38. Poesie decadentiste e canzoni dei Bon Jovi

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Ero in piedi vicino al tavolo dei rinfreschi, occhieggiando Liliana mentre parlava con Viola e Isotta con la più completa naturalezza, come un'amica intima, quando il mio telefono suonò.

Guardai lo schermo: era Iacopo.

Eddai zi', non adesso, pensai, infastidito. Mandami un messaggio se devi dirmi qualcosa. Non potevo concedermi nemmeno una distrazione: l'occasione giusta per avvicinare Viola poteva arrivare da un momento all'altro. Rifiutai la chiamata, digitai di corsa su Whatsapp scusa, non posso parlare, ti rispondo tra poco e misi il silenzioso. Ficcai di nuovo il cellulare in tasca, zittendo la voce nella mia testa che mi suggeriva potesse trattarsi di una comunicazione urgente.

Un paio di minuti dopo, con mio grande sbalordimento, vidi Liliana e Isotta che si allontanavano insieme, dirette verso la cucina. Viola, rimasta sola, controllò distrattamente il telefono, poi puntò verso il tavolo, proprio nella mia direzione.

Un folle istinto mi suggerì di scappare, ma non potevo sprecare così l'aiuto di Liliana, l'occasione perfetta, la mia ultima e decisiva possibilità. Andando contro il buon senso e le precauzioni che avevo deciso di prendere, afferrai una bottiglia di tequila quasi vuota, mi girai così che Viola non potesse vedermi, e bevvi una sorsata ustionante senza nemmeno perder tempo a cercare un bicchiere. Ricevuta quella frustata di alcol, gli organi del mio corpo, che sembravano paralizzati, ripresero a funzionare a pieno regime. Tenni sotto controllo un breve capogiro, feci un sorriso e mi spostai a destra lungo il tavolo, per intercettare Viola.

"Tutto bene?" mi chiese. La vidi ispezionare le cibarie con lo sguardo. "Si sono finiti tutte le Pringles alla paprika? Mannaggia."

Mi sentii come una falena che si lancia a testa bassa verso una luce abbagliante. Anche nel banale atto di cercare le sue patatine preferite, Viola mi appariva troppo bella per essere vera, con i suoi limpidi occhi verdi che spiccavano nel viso delicato e la cascata d'oro e miele dei suoi capelli.

Ero già senza fiato. "Tutto bene, grazie. Bella 'sta festa," replicai. Ma che razza di commento era? Bella 'sta festa. Roba da prendermi a schiaffi da solo. "Sì, le Pringles alla paprika sono finite, ma ci sono ancora quelle alla cipolla," proseguii. "Sono le mie preferite."

Di male in peggio! Perché non potevo vaporizzarmi e sparire nell'etere, invece di stare lì davanti a Viola e riuscire a parlare solo di qual era il mio gusto preferito di Pringles?

"Non mi piacciono molto," rispose lei, "ripiegherò sul popcorn. Senti, per caso..."

"Hai da fare sabato prossimo?" domandai, praticamente in apnea. Ecco, l'avevo detto. Nella mia frenesia di pronunciare quelle parole fatidiche, avevo lasciato perdere anche l'invito ad uscire in balcone. Sentivo che se non avessi chiesto a Viola di uscire in quel preciso istante, mi sarebbe mancato il coraggio per sempre.

Viola inclinò la testa e corrugò la fronte, nell'atteggiamento di chi vuol sentire meglio. "Come, scusa?"

Avevo parlato troppo in fretta e mi era uscito di bocca un suono simile ad adafaesabaossimo???, che si era confuso nel brusio generale. Deglutii e presi un respiro profondo. Il cuore mi pulsava nelle orecchie.

"Hai da fare sabato prossimo?" domandai, ad alta voce e scandendo le parole come se mi stessi rivolgendo a una centenaria sorda. "Se ti va possiamo uscire, andare al cinema, a prendere una birra o dove vuoi." Mentre parlavo, il mio sguardo si abbassava inesorabilmente dal viso da Viola alle sue mani, alle sue ginocchia, al pavimento, all'abisso di vergogna che minacciava di inghiottirmi. Mi accorsi di quel declino e rialzai di scatto la testa.

