e per segno tutti i dettagli che mi vennero richiesti. Alla fine, mia madre accettò la scriminante della provocazione, non aggiungendo ulteriori punizioni a quella già elargita dalla scuola. Grato di questo fatto, subii di buon grado la predica sul non abbassarsi a ricorrere alla violenza per risolvere i conflitti interpersonali.

"Leo, sei veramente un Leotordo," mi derise Rebecca, masticando una pera. Solo lei mi chiamava Leotordo, e a me non dispiaceva: la mia sorellina sarà stata anche un'insopportabile mocciosa con aspirazioni da stella del Web, ma aveva letto tutti i libri di Harry Potter almeno tre volte da una copertina all'altra e, su questo, ci intendevamo sempre.

Tirai a Rebecca una pallina di mollica di pane e annunciai, con grande contegno, che sarei andato in camera mia a fare i compiti. Ci misi solo un'ora — non ne avevo così tanti — ma finsi di averci impiegato due ore e mezza, per fare più bella figura con i miei genitori. Usai il tempo in più per leggere di straforo Il Trono di Spade e sognare Viola ad occhi aperti.

Fuori si era fatto buio e mi stavo preparando un tè quando il mio cellulare ronzò.

Mortacci tua ma è vero che te sei menato con Santarelli e sei finito al pronto soccorso? diceva il messaggio di Whatsapp da parte di Iacopo. Faccina incredula.

Mi chiesi a che velocità la notizia si fosse diffusa a scuola. Digitai subito una risposta.

Veramente m'ha menato lui, io ho provato a tirargli un pallone in faccia ma l'ha parato, risposi. M'ha dato una pezza e sono andato al pronto soccorso per un controllo, niente di grave, c'ho solo un occhio nero. Faccina bendata dolorante.

Tra dieci minuti sto sotto casa tua, annunciò Iacopo.

Scendi, sto qua sotto!Where stories live. Discover now