4. «E come ci arriviamo? Volando?»

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«Io devo tornare alla mia gita adesso, quindi... ci sentiamo dopo?»
«Ti contatteremo, Parker. Tu sta attento e, appena vedi qualcosa, metti il costume.» Disse Fury, senza guardarlo negli occhi. «Grazie per aver deciso di aiutarci, Peter.» Sorrise Mysterio, facendo un cenno con la mano al ragazzo, per salutarlo. «Non c'è problema, alla fine,» iniziò a dire, girandosi verso Sybil «è questo che fanno gli eroi: salvano la gente.» La ragazza gli rivolse un piccolo sorriso, alzando di poco un angolo della bocca.

«Qualcosa mi dice che lavoreremo bene insieme, Spidey.» Affermò l'aspirante supereoina, giocherellando con la coda di cavallo. «Lo dici perchè hai già lavorato con altre persone o...?»
«Oh ti prego, sono praticamente una degli X-Men» tecnicamente non era vero, ma si stava allenando per esserlo, e aveva seguito -clandestinamente- il gruppo di eroi in alcune missioni, combattendo con loro. Quindi sì, poteva dire di far parte della squadra.

«Gli X-Men? Sono come gli Avengers?» Mentre lo diceva Peter non potè far a meno di abbassare lo sguardo, ricordando il gruppo originale dei vendicatori. Sybil non aveva idea di cosa fossero gli Avengers, ma sembrava un tasto dolente per il ragazzo. Non aveva bisogno di avvicinarsi a lui e concentrarsi, infatti, per sentire l'odore della tristezza provenire dal ragazzo. Sapeva di pioggia, e per quanto un tempo la ragazza amasse la pioggia, quando il suo olfatto era diventato più sviluppato, permettendole di sentire odori che nessun altro avrebbe potuto sentire, aveva iniziato ad odiare quel fenomeno atmosferico, che aveva iniziato ad angosciarla.

«Quindi... tu non dovevi tornare alla tua gita?» Domandò, forzando un piccolo sorriso. Il ragazzo annuì.

«Si, certo, ora io... io vado. Ciao a tutti.» Uscì in fretta dalla base, sotto lo sguardo di Sybil.

Il ragazzo le aveva messo angoscia, doveva ammetterlo: forse era il modo in cui aveva reagito quando aveva detto il nome dei fantomatici "Avengers". O erano stati i suoi occhi tristi. In ogni caso, si sentiva in colpa ad aver interrotto la quotidianità dell'eroe.

Si girò verso Fury, alla sua sinistra «senti io penso che... dobbiamo sul serio coinvolgere quel ragazzo?»
«Ma se ti sei impegnata per strappargli un sì» rispose l'uomo. «Si ma ora mi sento in colpa. Stiamo interrompendo la quotidianità di un ragazzino.»
«Ha la tua età, Howlett. E ora va a dormire, occuperai la camera accanto quella di Beck, domani ti faremo avere dei vestiti adatti a te.» Tagliò corto Fury, lasciando la stanza insieme a Maria Hill.

«Qualcosa mi dice che non ascolterai Fury.»

Sybil si voltò, incrociando il suo sguardo con quello di Quentin.

Scosse la testa. «No, hai ragione, non ascolterò il vecchio pirata.» L'uomo ridacchiò leggermente. Mentre lo faceva gli si formarono delle piccole rughe intorno agli occhi. «È stata una giornata parecchio stancante, però. Dovresti andare a dormire.»
«Non la definirei "stancante", direi piuttosto... strana. Unica. Ho molte cose a cui pensare.»
«Hai voglia di uscire e prendere un po' di aria?» Domandò Quentin. La ragazza annuì. «Da quanto sei qui, Quentin?» chiese, mentre si incamminavano verso l'uscita della base. «Una settimana circa. Sai, da quando gli elementali hanno distrutto la mia terra.» Rispose l'uomo, grattandosi la nuca. «Ma troveremo un modo per farti tornare a casa, Miss Howlett.» La ragazza rimase in silenzio.

Erano appena usciti dalla base -nascosta in quella che sarebbe potuta sembrare una fognatura-. «Se dovessero attaccare adesso... come potremmo distruggerli?» Chiese. Nell'aria c'era odore di elettricità. C'era odore di pericolo. «Non attaccheranno adesso.»
«Come fai ad esserne sicuro?»
«Io... lo so e basta. Me lo sento. Sono diventato bravo ad avvertire la loro presenza.» Tagliò corto l'uomo. Sembrava alterato.
«Scusa, è solo che sento odore di pericolo e-»
«Sarà una tua impressione.» Si guardò intorno. «Che ne dici di andare là sopra?» Indicò il terrazzo di un Hotel.
«E come ci arriviamo? Volando?» Domandò, alzando un sopracciglio.
«È proprio quello che intendevo fare.» L'uomo la attirò a sé, stringendola, per poi iniziare a volare verso il terrazzo dell'Hotel. «Non ero seria.» Strillò Sybil, presa alla sprovvista.
«Io si però.» Atterrarono. «Piaciuto il viaggetto?» Ridacchiò, lasciando la presa dalla ragazzina. «La prossima volta avvisa, però.» Si sedette ai margini del terrazzo, facendo penzolare le gambe verso il vuoto.

Alzò lo sguardo, osservò il cielo e, finalmente, realizzò quello che era successo: era stata catapultata in un altro universo, e forse non avrebbe più potuto fare ritorno a casa.

I suoi pensieri andarono alla Xavier, la sua adorata scuola: le sarebbero mancate le lezioni, le chiacchierate e le discussioni con gli amici. Poi pensò a Felix, detentore del suo cuore: stava andando da lui quando era stata risucchiata -o meglio: si era fatta risucchiare- da quello squarcio. Pensò che non avrebbe più visto gli occhi grigi del ragazzo, o i suoi capelli corvini ricci e ribelli. Non avrebbe più sentito la sua risata soave e lei stessa non avrebbe più riso per le sue battute.

Per ultimo, il suo pensiero andò alla persona a cui teneva più di chiunque altro: suo padre.

Suo padre, che l'aveva accolta, quando la madre non la voleva. L'aveva cresciuta, le aveva insegnato talmente tante cose che spesso faceva fatica a ricordarle tutte. Le aveva insegnato cosa volesse dire vivere e l'aveva aiutata nei momenti più difficili. Era sempre corso in suo aiuto. L'aveva sempre salvata. Mentre pensava a questo aveva un ricordo ben preciso in mente: il ricordo peggiore di tutti, che aveva provato più volte a cancellare. Scosse la testa: non voleva pensarci, voleva dimenticarlo. Eppure non poteva, perché quel ricordo l'aveva segnata per sempre. Istintivamente fece scattare gli artigli, e iniziò a guardarli con disgusto. Più che da loro, però, era disgustata dal metallo che li ricopriva -e che copriva il suo intero scheletro-. Era disgustata dagli uomini che le avevano fatto questo. Ritrasse gli artigli, mentre una familiare sensazione iniziava ad impadronirsi del suo corpo.

Era come se qualcosa di caldo avesse iniziato ad espandersi, partendo dal suo cuore ed estendendosi verso il resto del corpo. Era una sensazione piacevole, anche se non voleva ammetterlo: era la sensazione di quando lo spirito Berserker prevaricava.

Era uno spirito animale, distruttivo ed istintivo. E Sybil non poteva lasciare che quella calda sensazione potesse prendere il sopravvento in quel momento.

Avrebbe potuto far del male a Quentin Beck, il suo nuovo amico -poteva definirlo così?- Il suo respiro cominciò a farsi pesante ed irregolare, mentre provava a concentrarsi su altro -qualsiasi altra cosa-.

«Va tutto bene, Miss Howlett?» Domandò Mysterio, accanto a lei, poggiando le una mano sulla spalla. «Va tutto... benissimo.» si lasciò sfuggire un ringhio animale -del tutto in linea con il suo spirito Berserker-. «Non sembra.» rispose l'uomo, con un po' di preoccupazione negli occhi.

Sybil chiuse gli occhi, provando a pensare a qualcosa di positivo, eppure nulla sembrava funzionare. Tutti quelli a cui voleva bene erano lontani da lei. Questo la faceva infuriare ancora di più.

Decise di pensare agli insegnamenti del padre, di solito funzionavano sempre. Ma ora come ora aveva solo voglia di prendere a pugni qualcosa. Di distruggere.

"Ti prego, spirito Berserker, non prevaricare ora. Fallo mentre sconfiggiamo i cattivi." Pensò, mentre la sua mente veniva oscurata dal suo lato animale.

«Miss Howlett, io ti riporto alla base.» Prima che l'uomo potesse avvicinarsi a lei, gli artigli di Sybil si scontrarono contro il pettorale del costume di Mysterio. «Miss Howlett, è tutto okay?» In tutta risposta la ragazza ringhiò, alzandosi di scatto, pronta a colpire una seconda volta l'uomo. Fortunatamente lui fu abbastanza veloce da proteggersi, utilizzando la sua magia. «Non voglio lottare con te e non so cosa tu sia preso. Ma adesso calmati.» Si alzò, spostandosi di lato e schivando un altro colpo. «Mi stai davvero attaccando così, a testa bassa e senza strategia?»
«Sta. Zitto.» Le parole le uscirono dalla bocca con una tale rabbia che Quentin trasalì: cos'era successo alla ragazza calma di prima, che si era sentita in colpa per aver interrotto la quotidianità di un coetaneo? «Un giorno mi ringrazierai per questo.» Bisbigliò mentre, dopo esser stato colpito di striscio sulla guancia, allargò le braccia verso la ragazza, facendo uscire un gas verde. «Pensi che un po' di gas basti a fermarmi?» Domandò la ragazza, ma, dato che più respirava e più il gas faceva effetto, arrivò a fine frase con la voce flebile. «No, non penso: ne sono sicuro. E sconfiggerti è stato più facile del previsto.» Ammise l'uomo, per poi prendere al volo la ragazza, che stava svenendo, caricandosela sulla spalla a sacco di patate.

«Dopo dobbiamo parlare di quello che è successo.» Bisbigliò, sapendo che comunque la ragazza non poteva sentirlo, per poi andare verso la base.

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