Epilogo I (Arteria Femorale)

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Lara finì di accordare la chitarra (anche se era già perfettamente accordata, cosa che sapevo perché l'aveva già fatto due volte), guardò l'ora sul telefono e sbuffò esasperata.

"Ancora stanno a suona' quelli?" esclamò, indicando con un braccio il fondo della palestra, dove Rinaldi e i suoi musicisti, in equilibrio su un palco improvvisato, ci stavano dando dentro con il loro blues rock. Ogni gruppo aveva avuto a disposizione mezz'ora per suonare, ma loro avevano già sforato i trentacinque minuti e non sembravano ancora intenzionati a smettere.

"Che ore sono?" chiesi.

"L'una meno un quarto," brontolò Lara. Il concerto sarebbe finito all'una: per colpa della nostra posizione in scaletta (ultimi), avremmo dovuto cominciare a mezzogiorno e mezzo, ma le perdite di tempo da parte degli altri gruppi si erano lentamente accumulate e adesso rischiavamo di non poter suonare.

"Li mortacci de Rinaldi," esclamò Iacopo, brandendo la sua malconcia chitarra elettrica blu. "Guarda, Leo, sarà pure venuto a salvarti a Piazza Cavour, però è rimasto sempre er solito stronzo!"

Appena arrivati a scuola, quella mattina, avevamo scoperto che il gruppo di Rinaldi, che pure si era iscritto per ultimo al concerto, era stato spostato in penultima posizione (certo per merito dell'influenza che gli splendidi avevano esercitato sul comitato organizzatore), mentre noi eravamo finiti in fondo alla lista. Dire che la cosa non ci aveva fatto piacere sarebbe un eufemismo, ma avevamo fatto buon viso a cattivo gioco e ci eravamo messi a guardar suonare gli altri, aspettando il nostro turno. I gruppi erano stati mediamente tremendi, con l'eccezione di un'ottima cover band dei Led Zeppelin e di un complesso demenziale che aveva proposto rivisitazioni trash di Little Tony, Albano e Pappalardo (Elio si era spellato le mani a forza di applaudire).

"Dai, che forse stanno per finire," disse Andrea, legando stretta una delle due trecce alla francese con le quali aveva domato la sua chioma ribelle. La canzone che il gruppo stava suonando diminuì d'intensità, si alzarono i primi applausi dal pubblico dei nostri compagni di scuola — poi Rinaldi schiacciò il piede sul distorsore e fece partire l'ennesimo assolo sulla sua Fender bianca abbagliante (ma sprovvista di corde d'oro, non avevo potuto fare a meno di notare).

"E basta, cazzo!" ruggì Aureliano, con le mani a coppa intorno alla bocca. "Scennete da quer palco!" Le sue parole si persero nell'ovazione della platea.

"Doc-cia scu-ra! Doc-cia scu-ra!" scandì Elio. Per apparire "maggiormente credibile" (parole sue), si era fatto prestare da Francesca una devastante maglietta dei Napalm Death con sopra un faccione inorridito e la scritta From Enslavement to Obliteration.

Regolai la cinghia della mia chitarra, a disagio.

"Eh no! Questo è troppo, Eric Clapton dei miei stivali," sbottò Lara. Sistemò il suo strumento nella custodia, se la issò in spalla e ci fece cenno di seguirla. "Venite, andiamo a fargli terrorismo psicologico."

Afferrammo l'attrezzatura e marciammo verso il palco, accompagnati dai nostri amici non musicisti: Francesca, Dafne, Marco e Davide (nessuno di loro aveva voluto perdersi il nostro esordio). Arrivati presso il mixer, ci piantammo lì a braccia conserte, guardando malissimo Rinaldi e i suoi, mentre Lara e Iacopo andavano a importunare Giovanni, un membro del personale ATA che durante i concerti scolastici si improvvisava fonico.

"Ho capito ragazzi, ho capito," cercò di rabbonirli lui, guardando nervosamente l'orologio. "Finito questo pezzo, salite voi. Però all'una chiudiamo, eh, pure io devo anda' a casa..."

"Ma è l'una meno dieci!" protestò Iacopo.

Giovanni allargò le mani. "Dai, facciamo l'una e cinque."

Scendi, sto qua sotto!Where stories live. Discover now