Quattro donne in croce

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5. "Quattro donne in croce..."

Véronique rimaneva sola sull'Isola delle trenta bare. Fino al momento in cui il sole scese tra le nubi che sembravano riposare sul mare all'orizzonte, non si mosse, accasciata contro la finestra, con la testa nascosta tra le braccia appoggiate al davanzale.

La realtà passava nelle tenebre della sua mente come quadri che si sforzava di non vedere, ma che, a intervalli, diventavano precisi al punto che credeva di rivivere le scene atroci.

Continuava a non cercare spiegazioni a tutto ciò e a non formulare ipotesi su tutte le ragioni che avrebbero chiarito il dramma. Ammetteva la follia di François e di Stéphane Maroux, non potendo immaginare altri motivi a tali atti.

Del resto la follia di Honorine, che aveva visto per così dire scoppiare, la incitava a giudicare gli avvenimenti come provocati da una specie di squilibrio mentale, di cui gli abitanti di Sarek erano tutti stati vittime. Lei stessa, in certi momenti, sentiva il cervello vacillare, le idee svanire nella nebbia e invisibili fantasmi aggirarsi intorno a lei.

Si assopì, in un sonno abitato da tali immagini, in cui era così infelice che si mise a singhiozzare. D'altronde, le sembrava di udire un rumore leggero che, nella sua mente intorpidita, assumeva un significato ostile. Dei nemici si avvicinavano. Aprì gli occhi.

Davanti a lei, a tre passi, seduto sulle zampe posteriori, c'era un animale bizzarro, rivestito di lungo pelo caffellatte e le cui zampe anteriori erano incrociate come braccia.

Era un cane e subito si ricordò del cane di François, di cui Honorine le aveva parlato come di una brava bestia, affezionata e buffa. Si ricordò anche il nome: Tout-Va-Bien.

Pronunciando quel nome, a mezza voce, ebbe un movimento di collera e fu sul punto di cacciare l'animale da quel soprannome ironico. Tout-Va-Bien! E pensava a tutte le vittime della terribile bufera, tutti i morti di Sarek, suo padre assassinato, Honorine suicidata, François impazzito. Tout-Va-Bien!

Tuttavia, il cane non si muoveva. Faceva il carino, nel modo che Honorine aveva descritto, con la testa un po' inclinata, un occhio chiuso, gli angoli della bocca tirati indietro fino alle orecchie, le zampe anteriori incrociate e davvero qualcosa di simile a un sorriso gli trapelava dal muso.

Adesso Véronique si ricordava: era il modo, per Tout-Va-Bien, di manifestare la sua simpatia alle persone che soffrivano. Tout-Va-Bien non poteva sopportare la vista delle lacrime. Quando qualcuno piangeva, faceva il carino finché non otteneva un sorriso e una carezza.

Véronique non sorrise, ma lo attirò verso di sé e gli disse:

«No, mia povera bestia, non va tutto bene. Va tutto male, invece. Non importa, bisogna vivere, non è vero?, e non diventare pazzi come gli altri...».

I bisogni vitali le imponevano di agire. Scese in cucina, trovò qualche provvista che diede in gran parte al cane. Poi risalì.

Era giunta la notte. Aprì, al primo piano, la porta di una camera che di solito doveva essere libera. Un'immensa stanchezza, provocata da tanti sforzi ed emozioni così violente, la opprimeva. Si addormentò quasi subito. Tout-Va-Bien vegliava ai piedi del letto.

L'indomani si svegliò tardi, con una singolare impressione di pace e sicurezza. Le sembrava che la vita attuale si collegasse alla vita dolce e quieta di Besançon. I pochi giorni di orrore che aveva trascorso prendevano le distanze da avvenimenti lontani e il cui ritorno non poteva preoccuparla. Gli esseri che erano scomparsi nella grande tempesta rimanevano per lei come estranei che abbiamo incontrato e non rivedremo più. Il lutto non raggiungeva il fondo della sua anima.

Era il riposo imprevisto e senza limiti, la solitudine confortante. E le sembrò così bello che, quando un vapore ancorò vicino al luogo sinistro, non fece alcun segnale. Forse, il giorno precedente, avevano scorto dalla costa il bagliore delle esplosioni e sentito il fragore delle detonazioni. Véronique non si mosse.

L'isola delle trenta bare  (COMPLETA)Where stories live. Discover now