capitolo 5

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«Ecco fatto» Harry scende dalla sedia sulla quale è salito per avvitare le nuove lampadine, aggiustandosi ancora la cuffietta sui capelli e porgendomi quella ormai da buttare. «Prova ad accendere la luce.» Obbedisco, spostandomi leggermente per raggiungere l'interruttore; l'interno del soggiorno si colora di una luce giallognola, persino in tema con l'ambiente circostante.

«Niente più buio.» Mormoro, spegnendo poi l'interruttore. I raggi del sole alla fine fanno in modo che la luce artificiale non sia necessaria. Harry sbadiglia, affrettandosi poi a riporre la sedia utilizzata sotto al tavolo della cucina.

«Ho lezione tra una mezz'ora, ma se hai ancora bisogno di me posso saltarla e...» scuoto velocemente la testa, rifiutando quanto più gentilmente possibile la sua offerta, sentendomi fin troppo in colpa per avergli fatto perdere un mare di tempo in appena due giorni.

«No, tranquillo. A breve arriveranno anche gli scatoloni che ho fatto spedire da casa e dovrò mettere tutto in ordine.» Harry annuisce alle mie parole, litigando nuovamente con la cuffietta che si ostina a portare in testa.

Fa piuttosto freddo anche tra le mura domestiche, eppure indossa ora solo delle maniche corte, in netto contrasto con il berretto di lana che invece porta sul capo. Devo abbassare velocemente lo sguardo per evitare che i miei occhi si fermino troppo a lungo sull'inchiostro che gli decora la pelle candida.

«Ci vediamo più tardi allora.»

«Assolutamente» replico in fretta, seguendolo lungo l'ingresso, a tenere la porta aperta perché possa uscire di casa. «Grazie ancora per le tue spiccati doti da elettricista.»

La sua risata echeggia sul pianerottolo; sto chiudendo la porta quando Harry chiama inaspettatamente il mio nome, giusto un secondo prima che la mia serratura scatti. Mi sporgo nella sua direzione, in attesa.

«Vai a compare qualcosa di più pesante che quella semplice giacca.»

Il suo è solamente un promemoria, ma mi costringe ad alzare gli occhi al cielo, chiudendo di conseguenza la porta, non prima di aver colto un occhiolino e un sorriso da parte sua, solo per prendersi gioco di me.

L'orologio appeso al muro del salotto segna le quattro di pomeriggio ed io la stanchezza la sento tutta; mi ritrovo persino a sbuffare al solo pensiero di dover disfare tutti gli scatoloni.

Pur di non pensarci, mi dirigo in cucina, a preparare del caffè così da non addormentarmi di punto in bianco su una qualsiasi superficie dove posso stare seduta. L'aroma invade lo spazio circostante appena qualche minuto più tardi e non so con quale criterio la mia mente inizi a ricordare casa, però mi rendo conto di una cosa dettami da Evan: mio padre si trova in Giappone per lavoro e vi rimarrà per oltre due settimane.

Sarà ormai Natale; un Natale senza Evan, senza Matt, senza mio padre. Un Natale senza mia madre. È con questo pensiero che davanti ai miei occhi prende forma un ricordo ben nitido e preciso: l'abete decorato con studiata meticolosità, posto alla destra del camino nella grande sala dei miei genitori.

Vedo i regali, pacchetti di colore diverso, decorazioni scelte insieme alla mamma. Ci sono lucine a intermittenza che in qualche strano modo sono sempre state in grado di infondermi una certa tranquillità.

Vedo me stessa sul divano con un libro tra le mani, intenta a leggere mentre mamma e papà discutono su dove e in che modo disporre i vari regali sotto l'albero; Evan lo vedo ridere poco più in là mentre la voce di mia madre lo sgrida, intimandogli di non toccare nulla fino alla mattina di Natale.

Papà invece lo immagino semplicemente scuotere la testa esasperato, che tanto lo sa che si tratta di parole al vento. Vedo mia mamma prendere posto accanto a me e sbirciare quello che sto leggendo; mi rimprovera perché nonostante le migliaia di libri presenti in casa, io tra le mani ho sempre lo stesso.

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