La salita del Golgota

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2. La salita del Golgota

Trascorsero venti o trenta minuti. Véronique era sola. Le corde le entravano nella carne e le sbarre del balcone le ferivano la fronte. Il bavaglio la soffocava. Le ginocchia, piegate in due sotto di lei, reggevano tutto il peso del corpo. Posizione intollerabile, martirio incessante... Eppure, se soffriva, non ne aveva la sensazione molto chiara. La sofferenza fisica restava fuori dalla sua coscienza, e aveva già provato tali sofferenze morali che quest'estrema prova non risvegliava la sua sensibilità assopita.

Non pensava. Di tanto in tanto, diceva: «Sto per morire», e assaporava già il riposo del nulla, come si assapora, in anticipo, durante una tempesta, la grande calma del porto. Da quel momento fino all'epilogo che l'avrebbe liberata, sarebbero accadute di sicuro cose atroci, ma la sua mente rifiutava di soffermarvisi e la sorte di suo figlio, soprattutto, le strappava solo idee brevi, che si dissipavano subito.

In fondo, senza che nulla potesse chiarirle il suo stato d'animo, sperava in un miracolo. Quel miracolo si sarebbe prodotto in Vorski? Incapace di generosità, il mostro non avrebbe tuttavia esitato davanti al più inutile dei misfatti? Un padre non uccide un figlio, o perlomeno occorre che tale atto sia dettato da ragioni imperiose e, di ragioni, Vorski non ne aveva alcuna contro un bambino che non conosceva per niente e poteva odiare solo di un odio fasullo.

La speranza del miracolo cullava il suo torpore. Tutti i rumori di cui la casa risuonava, rumori di discussioni, rumori di passi affrettati, le sembravano indicare, piuttosto che i preparativi degli eventi annunciati, il segnale d'interventi che avrebbero rovinato tutti i piani di Vorski. Il suo adorato François non aveva forse detto che nulla avrebbe potuto più separarli l'uno dall'altra e che nell'istante in cui tutto fosse sembrato perduto, avrebbero dovuto conservare tutta la loro fede?

«Mio François», ripeteva, «mio François, non morirai... ci rivedremo... me l'hai promesso».

Fuori, un cielo azzurro, chiazzato da qualche nube minacciosa, si allargava sopra le grandi querce. Davanti a lei, oltre quella finestra da cui le era apparso suo padre, in mezzo al prato che aveva attraversato con Honorine, il giorno del suo arrivo, un'area era stata di recente dissodata e coperta di sabbia, al pari di un'arena. Era, dunque, là che suo figlio si sarebbe battuto? Ne ebbe la brusca intuizione e il cuore le si strinse.

«Oh! Perdonami, François», disse, «perdonami... Tutto ciò è il castigo delle colpe che ho commesso... una volta. È l'espiazione... Il figlio espia per la madre... Perdonami... Perdonami...».

In quel momento, una porta si aprì a pianterreno e delle voci salirono dalla scalinata. Tra le voci, Véronique riconobbe quella di Vorski.

«Allora», lui diceva, «siamo d'accordo? Andremo ciascuno dalla nostra parte, voi due a sinistra, io a destra. Prendete il ragazzo con voi, io prendo l'altro e c'incontriamo sul luogo del torneo. Voi siete, come dire, i testimoni del primo, io del secondo, in modo che tutte le regole sono rispettate».

Véronique chiuse gli occhi, perché non voleva vedere suo figlio, forse maltrattato, condotto al combattimento come uno schiavo. Percepì il doppio scricchiolio dei passi che seguivano i due viali circolari. L'immondo Vorski rideva e perorava.

I gruppi tornarono e avanzarono in senso opposto.

«Non avvicinatevi oltre», ordinò Vorski. «Che i due avversari prendano posto. Altolà, entrambi. Bene. E non una parola, eh? Chi parla, sarà abbattuto da me senza pietà. Siete pronti? Andate».

Così la cosa orrenda cominciava. Secondo il volere di Vorski, il duello si sarebbe svolto davanti alla madre e, davanti a lei, il figlio avrebbe combattuto. Come avrebbe potuto non guardare? Aprì gli occhi.

L'isola delle trenta bare  (COMPLETA)Where stories live. Discover now