3. Veglia

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3. Veglia

Trascorsi la notte più delirante della mia vita bevendo coca e ormai, all'alba, ero gonfia come un pallone, sovraeccitata e di pessimo umore.

Una piccola parte dentro di me diceva che mi ero sognata tutto - appunto un sogno - ma il pigiama che mi fissava dall'altra parte della stanza la pensava in tutt'altro modo, sembrava deridermi e prendersi gioco di me, la prova inconfutabile che non ero pazza ma che le cose non andavano comunque meglio.

Cercai di fare delle ipotesi. E se fossi uscita di notte e avessi fatto una passeggiata in spiaggia? Magari ero sonnambula. Ma i miei se ne sarebbero accorti... Certe cose non iniziano a diciannove anni, giusto?

Qualsiasi follia sembrava più ragionevole del mio assurdo sospetto.

L'euforia che aveva accompagnato il mio ultimo risveglio era un lontano ricordo. Una cosa era essere esaltati all'idea di aver sognato il più bel ragazzo che avessi mai visto, un'altra che tale ragazzo volesse davvero uccidermi e non come prodotto onirico.

Mi trascinai in cucina dove sostituii la coca con una bella tazza di caffè caldo. Dovevo assolutamente escogitare un modo per restare sveglia, ma per quanto sarei potuta andare avanti? Prima o poi avrei ceduto... E lui mi avrebbe ucciso. Beh, per il momento era ancora tutto sotto controllo, non volevo pensarci, magari sarebbe successo qualcosa.

"Buongiorno!".

"'Giorno", risposi automaticamente, ancora con gli occhi spalancati sul macabro futuro prossimo che ritenevo inevitabile.

"Siamo mattiniere, eh?".

Mio padre mi lanciò un'occhiata distratta da sopra la sua tazza, mentre si sedeva a tavola.

"Sì... Senti, per quanto tempo un essere umano può non dormire?". Non pensai più di tanto alla domanda, ma mio padre la trovò molto interessante.

"Beh, esistono diversi studi, c'è chi ha resistito undici giorni, comunque si ritiene che non sia salutare andare oltre i quattro giorni pieni... Ma sono casi limite".

A questo punto mi osservava perplesso, forse aveva notato le mie occhiaie. "Ma perché questa domanda? Non vorrai mica fare un qualche tipo di esperimento, eh?", ridacchio divertito. A casa tutti sapevano quanto amassi dormire.

Non risposi, tornai a guardare il tavolo meditando sulle sue parole. Quattro giorni:  ammesso e non concesso di farcela, cosa avrei risolto?

La risposta arrivò chiara: nulla. Ma dovevo procrastinare il più possibile; magari se fossi giunta al sonno sfinita e spossata non avrei sognato, sempre che quello che mi era capitato potesse definirsi sogno. La parola Incubo era a dir poco riduttiva.

Almeno avevo un programma, un obiettivo: non dormire. Non sarebbe stato facile, non per me. Accidenti, cosa potevo fare per non dormire? Avrei iniziato con una doccia, ne avevo proprio bisogno. Andai in bagno e mi avvicinai allo specchio. Finalmente mi decisi a esaminare la noiosa puntura che mi aveva infastidito durante la notte, solo che sotto le dita non avvertivo nessun rigonfiamento, bensì una specie di graffio.

Era sotto la canottiera, a sinistra, poco sotto la clavicola. Erano due linee sottilissime che si intrecciavano. Erano quasi invisibili, più che altro le percepivo al tatto.

Che altra stramberia era questa? Quando mi ero graffiata e a quel modo? Non ricordavo, ma qualcosa si contorse nel mio stomaco e mi convinse a lasciar perdere.

Entrai nella doccia e mi costrinsi a farmi una violenza inaudita: aprii del tutto l'acqua fredda. E dire che c'era chi era capace di infliggersi quella tortura ogni giorno dicendo che giova alla pelle. Non di certo alla mia! Comunque ottenne l'effetto sperato: una vera sferzata di energia, che contribuì a rendere ancora più cupo il mio umore.

InversoTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang