10 - Films

21 6 0
                                    

Le lezioni di fotografia si tenevano in una stanza microscopica posta al pianterreno, vicino agli uffici amministrativi della scuola. Per arrivarci, passati davanti alla segreteria, bisognava attraversare un piccolo androne e varcare una inquietante porta fatta di sbarre di ferro scrostate. Nell'aula, in un armadietto chiuso a chiave, c'erano delle apparecchiature fotografiche utilizzate a scopo didattico che una volta dovevano avere anche un discreto valore, quindi l'aula era stata dotata di una maggior sicurezza per scoraggiare eventuali ladruncoli.
Oltre alle lezioni in aula, il corso di studi in fotografia prevedeva anche delle uscite periodiche per fare pratica. Una delle mete più ricorrenti era il Washington Square Park, relativamente poco distante dalla scuola, un parco dalle dimensioni contenute ma caratterizzato da una bella prospettiva dell'arco di trionfo posto al lato nord, e da una bella Fontana circolare al centro. Il parco è noto ai turisti soprattutto per due motivi, il primo è che qui vennero girate diverse scene del famoso film del 1989 Harry ti presento Sally (quelle in cui i due protagonisti Meg Ryan e Billy Cristal si lasciano); il secondo motivo è perché in questo parco la New York University organizza periodicamente la cerimonia di consegna delle lauree.
Dal punto di vista fotografico, la piazza è interessante, soprattutto nelle belle giornate primaverili, per il contrasto tra le linee curve dell'arco di Washington e i profili squadrati dei palazzi circostanti, e per il fatto che non è inconsueto avvistare qualche impaurito scoiattolo o qualche uccello nascosto sulle chiome degli alberi. Altro soggetto spesso fotografato nelle lezioni è la statua di Giuseppe Garibaldi, l'eroe italiano detto "dei due mondi" perché combatté sia per la libertà del popolo italico che dei popoli del Sudamerica. La statua adorna dal 1888 un lato della piazza, e curiosamente è meta delle matricole della New York University che, a titolo di buon auspicio per il loro corso di studi, perseguono la tradizione di gettare un penny alla sua base.
Quel giorno, la loro classe si era appunto diretta al Washington Square Park. A Megan era toccato l'incarico di caricarsi parte delle attrezzature fotografiche, mentre il resto era trasportato dal professor Dalton. Si erano incamminati con allegria e a buon passo, bisognava percorrere almeno un chilometro e mezzo ma la quel giorno l'aria era fresca e luminosa, ideale per effettuare qualche buono scatto. Di solito, la gente in strada li guardava passare con curiosità.
Kevin si era offerto di portarle l'attrezzatura ma lei si era rifiutata; Kevin era l'unico studente della classe che avesse avuto l'autorizzazione ad utilizzare la sua attrezzatura fotografica privata, anche perché era probabilmente l'unico studente ad esserne in possesso. Aveva quindi già la sua borsa che portava a tracolla e che teneva ferma con il braccio destro per evitare che gli sbattesse continuamente sul fianco.
Si erano salutati brevemente all'inizio della lezione in classe, e Kevin le aveva detto che potevano sfruttare quella uscita per parlare.
Un po' per quel motivo e un po' perché erano appesantiti dalle attrezzature fotografiche, in breve si erano ritrovati in fondo al gruppo di studenti. Il professor Dalton era come al solito in testa, ma controllava che il gruppo non si allungasse troppo.
"Mi fa piacere rivederti" esordì Kevin con la voce esitante. "Mi sei mancata. Non credere che non ti abbia pensato, che non comprenda la tua sofferenza per tutta quello che è successo. Anzi, proprio perché lo so bene ho preferito girare alla larga, avevo la certezza che non avrei potuto fare nulla per consolarti.
Di fronte al dolore, ognuno di noi è solo e deve trovare il proprio modo di superarlo, di metabolizzare. Modo e tempo. Almeno, per me è stato così."
Megan non sapeva a cosa si riferisse Kevin, e le sembrava inopportuno chiederglielo.
"Già, ognuno reagisce a modo suo e non sai mai come comportarti. Non ti preoccupare, anche a me serviva del tempo. Fino a pochi giorni fa pensavo seriamente di non tornare a scuola, di prendermi un anno sabbatico.
Non ho fatto altro che stare chiusa in casa a piangere, senza parlare con nessuno. Ho fatto arrabbiare anche Maureen e Jojo."
"Jojo non si è arrabbiata. Si è solo preoccupata. Ci ho parlato più di una volta e so benissimo che non le rispondevi. Ma Jojo è Jojo, giusto? Voi due vi volete troppo bene per passare tanto tempo lontano."