Sentii lo stomaco che si riempiva di ghiaccio, nel vedere che l'espressione di Viola non era quella che di solito prelude a una risposta positiva ed entusiasta. Contrasse la bocca in un sorrisino tirato e giocherellò con un popcorn che teneva fra le dita.

"Ehm... Leo, grazie per avermelo chiesto," esordì, parlando sommessa; tesi l'orecchio per sentire meglio, in modo da non doverle chiedere di ripetersi e prolungare inutilmente quel calvario. "Però, guarda, penso di non essere interessata a uscire con qualcuno, in questo periodo. Non fraintendermi, non è che c'è qualcosa che non va con te. Assolutamente. Solo che, dopo tutto quello che è successo, per un po' voglio dedicarmi a me stessa; alle amiche, alle cose che mi piace fare... mi spiace dirtelo così."

"Ok. Figurati. Ehm... capisco. Non preoccuparti," annaspai, sentendo il ghiaccio nello stomaco che diventava piombo. Mi assalì l'urgenza di battere immediatamente in ritirata: non avrei sopportato lo sguardo costernato di Viola per un secondo di più. "Grazie per la sincerità." Ma che cazzo dici? Vattene! "Ehm... ci vediamo a scuola."

Senza esitare oltre, presi il volo e uscii in balcone, respirando l'aria fresca di quella sera primaverile che aveva ucciso le mie ultime speranze. Appropriato: era stato sul balcone di casa di Liliana che avevo cominciato a illudermi, e su questo balcone le mie illusioni giungevano alla fine.

Mi appoggiai alla balaustra, guardai giù verso Viale Mazzini e mi abbandonai al turbine di sentimenti che mi aveva investito: vergogna, delusione, risentimento, rabbia, solitudine e... sollievo. Sì, al di sotto delle emozioni dolorose che sgomitavano in superficie, c'era uno strano senso di liberazione e di conforto.

Quello che dovevo fare l'ho fatto, pensai. Forse adesso potrò smettere di pensare a Viola. Forse potrò cercare la persona giusta per me, forse potrò fare come Viola e dedicarmi ad altro, il gruppo gli amici la musica i film qualsiasi cosa...

Invece continuerai a guardarla ogni giorno in cortile, sapendo che non potrai mai averla e soffrendo come un cane. Sei un povero illuso. Non smetterai mai di pensare a lei, si lamentò il lato della mia mente che avevo nutrito per anni a poesie decadentiste e canzoni dei Bon Jovi.

Non è vero, mi dissi. Posso smettere di farlo in questo preciso istante.

Tirai fuori di tasca il telefono, con l'intenzione di chiamare Iacopo. Sullo schermo c'era la sua risposta al mio messaggio Whatsapp di prima: chiamami subito stronzo.

Perplesso, rimasi a fissare quelle tre parole. Non era la prima volta, ovviamente, che io e il mio migliore amico ci prendevamo a parolacce via messaggio, ma senza il contesto di una conversazione amichevole o una faccina ironica, quel chiamami subito stronzo risuonava con una durezza che mi mise sul chi vive.

Selezionai il numero di Iacopo e premetti il telefono sull'orecchio. Rivolsi un rapido sguardo alla porta a vetri, dietro la quale gli invitati alla festa facevano avanti e indietro come pesci in un acquario. Isotta era tornata da Viola: entrambe sedevano su un divano. Dalla mia posizione, le due ragazze mi apparivano così lontane — con le labbra che si muovevano senza che potessi udire il suono delle loro parole — che dedicai solo una brevissima e distaccata considerazione al fatto che, forse, Viola stava raccontando alla sua amica quanto era appena successo.

Dopo due squilli, una voce rispose alla mia chiamata, ma non era quella di Iacopo.

Era quella di Diego Ricci.

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