Il giorno dopo quando tornai da scuola lui non c'era e non ci fu neanche il giorno dopo né quello dopo ancora.. non tornò più, non lo rividi più ne ebbi sue notizie. Mia madre pianse per settimane ma non mi seppe dare una spiegazione: io provai a cercarlo in tutti i modi, lo chiamai al cellulare, gli lasciai mille messaggi scritti e vocali, gli mandai email, prima preoccupate, poi di rabbia. Lo cercai a lavoro, chiesi a tutti suoi colleghi ma nessuno sapeva niente, erano tutti sconvolti quanto me dalla sua scomparsa. Poi dopo qualche mese smisi di cercarlo, mi arresi; mia mamma non fu più la stessa, e probabilmente nemmeno io.

A ogni partita non potevo fare a meno di guardare verso gli spalti immaginando di vederlo lì che mi sorrideva facendo il tifo per me, ma non accadde mai. Mi chiusi in me stesso, gli anni delle medie li passai isolato dal mondo, non parlavo praticamente con nessuno e a casa era lo stesso, mia madre era come un fantasma e lo diventai anch'io.

Poi al liceo ci fu una svolta, ero stanco di stare così, uscii dal mio guscio, alzai uno scudo, una facciata di sarcasmo, allegria e positività che mi contraddistinse: iniziai a fare amicizia con tutti e con nessuno, tutti mi parlavano e mi volevano alle loro feste, ero quello divertente e sempre allegro. Volevo solo divertirmi, godermi la vita e stare con le persone, lasciandomi alle spalle tutte le sofferenze, le domande senza risposta, i silenzi assordanti e le assenze incolmabili.

Così uscii quasi tutte le sere, mia madre iniziò a diventare oppressiva, forse anche lei stupita del mio cambiamento; era paranoica, mi riempiva di telefonate e messaggi quando uscivo, ma io la ignoravo, quando ero a casa mi rimproverava di ogni cosa, minacciandomi di non farmi uscire, ma io non la ascoltavo. Forse ce l'avevo anche con lei, come ce l'avevo con mio padre: sì lui mi aveva abbandonato, aveva abbandonato entrambi e capivo il suo dolore, ma non c'era stata quando avevo bisogno di lei, non mi aveva sostenuto, si era chiusa in se stessa lasciandomi fuori, come se non esistessi più. Questo non riuscivo a perdonarglielo, perciò avrei fatto anch'io come se lei non esistesse.

Quando compii 16 anni le cose cambiarono di nuovo: mia madre aveva iniziato a frequentarsi con un uomo, cercai di rimanere indifferente alla cosa, non sapevo neanch'io come prenderla, forse mi dava un po' fastidio, ma il vantaggio era che la rendeva meno opprimente, quasi indifferente nei miei confronti, come prima: in realtà non so se la cosa mi facesse stare meglio o peggio.

Poi un giorno mia madre mi disse che quell'uomo sarebbe venuto a vivere con noi e questo non riuscii proprio ad accettarlo.

"Mamma lo conosci solo da qualche mese, non puoi portarlo a vivere qui" protestai.

"Andrea non credi che sia giusto che anch'io mi dia un'altra possibilità? Non vorresti che io fossi felice?" chiese lei.

"Perché a te è mai importato qualcosa della mia felicità? Hai mai pensato per un secondo a come stessi io? Perchè mi pare che tu abbia sempre pensato solo a te stessa!" urlai io con rabbia.

Lei mi guardò ammutolita con aria ferita, ma in fondo ero sicuro sapesse che avevo ragione.

"Io ti ho cresciuto, ci sono sempre stata per te, conta così poco questo!" ribattè lei in lacrime. Mi dispiaceva vederla piangere, ma doveva capire che non era l'unica a soffrire, che non era l'unica che cercava un po' di felicità.

"Da quando papà se n'è andato è stato come se non ci fossi più neanche te! Io non esistevo più, hai iniziato a interessarti di nuovo a me solo quando ho iniziato a uscire di più, quando ho iniziato ad essere felice hai cercato di impedirmi di esserlo".

"Io cercavo solo di proteggerti! Mi spiace non esserci stata abbastanza per te, ho sofferto tanto quando tuo padre..." si interrupe, la voce tremante "in realtà le cose hanno iniziato ad andare male prima che se ne andasse".

"Me ne sono accorto! Credi che non le sentissi le vostre urla? E che questo non mi facesse stare male quando ero ancora un bambino!".

Era la prima volta che io e mia madre avevamo quel tipo di discorso, avevamo sempre represso la cosa, come se nulla fosse successo, evitandoci, ma ora ero esploso e stavo buttando fuori tutta la rabbia che mi ero tenuto dentro per anni.

"Tesoro mio... mi spiace tanto, so che anche tu soffrivi, mi spiace di non essere riuscita ad essere la madre che avrei voluto per te" si addolcii, avvicinandosi per darmi una carezza. Per un attimo mi calmai anch'io, ma poi mi allontanai.

"Anche se ti spiace questo non cambia che continui a mettere qualsiasi altro uomo prima di tuo figlio e questa ne è la dimostrazione" ribattei con freddezza.

"Non è affatto vero! Quell'uomo potrebbe anche essere un padre per te, quello che il tuo non è stato".

A quelle parole mi gelai, sentivo una grande rabbia montarmi dentro;
per quanto mi avesse profondamente ferito mio padre era sempre mio padre, e per quanto tentassi di reprimerlo mi mancava terribilmente.

Ma le parole che uscirono dalla mia bocca furono altre.

"Non ho bisogno di un padre!".

Poi esitai per qualche secondo, e aggiunsi: "E neanche di una madre, sto bene da solo, me la cavo tranquillamente così".

Le mie parole colpirono nel segno, lacrime scorrevano sul viso di mia madre, seguì del silenzio, dopodiché parlò.

"Bene, allora visto che ormai trascorri più tempo fuori che in casa non sarà un problema se Paolo verrà a vivere qui".

Quelle parole fecero aumentare ancora di più la mia rabbia, che si tramutò in furia; presi un vaso e lo lanciai a terra frantumandolo, mia madre trasalii, dopodiché la guardai con sguardo truce.

"Bene allora non ti stupire se un giorno me ne andrò senza salutare".

Dette quelle parole mi precipitai fuori casa, sbattendo con violenza la porta che tremò alle mie spalle.

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