4. Intero

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4. Intero

Oramai sapevo cosa aspettarmi, eppure ne rimasi comunque sconvolta.

Era il luogo dove tutto era iniziato: il Golden Gate Bridge. Se non fossi stata circondata non da una, bensì da una decina di nere figure minacciose, sarebbero stati il silenzio, il buio e i lampi a terrorizzarmi. Era agghiacciante.

Mi guardai attorno per capire meglio in che guaio mi fossi cacciata e mi ci volle davvero poco a comprendere che non avevo scampo; stavolta non c'era via di fuga.

Gli uomini in nero (non sapevo come altro definirli) sembravano interdetti, anche se era difficile dirlo senza poter vedere i loro volti. Lo si intuiva dall'immobilità dei loro corpi, sembravano esitare.

Qualcosa mi portò a voltarmi e fu in quel momento che mi accorsi che non ero sola all'interno del cerchio formato da quegli strani esseri scuri. Uno di loro era all'interno con me e mi fissava insistentemente con gli occhi sbarrati, gli stessi occhi che da giorni mi perseguitavano nei miei incubi.

Eravamo ad alcuni metri di distanza. Lui fece un passo nella mia direzione e io istintivamente indietreggiai.

La situazione era critica: davanti a me lui. Dietro di me e tutt'intorno tanti altri.

Il silenzio era rumorosissimo, i tuoni rimbombavano e i lampi gettavano su di noi luci bianche e rosse, ma non pioveva ancora.

Uno di loro, del quale potevo notare solo gli occhi nerissimi, iniziò a avvicinarsi a me risoluto, abbandonando la sua posizione senza ombra di incertezza. La mia testa si voltava freneticamente da una parte all'altra, cercando disperatamente una via di fuga. In quel momento ricordai cosa avevo alla cintura e senza pensarci afferrai il coltello tenendolo basso, lungo la gamba.

Non parve preoccuparsene. Quando arrivò di fronte a me non esitai, caricai con forza il braccio e lo colpii all'addome. La lama volò via dolorosamente dalla mia mano, come se avesse colpito roccia e non carne. Alle mie spalle sentii trattenere il respiro.

Il cerchio continuava a chiudersi attorno a me, no, non solo a me, a noi.

Per un attimo distolsi lo sguardo da colui che avevo appena tentato di uccidere e lo portai su di lui. Non capivo perché il mio demone alternasse occhiate furenti ai suoi simili a sguardi evidentemente ansiosi verso di me, non aveva senso. Come se anche lui fosse in pericolo, come se gli altri non fossero lì solo per me, ma anche per lui.

Mentre lo osservavo il tempo sembrò fermarsi. Inaspettatamente, in un battito di ciglia, fui consapevole che lui era l'unico soggetto a fuoco di tutto quel quadro sconvolgente, l'unica cosa importante. Il fatto che potesse essere in pericolo divenne improvvisamente inaccettabile, poco importava che sentissi ancora sfuggire il dettaglio che sapevo avrebbe dato un senso a tutta quella follia.

Il tempo riprese a scorrere mentre correvamo l'uno verso l'altra. Non lo avevo deciso, il mio corpo era scattato come in risposta a un ordine superiore. Sentii alle mie spalle una mano afferrare un lembo della mia maglietta, ma sfuggii miracolosamente alla presa.

Non ero mai stata così veloce.

Forse era destino, forse dovevo morire per mano sua e di nessun altro.

Accadde in fretta. La raggelante calma li abbandonò. Adesso tutti correvamo, cacciatori e prede, ma prima che il cerchio si chiudesse come una morsa attorno a noi, lui tese le braccia, ma stavolta non per colpirmi; mi circondò, e un altro lampo, più forte di tutti gli altri, abbagliò la mia vista e fece cambiare scena.

Non eravamo più sul ponte, precipitavamo in mare da esso.

Vedevo l'acqua avvicinarsi a velocità impressionante e il terrore mi impedì di emettere anche il più flebile urlo. Quanti metri erano? Conoscevo la risposta: più di sessanta. Quanta gente era morta gettandosi dal ponte... Era stata messa una rete anti-suicidi proprio per tale motivo, ma in quello strano mondo neanche l'ombra.

InversoOnde as histórias ganham vida. Descobre agora