"È quasi come una sorella, per me. Mi capisce come nessun altro. E a volte non servono le parole."
"Perfettamente d'accordo. "
Kevin si tirò su la borsa con l'attrezzatura, che gli stava scivolando sempre più giù. Sembrava indeciso, forse voleva aggiungere qualcosa. Passò quasi un minuto, poi le disse: " Lo sai che ho un fratello più grande?"
Megan non ne aveva idea, non glielo aveva mai detto.
"Davvero? Quanto più grande? Vive ancora con voi?" gli chiese.
"In realtà non so dove viva. Da qualche parte, spero. Ma non ci parlo da tanti anni." Kevin evitava di guardarla.
"Ma che mi dici! È una storia strana. Vuoi raccontarmi?"
"In realtà, io non ho mai conosciuto i miei genitori. Sono stato adottato che avevo cinque anni. I miei veri genitori sono morti in un incidente d'auto quando ne avevo quattro. Così, all'improvviso. Da un giorno all'altro è cambiato tutto. Un giorno sei felice come solo un bambino può esserlo, e il giorno dopo pensi che la tua vita è finita. E nessuno è stato in grado di spiegarmi perché questa cosa orribile è dovuto succedere proprio a me. Ci ho messo parecchio per superare la cosa. Parecchio vuol dire anni.
Hai mai visto il film Philadelphia? Quello con Denzel Washington che fa l'avvocato che difende Tom Hanks che è un omosessuale che è stato licenziato perché malato di aids?"
"Si certo. Con quella canzone meravigliosa di Bruce Springsteen. Un gran film."
"Ecco, una delle frasi più note del film è quando lui dice "spiegamelo come se avessi soltanto quattro anni"....
La realtà è che certe cose, a un bambino di quattro anni non puoi proprio spiegarle.
Quindi non preoccuparti, e scusami se ho preferito non chiamarti. Queste cose mi fanno tornare indietro nel tempo, e non è una cosa piacevole. Ma se ne vuoi parlare, se tu ne senti il bisogno, io sono qui. Forse sono l'unico che può dirti qualcosa che abbia un senso."
Megan era talmente stordita da quel discorso che restò in silenzio per parecchio tempo.
Erano arrivati all'entrata della piazza e non aveva più voglia di seguite la lezione.
"Diamine Kevin, mi dispiace tantissimo. Sono esterrefatta. Non so che dire."
Nel giro di pochi minuti, il professor Dalton aveva assegnato a ognuno di loro i vari incarichi.
Loro due avrebbero dovuto dedicarsi alla fontana centrale, cercando di giocare con la luce che si rifrangeva sulla superficie dell'acqua e che trafiggeva gli schizzi d'acqua che si innalzavano nell'aria per tre o quattro metri.
"Kevin, è una cosa abbastanza impegnativa, ma tu ce la puoi fare. Sentiti libero di essere creativo." aveva detto il professore.
Avevano tirato fuori l'attrezzatura fotografica dalla borsa e fatto un paio di giri intorno alla fontana. Kevin studiava la situazione e la posizione del sole e parlava.
"In fondo, anche la mia passione per la fotografia viene da là. Io lo so."
"In che senso, scusa?" chiese Megan.
"Ho pochissime fotografie dei miei veri genitori, e solo una in cui siamo tutti insieme, loro due, io e mio fratello. E quasi nessun ricordo. Praticamente non so nulla di loro. Se avessi avuto più fotografie a disposizione, forse avrei potuto sapere di più. Quindi questa passione è legata alla mia ossessione di documentare tutto il più possibile. Scatto migliaia di fotografie in ogni occasione possibile, così potrò ricordare tutto."
Parlava tranquillamente, continuando a spostarsi, ad inquadrare e a scattare fotografie.
"Ma non credere che io sia triste, o cosa. Ho avuto la fortuna di essere adottato da due persone straordinarie e ho avuto finora una vita felice. Non mi lamento di quello che la vita mi ha portato."
"Come si chiama tuo fratello?" gli chiese.
"Mathew. Adesso ha ventitré anni. Ne aveva dieci quando morirono papà e mamma. Ne soffrì molto più di me. Io venni adottato quasi subito ma lui rimase nella casa famiglia un altro anno. Era un ragazzo difficile e i miei genitori non se la sentirono di prendere tutti e due, e poi mi dissero che i servizi sociali spingevano per accelerare la mia adozione anche a costo di separarci. Adesso probabilmente due fratelli non li separerebbero, credo.
Non so dove sia, e non so se lui sappia dove sono io. Io finii qui a New York, per quello che ho potuto sapere lui venne invece poi adottato da una famiglia di Cleveland. Ma non so se vive ancora lì. Spero sia felice e non gli manchi nulla, come a me."
