La capanna abbandonata

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PARTE PRIMA. VÉRONIQUE

1. La capanna abbandonata

Il pittoresco villaggio di Le Faouët, situato nel cuore della Bretagna, vide arrivare in carrozza, una mattina del mese di maggio, una signora il cui ampio vestito grigio e il velo spesso intorno al volto non impedivano di scorgere la gran bellezza e la grazia perfetta.

La signora pranzò in fretta all'albergo principale. Poi, verso mezzogiorno, pregò il padrone di custodirle la valigia, gli chiese alcune informazioni sul paese e s'inoltrò nella campagna.

Quasi subito le si presentarono due strade, una che conduceva a Quimperlé, l'altra a Quimper. Scelse quest'ultima, scese in fondo a un vallone, risalì e scorse a destra, all'imbocco di una strada comunale, un indicatore stradale con la scritta: "Locriff, 3 chilometri".

"Ecco il luogo", si disse.

Dando un'occhiata in giro, fu sorpresa di non trovare quel che cercava. Aveva forse capito male le istruzioni che le avevano dato?

Intorno a lei nessuno, e nessuno per quanto lontano si potesse vedere all'orizzonte della campagna bretone, sopra i prati fiancheggiati d'alberi e le colline ondulate.

Un piccolo castello, spuntato dalla verzura nascente della primavera, mostrava non lontano dal villaggio una facciata grigia, con tutte le finestre chiuse dalle imposte.

A mezzogiorno le campane dell'Angelus oscillarono nello spazio. Poi fu il gran silenzio e la gran pace.

Allora la donna si sedette sull'erba rasata di un pendio e trasse di tasca una lettera di cui spiegò i numerosi fogli. La prima pagina portava in alto la seguente ragione sociale:

Agenzia Dutreillis.

Studio di consulenza.

Informazioni confidenziali.

Riservatezza.

Poi sotto, l'indirizzo:

Alla signora Véronique, modista, Besançon.

Lei lesse:

Signora,

Non potrebbe credere con quale piacere ho adempiuto la duplice missione di cui mi ha gentilmente incaricato con la pregiata Sua di questo mese di maggio 1917. Non ho mai dimenticato le condizioni nelle quali mi fu possibile, quattordici anni fa, prestarle il mio efficace aiuto, all'epoca dei dolorosi eventi che amareggiarono la sua esistenza. Sono stato io, infatti, a poter ottenere tutte le certezze riguardo alla morte del suo caro e rispettabile padre, signor Antoine d'Hergemont, e del suo adorato figlio François, prima vittoria di una carriera che doveva procurarmene altrettante clamorose.

Sono stato io, non lo dimentichi, che su sua richiesta e vedendo quanto fosse utile sottrarla all'odio e, diciamolo, all'amore di suo marito, ho fatto le pratiche richieste per la sua ammissione nel convento delle carmelitane. Sono stato io, infine, poiché il ritiro in quel convento le aveva mostrato che la vita religiosa era contraria alla sua natura, a procurarle l'umile posto di modista a Besançon, lontano dalle città dove aveva trascorso gli anni della fanciullezza e le settimane del suo matrimonio. Lei aveva buon gusto, bisogno di lavorare per vivere e non pensare. Doveva riuscire. È riuscita.

E ora arriviamo al fatto, al doppio fatto che ci interessa.

Anzitutto, la prima domanda. Nella tragedia, che ne è stato di suo marito, il signor Alexis Vorski, polacco di nascita, secondo le sue carte, e figlio di re, a suo dire? Sarò breve. Sospettato, rinchiuso dall'inizio della guerra in un campo di concentramento, il signor Vorski è riuscito a fuggire in Svizzera, è rientrato in Francia, è stato arrestato con l'accusa di spionaggio e convinto di essere tedesco. Una seconda volta, quando inevitabilmente lo attendeva una condanna a morte, scappò, scomparve nella foresta di Fontainebleau e fu pugnalato, non si sa da chi.

L'isola delle trenta bare  (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora