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Con il passare dei mesi aveva iniziato a pensare che la sua mente fosse un'entità a sé, qualcosa di troppo potente per poterla controllare e tenere a bada. Non era stata la prima a pensarlo e quello in qualche modo aveva influenzato il modo in cui si vedeva: gli agenti dell'Hydra da cui erano andati a chiedere aiuto l'avevano sempre trattata con muto rispetto, spesso anche con timore, non solo dopo gli esperimenti ma anche precedentemente, come se vedessero in lei qualcosa che Wanda stessa faticava a mettere a fuoco; quando poi aveva conosciuto gli Avengers le cose non erano cambiate granché. 

Dalla maggior parte di loro era stata vista come una minaccia, e come dargli torto? Li aveva combattuti e fatti impazzire con le sue visioni, li aveva resi deboli, vulnerabili e causa loro centinaia di persone erano morte, compreso Pietro. 

Eppure con il tempo lei aveva cambiato la percezione di sé, dei suoi poteri e di quello che potevano fare. Aveva trovato una famiglia in Clint, Natasha, Steve e Sam, con loro si sentiva a casa, accettata, come lo era stato solo con un'altra persona. Nelle rare volte che non riusciva a controllarsi non aveva trovato traccia di paura nelle loro menti, nessuno di loro la temeva o la evitava, si fidavano pienamente. 

Ma in quel momento si chiedeva se non avessero sbagliato, ognuno di loro, anche se stessa. La parola Mutante sembrava voler uscire dal fascicolo e attaccarla, mettendola a nudo, facendole crollare le poche certezze che era riuscita a costruire in quel tempo. Si girò a pancia in sù, fissando il soffitto grigio della camera che lei stessa aveva dipinto. Aveva sempre odiato il bianco: era quello il colore che aveva la sua casa a Sokovia quando erano morti i genitori, era quello il colore della sua stanza alla base dell'Hydra dove era stata costretta a stare mentre si accertavano delle sue condizioni mentali, era il bianco il colore dei capelli di Pietro, il colore del nulla che aveva lasciato. 

Si premette i palmi sulle palpebre, scacciando le lacrime che prepotentemente uscivano copiose.

Qualcuno bussò alla porta e velocemente fece sparire i fascicoli con un semplice movimento di dita. «Avanti».

La testa di Sam fece capolino dalla porta, il solito sorriso stampato sul volto. «Ei streghetta, hai voglia di raggiungerci in palestra per l'allenamento?»

Wanda piegò la testa, dubbiosa. «Solo se evitiamo i cazzotti, le mie braccia devono ancora riprendersi dai pugni di Nat della scorsa settimana», trattò alzandosi dal letto. 

«Questo perché devi allenarti ancora e concentrarti di più su quelli!», urlò la russa dal corridoio, vestita con una tuta e pugni fasciati da bende. 

Wanda indicò le sue mani mentre si dirigevano tutti e tre in palestra. «Ora che Steve se ne è andato chissà dove hai deciso di prendere il controllo del sacco da boxe?»

Il silenzio che accolse le sue parole la lasciò sorpresa, quindi fece una cosa che evitava sempre accuratamente di fare: espanse la sua mente, sentendola godere di quella libertà, raggiungendo quella dei suoi compagni. Nei pensieri di Sam c'erano preoccupazione e ansia per il supersoldato, come qualsiasi buon amico. Ma in quelli di Natasha trovò più confusione, c'erano rabbia, tristezza, apprensione e qualcosa che non avrebbe voluto vedere, che non avrebbe dovuto. Si ritirò, mortificata, abbassando la testa a guardarsi i piedi nudi.

«Sta bene, ne sono sicura.»

Sam le rivolse un sorriso, aprendo le porte della palestra. «Allora, cosa ne dici di allenarci con i tuoi poteri? Potresti provare a utilizzarli come se fossero pugni o calci», propose. 

«Nel senso che devo imparare a parere i colpi con la mia magia?»

«Esattamente.»

«Ma lo so già fare.» Mise il broncio, aveva sperato in qualcosa di nuovo. 

HaluskeinWhere stories live. Discover now