Nel frattempo, aveva scattato almeno una ventina di volte rimanendo concentrato su quello che stava facendo. Gli altri ragazzi erano sparpagliati per tutto il parco.
"Tocca a te adesso" disse Kevin porgendogli la sua Nikon D5600. Era una macchina da quasi mille dollari di cui andava molto fiero, regalo dei suoi genitori.
"E se mi cade nella fontana?" scherzò lei.
"Ti butti e la recuperi. Ma per sicurezza... non ti avvicinare troppo al bordo della vasca eh. Vai di zoom. E vieni da questo lato, hai una luce migliore e meno persone sullo sfondo."
Lei scattò con altrettanto impegno, cercando di cogliere un qualcosa di particolare che potesse essere sfuggito a Kevin. Fu fortunata, per un attimo un grosso gabbiano proveniente dalle rive dell'Hudson si andò a posare sulla fontana; scattò velocemente una successione di una decina di foto. Il terzo scatto era perfetto, il gabbiano era stato colto in fase di atterraggio, con le ali retratte e il becco sporto in avanti. Era perfettamente a fuoco e centrata, e miracolosamente nell'inquadratura non si vedevano persone. L'uccello spiccava contro il cielo azzurro e lo sfondo dei palazzi dalla facciata rossa dell'angolo nord della piazza. In un lato della foto, lo schizzo d'acqua della fontana si allungava verso l'alto in uno sbuffo cristallino dai riflessi d'arcobaleno.
Orgogliosa, porse la macchina a Kevin.
Ridendo, disse a Kevin: "Guarda che capolavoro il terzo scatto del gabbiano! Un'opera d'arte!"
"Accidenti che bella" fece lui guardando la foto.
Poi immediatamente impugnò la macchina e scattò quattro foto a Megan mentre ancora rideva, e scattò ancora mentre lei si copriva la faccia con le mani.
"Guarda che capolavoro il terzo scatto! Una meraviglia! " disse lui, allegro. Le lanciò un sorriso a trentadue denti e poi diventò tutto rosso.
Lei non parlò ma dentro sentì un valore improvviso allo stomaco. Pregò silenziosa che non fosse diventata rossa anche lei.
Nel frattempo il gabbiano aveva ripreso il volo e aveva deciso di andarsi a fermare su una delle panchine nell'area attrezzata utilizzata dai giocatori di scacchi che abitualmente frequentavano il parco. Se ne stava lì tranquillo, con le lunghe ali dispiegate al sole, come per asciugarsi. Il becco adunco era rivolto proprio verso di loro e inclinava lentamente la testa da un lato e dall'altro.
Il professore stava radunando tutti gli studenti, la lezione era praticamente finita e bisognava tornare verso la scuola.
Si avvicinarono al gruppo riponendo la macchina fotografica nella borsa. La giornata era diventata quasi calda e a tutti sarebbe piaciuto trattenersi nel parco ancora a lungo.
Il trasporto dell'attrezzatura scolastica toccò questa volta ad un altro studente, ma come all'andata lei e Kevin rimasero in coda al gruppo che a malincuore se ne tornava verso la Stuyvesant.
Le aveva fatto piacere che Kevin avesse deciso di confidarsi con lei, non avrebbe mai immaginato una storia simile. Anche dalle cose più brutte che ci accadono, possiamo trovare il modo di tirarne fuori qualcosa di positivo, pensava mentre camminava. Chissà se in futuro lei sarebbe riuscita a trovare qualcosa di positivo dalla scomparsa della madre. Il pensiero le sembrò quasi osceno, e se ne vergognò. Ma Kevin era lì accanto a lei che camminava con quel suo tipico modo ondeggiante, e sembrava sereno. Come era stata serena la sua voce quando le aveva raccontato la sua infanzia.
Non si dissero altro fino al ritorno a scuola; avevano entrambi un'altra ora di lezione prima del pranzo. Si separarono, prendendo un vago impegno di rivedersi per mangiare qualcosa insieme.
Rientrò in aula abbastanza svagata e con un residuo di calore nello stomaco.
Sorrise a Jojo e si andò a sedere accanto a lei, allungando le gambe sotto il banco.
"Che c'è?" le chiese l'amica.
"Niente, perché?"
"Hai un'espressione strana, è successo qualcosa?"
"No, niente. Assolutamente."
Poi le chiese: "Tu l'hai visto Philadelphia, il film con Tom Hanks e Denzel Washington?"
Jojo la guardò meravigliata. "Veramente no. Dovrei? Ma che c'entra, adesso?"
L'arrivo della Signora Floyd salvò Megan dal dover rispondere qualcosa di sensato.

Tutto il futuro davanti Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora