13. Ricominciare

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Tish's pov

Alvis mi passa una mano davanti gli occhi, riportandomi alla realtà. Ride, ma io non mostro alcun segno di ilarità. Non sono dell'umore, neanche per fingere un piccolo sorriso. Lui mi osserva, mentre mi scosta una ciocca di capelli dal viso. Lo avrei respinto malamente, se non fosse che non ho le forze per farlo. Sono sempre più stanca, più acida e più fredda del solito. Io ed Alberto non ci parliamo da un mese e mezzo, eppure il destino sembra volermi rinfacciare ogni minuto la grandissima cazzata che ho fatto.

Nonostante io abbia provato a stargli lontano, me lo trovo a pochi passi da me ovunque. In puntata, sento il suo sguardo bruciare su di me mentre mi esibisco. In sala relax, le sue iridi verdi mi squadrano da capo a piedi. La mattina al bar, mi scruta attentamente mentre faccio colazione. Anche a mensa, quando ceno o pranzo ed i suoi occhi sono costantemente puntati su di me e su Alvis, di conseguenza - dato che la maggior parte delle mie giornate girano intorno a lui.

Quando ho scelto di cambiare squadra pensavo che niente sarebbe stato più come prima, ma mi sbagliavo. L'unica cosa diversa in tutto ciò è la "questione duetto" che adesso sono con il ragazzo al mio fianco, che cerca di conversare con me da almeno mezz'ora.

«Tish, a cosa pensi?» mi chiede preoccupato.

«Alla nostra assegnazione, non mi entra in testa» mento. «La parte rappata è troppo veloce, non riesco a mantenere il ritmo» affermo, portandomi le mani alle tempie.

«Dovresti smetterla di pensare a lui» calca l'ultima parola. «Si è comportato da stronzo, senza tenere conto dei tuoi sentimenti»

«Non voglio parlarne. Possiamo, invece, tornare a focalizzarci su questo fottuto testo?» sbotto.

«Non so cosa ti prenda in questo periodo, ma sei davvero insopportabile» mi risponde. «E, comunque, la canzone non si chiama There Must Be An Angel, ma Where Is The Love» indica il foglio che ho tra le mani. «Vedi che hai la testa altrove? Non so nemmeno perché ho scelto di cantare con te, se questo è il risultato» si alza dalla sedia ed esce dal bar furioso.

«No, Alvis...» cerco di trattenerlo, ma non si volta nemmeno. «Fanculo» sussurro, gettando tutti gli spartiti a terra.

Sono in preda a una crisi di nervi, sento che potrei esplodere da un momento all'altro. Vorrei piangere, ma sollevo lo sguardo verso il soffitto e con una mano mi sventolo -sperando che questo stato di malinconia passi. Poco dopo, sento dei passi alle mie spalle ed una mano mi porge i brani che erano ancora sul pavimento. Mi giro lentamente e gli occhi del tenore, che ora è in ginocchio di fronte a me, mi scrutano con dolcezza. Trattengo il respiro, non appena le nostre mani si sfiorano, dopo quella lunga agonia portata avanti per quasi due mesi dalla sottoscritta.

«Tieni, penso che appartengano a te» mi sorride.

Non rispondo e gli strappo dalle dita le assegnazioni, per poi raccogliere le mie cose dal tavolino velocemente. La sua voce non deve essere una distrazione, non più ormai. Avevo deciso di eliminarlo dalla mia vita e, anche se mi manca averlo accanto, non posso tornare sui miei passi come se nulla fosse.

Non voglio risultare incoerente o peggio una bambina viziata, che getta via il suo giocattolo per poi piagnucolare se non lo ha vicino. Se è abituato alle ragazzine che gli corrono dietro dopo ogni litigata, con me ha frainteso. Non mi faccio mettere i piedi in testa, neanche da lui. Afferro la borsa dalla sedia e la indosso, facendomi strada ed urtando la sua spalla. Ma il mio intendo fallisce, quando il mio braccio viene intrappolato nella sua stretta.

«Buona lezione, stellina» arrossisco, ma mi libero dalla sua presa.

«Altrettanto» dico freddamente. «E ricorda, non devi più toccarmi» mormoro a un centimetro dal suo viso.

Black & WhiteWhere stories live. Discover now