Capitolo 17

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Quando uscimmo dall'aula trovammo Andrea seduto in un angolo, le ginocchio strette al petto e il viso scosso, fissava un punto nel vuoto. Luca si avvicinò sedendosi accanto e mettendogli una mano sulla spalla, io mi misi accanto a lui, Elisa all'altro lato accanto ad Andrea.

"Andrea cos'è successo?" chiese Luca.

"Era mia madre" rispose Andrea senza alzare lo sguardo.

"Che cosa voleva?" chiese di nuovo Luca.

"Non lo so... io l'ho vista e non ce l'ho fatta, sono scappato" spiegò con voce tremante.

"Andrea è normale, tu e tua madre non vi siete più visti né sentiti da quando..." si interruppe, sembrava sapere del passato di Andrea, come anche che l'amico non si sentisse pronto a parlarne. Andrea gli rivolse uno sguardo, poi guardò me e infine si soffermò su Elisa.

"Andrea" sussurrò lei guardandolo.

"Elisa... non voglio che tu mi veda così, io non voglio essere debole, voglio essere forte, per te, voglio farti sorridere, non renderti triste" disse abbassando lo sguardo.

"Ma Andrea non si può essere sempre forti, tutti abbiamo delle debolezze ed è normale essere tristi a volte; non voglio sempre essere io quella debole e da sostenere, è bello sapere che anche tu hai delle fragilità, altrimenti non saresti umano. Dammi la possibilità di mostrarti che anch'io sono abbastanza forte da sostenerti" disse Elisa prendendo la mano di Andrea. Lui la guardò per un lungo istante poi sorrise.

"Lo so che sei forte Eli, l'ho sempre saputo, solo che non te ne accorgevi". Andrea strinse la mano di Elisa, poi abbassò di nuovo lo sguardo.

"Andrea se te la senti di parlare noi siamo qui per te, ti ascolteremo e non sentirti a disagio o giudicato, sai quello che noi abbiamo passato, e sai che nessuno di noi è senza fragilità o sofferenze" dissi a un tratto rompendo il silenzio.

Andrea mi sorrise: "Hai ragione Dalila, sei una buona amica, voglio che anche te ed Elisa sappiate la mia storia, come la sa Luca" disse facendo un profondo respiro.


ANDREA'S POV

Mente raccontavo agli altri ciò che avevo vissuto un vortice di emozioni e ricordi mi travolse.

Non avevo mai conosciuto veramente mio padre, se ne andò via troppo in fretta; quando ero piccolo mi ricordo che lavorava fino a tardi, ma la sera e nei weekend trovava sempre dei momenti da passare con me e mia madre. Ricordo che a sei anni giocavo a calcio con lui, quando vedevo un pallone non riuscivo a fare a meno di calciarlo: diventò la mia passione e mio padre lo capì, così entrai in una squadra e iniziai ad allenarmi, diventando sempre più bravo.

Era una passione che condividevo con lui, ogni tanto giocavamo insieme nel campetto sotto casa, alcune volte con mia madre veniva a vedermi agli allenamenti e non si perdeva una partita. È stato il primo a credere in me, a incoraggiarmi a fare ciò che mi piaceva e in cui ero bravo, questo non lo dimenticherò mai. Ma poi quando avevo nove anni le cose cambiarono: mio padre cambiò, non fu più lo stesso; non so cosa gli successe, ma iniziò a trascorrere sempre meno tempo con me e con mia madre, faceva tanti straordinari a lavoro, nei weekend era sempre stanco e non voleva uscire dalla sua stanza. Non giocò più a calcio con me e iniziò a mancare a sempre più partite, finchè non lo vidi più tra gli spalti; continuava a litigare con mia madre, urlavano ogni volta che era a casa e io non ne potevo più.

Con me era diventato freddo, sembrava mi evitasse, e anche mia madre per quanto presente era come assente, mi parlava a malapena, piangeva quasi ogni sera.

Passò così un anno, avevo appena iniziato le scuole medie, non potrò mai dimenticare quella sera: per la prima volta dopo tanto tempo mio padre mi abbracciò, poi mi guardò negli occhi con aria triste e mi disse ti voglio bene; io non riuscii a rispondere, troppo sconvolto da quel gesto, sentivo gli occhi inumidirsi e la voce non usciva.

La selezione naturaleWhere stories live. Discover now