"Non sono come te"

Forse avrebbe voluto esserlo. Forse avrebbe voluto fare meno sforzi per prendere dei voti comunque miseri. Forse, non vorrebbe sentirsi un incapace rispetto alla sorella, e rispetto agli standard di suo padre.

Improvvisamente, sento come se tutta la rabbia che ho provato nei suoi confronti per anni, sia completamente svanita e rimpiazzata dal senso di colpa. Non che io potessi fare qualcosa se lui non vuole l'aiuto di qualcuno, eppure sento come se la responsabilità sia, in parte, mia. Rimango a fissare il vuoto, stringendo i pugni e la solita domanda torna a farsi viva nella mia testa: cosa posso fare io, per portare dei miglioramenti nella sua vita? C'è qualche passo che posso compiere? Nel formulare tutti quei pensieri, improvvisamente sento un battito molto più forte nel mio petto, che mi fa sobbalzare per la paura. Sento un dolore forte, e porto lì la mano, cercando di capire che cosa stia succedendo.

«Che diamine» bofonchio, cercando di respirare. Ma la vista si appanna, e tutto diventa nero. Ho paura, non riesco a riaprire gli occhi.

«Dove sono?»

Gli occhi si riaprono, quasi da soli, e mi guardo attorno. È tutto nero intorno a me. Mi giro varie volte, alla ricerca del banco sul quale ero seduta fino a mezzo secondo fa, ma non c'è nulla. Sono immersa nel nulla.

Mi sembra di riuscire a muovermi in quel infinito spazio nero, privo di entrata e di uscita. Muovo le gambe e comincio a camminare, prima lentamente, poi sempre più velocemente, con il cuore che mi martella nel petto per la paura che sto provando. Ma dove posso andare? Mi blocco, con il fiato corto. Ho paura, non so dove mi trovo, come ci sono finita. E, ovviamente, non ho idea di cosa devo fare per uscire. Improvvisamente, un bagliore mi fa socchiudere gli occhi per la sua intensità.

«Cosa succede?»

La luce bianca diminuisce di intensità e io riesco a guardare: la luce si è trasformata in un riquadro dal quale riesco a vedere delle immagini. Mi avvicino titubante, e spalanco gli occhi quando riesco a distinguere le immagini. Dinanzi a me vedo un piccolo Calum, probabilmente delle elementari. Torna a casa con lo zaino sulle spalle ed un foglio tra le mani. Sembra felice. Sta correndo, affiancato a una giovane Mali dai lunghi capelli castani; non sembra nemmeno lei. Per prima cosa, perché sembra molto più serena. Il suo viso è rilassato, le labbra distese in un sorriso mentre chiama il fratellino. E poi, ovviamente, per i lunghi capelli scuri. Sono abituata a vederla con i suoi attuali capelli corti e biondissimi.

«Non correre» richiama il fratello, cercando di sembrare severa, ma il sorriso sulle labbra la tradisce.

Calum la ignora e agita le braccia mentre corre, continuando a stringere il foglio nella mano sinistra.

Si ferma non appena giunge davanti al cancello di casa sua, impaziente.

«Presto Mali!» incita la sorella a sbrigarsi e lei scuote il capo, divertita.

«Sì, sì, arrivo» cammina a passo svelto, scuotendo i capelli e raggiunge finalmente il fratello, che si sta agitando, battendo i piedi per terra.

Mali prende le chiavi dalla tasca dello zaino ed apre il cancello, facendo entrare Calum, che riprende a correre verso la porta, e deve nuovamente aspettare l'arrivo della sorella per farsi aprire la porta di casa. I due entrano, e noto come la casa non sia cambiata per nulla da com'è oggi. Sempre ordinata, senza giochi in giro, senza eccessivi soprammobili sulle mensole.

«Mamma!» chiama Calum entrando in cucina. Una Joy stanca compare nella mia visuale. Noto come abbia ancora indosso le scarpe, quindi immagino sia rincasata da poco. Joy sorride al figlio.

«Ciao Calum» si china verso di lui e gli posa un bacio sulla fronte.

«Com'è andata?»

Calum sorride e le porge il foglio che teneva in mano, ormai stropicciato.

Joy lo afferra e lo legge, mentre Calum parla di nuovo.

«Guarda mamma! Ho fatto un buon punteggio! La maestra ha detto che sono migliorato molto» esclama contento.

