George.

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Quella domenica pomeriggio lasciai Louis a casa con lo studio per l’università alle quattro del pomeriggio. Uscii di casa sorridendo al ragazzo davanti a me, scesi i pochi gradini e lo abbracciai saltandogli al collo.

“Come stai?” domandò sorridente.

“Bene, tu?”

“Bene. Sei pronta?”

Annuii leggermente.

“Bene, andiamo” disse salendo in macchina.

Presi posto accanto a lui nel sedile del passeggero e sentii la macchina accendersi.

“Josh, sei sicuro di volerlo fare?” domandai guardandolo mentre guidava sicuro.

“Sì. Più aspetto e più so che farà male” disse fermo.

Stavamo andando a casa di George, per la prima volta da quando ci aveva lasciato. Lo avevamo deciso, del resto. E anche se sapevamo entrambi che non sarebbe stato un pomeriggio allegro, eravamo consapevoli che era una cosa che andava fatta.

Arrivammo alla sua casa in pochi minuti, e appena scesi un’ansia mi colpì il petto. Non sapevo che cosa aspettarmi, che cosa dire se fosse successo qualcosa, non sapevo niente. Eppure ero lì.

Josh si avvicinò a me, e insieme camminammo verso la porta.

Il ragazzo tirò fuori dalle tasche dei jeans un mazzo di chiavi, dove vidi brillare una ‘G’, segno che erano le chiavi della casa del suo fidanzato.

La serratura scattò, lui spinse la porta aprendola e io venni invasa dai ricordi e dall’odore di chiuso.

Era ancora tutto come l’avevamo lasciato l’ultima volta, con qualche ragnatela in più e molta vita in meno.

“D-Dove vuoi andare?” domandai col groppo in gola.

“Non lo so. Decidi tu” mi disse sicuro, guardandosi intorno.

Doveva essere sommerso dai ricordi tanto quanto me.

Salii le scale, decidendo di andare nella sua camera, dove avremo trovato qualcosa che ci ricordasse lui.

Aprii la porta ed entrai senza dare troppo peso a quello che avrei potuto trovare, altrimenti non ne sarei di certo uscita viva.

Vidi il suo letto ancora sfatto. Tipico di George, odiava essere una persona ordinata.

Mi ci sedetti in fondo, afferrando una maglietta che doveva avere usato come pigiama ed inspirai a lungo il suo odore. Profumava di lui, di mio cugino. Era come se fosse ancora lì.

Mi vennero le lacrime agli occhi al solo pensiero di non poterlo più tenere stretto tra le mie braccia mentre fingeva di avere paura dei fantasmi.

“Josh…” chiamai il ragazzo che era rimasto immobile appoggiato allo stipite della porta.

Lui alzò lo sguardo verso di me, facendo scontrare i nostri occhi entrambi pieni di lacrime.

“Non credo di farcela” disse venendosi a sedere accanto a me.

“Non dovevamo venire qua” ammisi.

Tra noi calò un silenzio tombale, fino a quando non mi alzai ben decisa su dove andare. Aprii il cassetto del mobile di George, dove c’era lo specchio e tutti i suoi prodotti, e ne estrassi un diario.

Sapevo che annotava tutto lì, e sapevo che aveva scritto qualcosa per noi, perché tanto lui era prevedibile e sapeva prevedere le cose.

Secondo me ci aveva lasciato qualcosa, una minima traccia di lui, un minimo ricordo, una minima frase.

STRONG.Where stories live. Discover now