Korean Rhapsody

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Essere una popstar coreana era tutt'altro che facile. Tutt'altro.

Roh Mi-Na lo sapeva bene. Comprendeva i sentimenti del suo amato. Rinunciare a tutto, alla vita tranquilla in campagna, circondato dall'affetto dei suoi cari... per iniziare un percorso all'inizio così incerto, così lontano.

La concorrenza nel mondo del k-pop era spietata. Gli agenti erano spietati. I fan spietatissimi. Il look doveva essere perfetto. La voce perfetta. I do perfettamente tenuti. Il viso perfettamente levigato, il colorito uniforme e chiaro.

Roh Mi-Na ripercorse la vita del suo fidanzato: lo aveva visto soffrire tanto. Soffrire per imparare ogni singolo passo delle coreografie sincopate, lui che, prima di iniziare quell'avventura, era rigido come un pezzo di legno. Soffrire per gli interventi di chirurgia plastica al volto, più volte inciso e limato fino ad ottenere il perfetto aspetto per cui le fan ora andavano in visibilio.

Sì, in visibilio: perché ora finalmente, dopo tanti sacrifici, era lui la vera stella del kpop, l'unico cantante in grado di riempire il Seoul Ollimping Ju Gyeonggijang fino al triplo della sua capienza.

E questo nonostante le sue origini straniere.

Roh Mi-Na sospirò. Che dura vita, ma ora il tour era finito e lei aveva voluto fare un regalo al suo amato: una serata in tranquillità, senza impegni: lui solo, col suo pianoforte. Era stato difficile convincere l'agente, il calendario degli impegni era molto fitto, ma infine c'era riuscita. Ma a che prezzo. E ora, lo avrebbe osservato di nascosto, avrebbe gioito della sua gioia. Del suo canto libero.

Eccolo. Ecco  che sedeva al pianoforte, il viso malinconico e autentico, come Roh Mi-Na non lo vedeva da anni. Eccolo comporre i primi accordi. Ah, quella canzone, quella che cantavano insieme quando lui non era ancora una star del kpop! Quanti ricordi. La loro canzone preferita.

Roh Mi-Na applaudì, ma le sue mani non produssero alcun rumore. Eppure voleva ricordargli che lei lo apprezzava, lo apprezzava per quel che era e che era stato, anche quando era solo uno stagionato tenore pugliese con uno sgangherato fandom di italiani anzianotti...

Si concentrò fino a quando riuscì a produrre un battito sufficientemente forte per essere udito. Era solo un battito, non un applauso, ma lei sperò che lui lo notasse.

Lui si interruppe. Cercò intorno con lo sguardo. Non vide nessuno.

Non avrebbe mai saputo che il fantasma della sua donna lo stava ascoltando suonare, quel giorno, così come non avrebbe mai saputo il motivo per cui lei si era uccisa. Non avrebbe mai potuto capire, da solo, quali incredibili intrighi il suo agente aveva tramato alle sue spalle, per farlo tornare single e per guadagnare la prima pagina sui giornali.

Si ricompose, sicuramente aveva sentito male. Non c'era nessuno in quella stanza. Roh Mi-Na era morta, il suo agente gli aveva concesso un giorno di pausa per recarsi al funerale e lui ora voleva solo cantare per lei.

"Felicità... è tenersi per mano, andare lontano, la felicità...", intonò di nuovo Al Ba-No, mentre una lacrima rigava il suo nuovo viso coreano.

Storie un po' cosìWhere stories live. Discover now