Joy appoggia il foglio sul tavolo, e io riesco a leggere cosa c'è scritto. È un test di grammatica inglese e, in alto, c'è scritto con la penna rossa 89/100. Sorrido intenerita.

«Sei stato bravissimo» Joy gli scompiglia i capelli, e gli occhi di Calum brillano per la felicità. Non dice nulla ma è visibilmente contento di avere avuto l'approvazione della sua mamma. Mali entra in cucina e sorride a sua volta.

«Hai visto? Anche la psicologa sarà molto contenta» parla dolcemente.

Calum porta le mani dietro la schiena e la agita lentamente, probabilmente in imbarazzo. Incrocio le braccia al petto: lui si è sempre sentito diverso. La dislessia lo ha portato a sentirsi meno rispetto agli altri bambini, che non capivano che non era stupido, ma faceva più fatica di loro nello svolgere vari compiti ed esercizi. È stato seguito da una terapeuta fin da piccolo perché emarginato per qualcosa che non può controllare. Sento una morsa nello stomaco, i sensi di colpa che mi colpiscono lo stomaco. Sono stata ingiusta con lui per tutti questi anni. Gli ho dato dello stupido ignorante per i suoi voti, non immaginando quanto, in realtà, si impegnasse più di tutti. E, probabilmente, ci ha rinunciato, stanco di non essere abbastanza.

«Forse anche papà sarà contento» mormora il bambino, e io noto chiaramente l'espressione preoccupata di Mali, che abbassa lo sguardo e lo rivolge verso i suoi piedi, inquieta. Osservo poi Joy, che sforza un sorriso ed abbraccia nuovamente il figlio, senza dire una parola. Ma gli occhi di Calum continuano a brillare di speranza, continua a credere che le cose andranno per il verso giusto, che attorno a lui saranno fieri di ciò di ogni suo passo. Allungo la mano verso il riquadro di luce bianco, nella speranza vana di riuscire a toccare quel piccolo Calum che ho davanti a me ma, ovviamente, è irraggiungibile. Ma vorrei potergli dire che sono qui, vicino a lui, e che mi dispiace. La visione sfuma davanti ai miei occhi, e lo schermo per diventa nero per qualche secondo, lasciandomi immersa nell'oscurità. Sbatto le palpebre, e una nuova immagine compare davanti ai miei occhi. Il piccolo Calum si sta avvicinando timidamente a suo padre, seduto sulla poltrona del soggiorno.

«Papà» chiama timidamente il bambino. Suo padre si volta verso di lui, con uno sguardo spento, e non comunica alcuna parola.

«Questo è il compito fatto a scuola» dice Calum con la voce tremante, allungando il foglio. Suo padre allunga una mano, levando il compito dalle mani sudaticce per la paura. Lo porta davanti a sé, leggendo lentamente con le labba chiuse in una linea sottile.

«89» scandisce lentamente la cifra e sospira «L'ennesima delusione» sospira, ed allunga la mano con il foglio verso il figlio, senza nemmeno guardarlo in faccia. Calum lo prende e scappa via, salendo velocemente le scale, con gli occhi lucidi.

«Oh Calum» mormoro e, dentro di me, emergono emozioni che non ho mai provato. La tristezza, la vergogna, il fallimento mi colpiscono come uno schiaffo, facendomi mancare il fiato. A David non è mai importato nulla della dislessia di Calum. Non si è mai seduto al suo fianco per aiutarlo quando non capiva. L'ha lanciato in una fossa di lupi affamati, aspettandosi che risalisse intatto.

Lo schermo torna nero per altri secondi, fino a quando un rumore assordante simile ad un fischio non mi fa portare le mani sulle orecchie e stringere i denti. E, velocemente, nuove immagini compaiono, alternandosi velocemente. David che urla contro Calum, Calum steso a letto che piange, Calum che comincia a diventare silenzioso a scuola, che comincia a saltare le lezioni, che smette di studiare, che abbandona tutti, e anche se stesso.

«No» scuoto il capo, con le lacrime agli occhi. Alzo il capo di scatto e sono di nuovo nel banco, in classe, con la professoressa che mi sta lanciando un'occhiata.

«Hood, se vuoi dormire potevi rimanertene a casa»

Mi asciugo in fretta le lacrime e rimango in silenzio, portando l'attenzione sul libro di testo, ma le parole nella mia testa sono confuse, come al solito. E l'unico pensiero che ho nella mia testa, è quello di trovare il vero Calum, nonostante stia scappando via da me.

Stars Align// Calum HoodWhere stories live. Discover now