In riva all'oceano

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2. In riva all'oceano

Lo stato d'animo di Véronique cambiò all'improvviso. Tanto fuggiva con decisione davanti al minaccioso pericolo che le sembrava sorgere dal cattivo passato, quanto era risoluta a procedere sino in fondo sul temibile cammino che si apriva.

Questo mutamento proveniva dal fatto che una piccola luce oscillava all'improvviso nelle tenebre. Capiva di colpo questa cosa, abbastanza semplice del resto, che la freccia indicava una direzione e il numero dieci doveva essere il decimo di una serie di numeri che segnavano un percorso, che partiva da un punto fisso per arrivare a un altro punto fisso.

Era un segnale stabilito da qualcuno e destinato a guidare i passi di un'altra persona? Poco importava. L'essenziale era che esisteva un filo capace di condurre Véronique alla scoperta del problema che la interessava: per quale prodigio la sua firma da ragazza riappariva in mezzo a un intreccio di circostanze tragiche?

La carrozza, inviata da Le Faouët, la raggiunse. Lei salì e disse al cocchiere di dirigersi, a un'andatura molto lenta, verso Rosporden.

Arrivò a Rosporden per l'ora di cena e le sue previsioni non l'avevano indotta in errore. Rivide due volte, prima dei bivi, la sua firma accompagnata dai numeri 11 e 12.

Véronique dormì a Rosporden e l'indomani ricominciò le sue ricerche.

Il numero 12, che trovò sul muro di un cimitero, la portò sulla strada di Concarneau che quasi raggiunse, senza scorgere altre iscrizioni.

Pensò dunque di essersi sbagliata, tornò sui suoi passi e perse tutta la giornata in investigazioni inutili.

Solo il giorno seguente il numero 13, molto sbiadito, le indicò la direzione di Fouesnant. Poi abbandonò questa direzione per seguire, sempre secondo i segnali, sentieri di campagna dove ancora una volta si perse.

Alla fine arrivò, quattro giorni dopo aver lasciato Le Faouët, di fronte all'oceano, sulla grande spiaggia di Beg-Meil.

Passò due notti nel villaggio senza ottenere la minima risposta alle domande, del resto discrete, che poneva. Alla fine, una mattina, dopo aver errato tra i gruppi di rocce semisommerse che inframmezzano la spiaggia e sulla scogliera bassa, coperta di piante e arbusti, che la circonda, scoprì, tra due querce spoglie, un rifugio di terra e rami che aveva dovuto servire ai doganieri. Un piccolo menhir si ergeva all'entrata. Sul menhir, c'era l'iscrizione, seguita dal numero 17.

Nessuna freccia. Sotto, un semplice punto. Ecco tutto.

Nel rifugio, tre bottiglie rotte, scatole di conserve vuote.

"Era il punto d'arrivo", pensò Véronique. "Hanno mangiato. Viveri collocati in precedenza, forse".

In quel momento si accorse che, non lontano da lei, sulla riva di un'insenatura che si arrotondava come una conca in mezzo alle rocce vicine, un canotto si dondolava, un canotto a petrolio di cui s'intravedeva il motore.

Udì delle voci che venivano dal villaggio, una voce d'uomo e una voce di donna.

Dal luogo dove si trovava, riuscì a vedere solo un uomo piuttosto attempato che trasportava una mezza dozzina di sacchi di provviste, pasta, legumi secchi, e li depose a terra dicendo:

«Ha fatto buon viaggio, signora Honorine?»

«Eccellente».

«E dov'era?»

«A Parigi, diamine!... Otto giorni di assenza... commissioni per il mio padrone...».

«Contenta di tornare?»

«Mah! Sì».

«Vede, signora Honorine, che ritrova la sua barca allo stesso posto. Tutti i giorni, venivo a controllarla. Alla fine, stamattina, ho tolto il telone. Funziona sempre bene?»

L'isola delle trenta bare  (COMPLETA)Where stories live. Discover now