capitolo 9

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Un suono poco familiare mi arriva alle orecchie proprio mentre sto per concludere il libro che ho iniziato un paio di giorni fa per noia; alzo gli occhi dalle pagine solo per controllare il display dell'iPhone che giace inerme al mio fianco. Su di esso non c'è nulla che segnali una chiamata in arrivo e pensandoci bene, non è nemmeno un suono che mi si addice, non potrei mai averlo scelto per una qualsiasi suoneria.

Mi alzo dal divano persino convinta che possa arrivare dall'esterno o addirittura dal pianerottolo, ma i vetri delle finestre sono tutti chiusi. A qualche metro di distanza, sul tavolo della cucina, il mio MacBook è aperto e qualcosa lampeggia sullo schermo: Evan mi sta chiamando tramite Skype.

Il viso sorridente di mio fratello appare qualche secondo più tardi: indossa uno strano maglione natalizio e nonostante sembri allegro, gli si legge in faccia che quell'abbigliamento non fa per lui.

«Ma che bel maglione che porti, fratellone.» Indico l'indumento con un cenno del mento e il sorriso di Evan si spegne lentamente, lasciando spazio a una smorfia imbronciata.

«Scommetto che ne vorresti uno anche tu, vero sorellina?»

«Magari l'anno prossimo, però devo ammettere che ti dona.»

«Lo odio, mi pizzica sul collo.» Mormora Evan, avvicinando il viso allo schermo, quasi a non volersi far sentire da nessuno.

«Posso sapere perché lo stai indossando?» Glielo chiedo realmente incuriosita. «Non è ancora Natale.»

«I genitori di Agnes» replica Evan, facendo cenno verso la porta dietro di sé. «Sono arrivati poco fa con due pacchi e non potevo non indossarlo. Dovresti vedere quello che indossa lei.» Devo trattenermi dallo scoppiare a ridere.

«Oh, capisco.»

«Che cosa stavi facendo?»

Porto con me il MacBook, sedendomi nuovamente sul divano; fuori il cielo è grigio e probabilmente ha ricominciato persino a piovere. Mi sono resa conto di passare fin troppo tempo a pensare alle condizioni atmosferiche, Harry non fa che ripetermi che prima o poi ne uscirò pazza.

«Quando?»

«Mentre ti stavo chiamando» Evan cambia posizione sulla sedia, permettendomi una visione completa del maglioncino; è ridicolo. «Ci hai messo una vita a rispondere.»

«Stavo leggendo e poi non capivo da dove provenisse la suoneria della chiamata. Noi non usiamo mai Skype.» Lo vedo stringersi nelle spalle alle mie parole e poi voltarsi verso la porta della camera da letto, come ad assicurarsi di essere solo e che nessuno possa sentirlo; aggrotto appena le sopracciglia, osservandolo con sospetto.

«Ieri mi ha chiamato papà» trattengo appena il fiato, ma annuisco. «Dice che dovrà restare in Giappone più tempo del previsto, la causa che sta seguendo ha avuto alcuni imprevisti. Non tornerà per altre due settimane.»

«Ti ha chiesto di me?» Conosco già la risposta, ma voglio ugualmente tentare.

«Non ti ha chiamato?» Non sembra sorpreso quando scuoto la testa, semplicemente arrabbiato. «Non capisco...»

«È tanto tempo che io e lui non parliamo.»

«È come se ti stesse incolpando per quello che è successo alla mamma e...»

«È esattamente quello che sta facendo» lo interrompo in fretta. «Va bene così, non importa.»

«Non va bene, Mia!» So che in realtà non è infuriato con me. «Come può anche solo pensare una cosa del genere?»

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