Quattordicesimo capitolo.

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Quattordicesimo capitolo.

Sbatto ripetutamente le palpebre, fissando sotto shock il pezzo di carta che mi aleggia tra le mani. Cosa diamine significa? Omicidio? Colpevole? Dio. Sono sull’orlo di una crisi di nervi. Avevo capito che in lui ci fosse qualcosa di ambiguo, ma questo? La mia mente è in subbuglio. Non riesco a metabolizzare, sono un’ameba in attesa di risposte. Ripenso al primo giorno in cui l’ho incontrato. Come può una persona che vive per salvare vite, avere ucciso qualcuno? Scuoto la testa. Devo sedermi. Lascio scivolare il foglio sul pavimento. Panico, tristezza e incredulità hanno preso il controllo, lasciandomi senza alcuna via d’uscita. Dannazione. Mi guardo intorno, smarrita. Perché diavolo non mi sono fatta gli affari miei? Mi passo una mano sul viso, frustrata. Questo è davvero troppo. Il mio istinto mi dice di fuggire a gambe levate. Faccio ricorso alla mia dea interiore, ma non ottengo nessuna parola di conforto, solo un silenzio che dentro diventa devastante. Mi lascio alacremente abbandonare contro il bordo del letto. Respira ed inspira. Ripeto queste parole come un mantra, nella vana speranza di sgombrare la mente. Niente da fare. I pensieri si affollano, un peso schiacciante mi martella nella gabbia toracica. Devo andarmene di qui. Mi affido a quel poco di buon senso ancora rimasto e mi alzo, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. E’ ora. Annuisco con convinzione, cercando un appiglio a cui aggrapparmi. Mi passo rapidamente una mano fra i capelli, ricordando di dover far sparire la mia roba. Abbasso lo sguardo sulla canottiera che indosso, non è il massimo, ma non è il momento di giocare a “vestiamoci tutti insieme”. Mi lascio sfuggire un piccolo sospiro a labbra schiuse. Niente ripensamenti. Non posso restare in questa casa. Stando attenta a non far alcun rumore, mi avvicino allo scatolone ancora pieno di cianfrusaglie. Mi chiedo perché non le abbia riposte nello scaffale. Aggrotto la fronte a quel pensiero, corrucciando l’espressione. Pessimo tempismo, penso tra me e me. Raccolgo quel che resta della mia dignità ed esco dalla stanza, in punta di piedi.

Le scale sono la mia rovina. Ad ogni passo, segue un cigolio che varia a seconda dell’inclinazione del mio corpo. Certi sono a malapena percettibili, altri potrebbero avere la stessa portata di un montacarichi. Alzo mentalmente gli occhi al cielo, mentre mi stringo lo scatolone al petto. Non ho idea di dove andrò, ma sono piuttosto sicura che qualsiasi posto possa essere migliore di questo. Non voglio avere niente a che fare con una persona che, per sua stessa ammissione, ha la luna storta un giorno sì e l’altro pure. So che probabilmente dovrei chiedere, prima di fuggire, ma non sono nella posizione adatta per intrufolarmi ulteriormente in faccende che non mi riguardano. Camminare al buio si sta rivelando essere più difficile del previsto. Questa casa è una trappola mortale, con oggetti sparpagliati ovunque. Sono quasi arrivata alla porta, quando vengo distratta da un barlume di luce. Merda. Sollevo lo sguardo. Si è svegliato. Cazzo. Cazzo. Cazzo. Avvampo, guardandomi intorno con l’imminente voglia di sprofondare. E adesso? Pensa Josephine, pensa. Cerco di fare mente locale, ma mi rendo conto di stare sfidando la sorte.

Resto immobile, i piedi inchiodati al pavimento e il respiro corto. Chiudo gli occhi.

“Jos?” La sua voce rimbomba nitidamente tra le quattro mura del corridoio al piano di sopra. Sussulto, indietreggiando di qualche centimetro, strisciando i piedi contro la moquette fredda.

“Jos, dove sei?” Opto per il silenzio stampa. Forse se non rispondo, ho ancora qualche possibilità. “Ma andiamo, sei ridicola.” La mia vocina interiore ha ripreso vita e non ce n’è per nessuno. Ridicola? Potrebbe essere uno psicotico con seri problemi d’identità, ed io sarei ridicola? Scuoto amaramente il viso, rifiutandomi di concedergli il beneficio del dubbio. Il buio del salotto mi avvolge, offrendomi conforto e protezione istantanea. Dei passi chiari e distinti si fanno largo nel silenzio, imprigionandomi. Dannazione.

“Jos, sei qui?” Camice Blu scende le scale, i capelli arruffati e il passo pigro di chi si è appena svegliato. Accende la luce. Vengo invasa da un torpore estraneo, un torpore che mette i brividi.

Camice Blu sposta lo sguardo dalla stanza illuminata, alla mia esile figura. Aggrotta le sopracciglia, scrutandomi da capo a piedi. Non so che cosa dire. Mi sento come una bambina colta con le mani nella marmellata.

“Che cosa stai facendo?” Camice Blu si avvicina con cautela. D’istinto, indietreggio. Devo mantenere le distanze, se voglio restare lucida. Lo guardo con diffidenza, cercando di capire quale potrebbe essere la sua prossima mossa. Mi stringo nelle spalle in modo evasivo. Cosa posso dire? Ho scoperto chi sei veramente, stai lontano da me? Non credo che sia un biglietto da visita accomodante. Afferro il mio labbro inferiore tra i denti, screpolandolo leggermente.

“Hai intenzione di rispondermi?”

“Perché?” Azzardo, dimenticandomi del filtro bocca-cervello.

“Perché, cosa?”

“Perché sei stato condannato per omicidio?” Chiedo, tutto d’un fiato, come se mi stessi liberando di un peso troppo grande da sopportare. Camice Blu sbianca, lasciandosi alle spalle ogni riserva nei miei confronti.

“Come lo sai?” Tutto qui? Davvero?

“Ti è caduto un foglio dalla giacca.” Sentenzio.

“E ovviamente, non hai resistito.” Il suo tono di voce cambia, è distante, freddo, quasi alterato.

“Mi dispiace..” Alt. Perché mi sto scusando? Non sono io quella sotto accusa. Mi rimprovero mentalmente, digrignando i denti.

“Stai scappando?” Din din. Signore e signori, abbiamo un vincitore. Inarco involontariamente un sopracciglio, constatando che la perspicacia non è mai stata pane per i suoi denti. “Josephine..” Si avvicina ulteriormente, allungando un braccio. No. No. Non potrei sopportare il suo tocco, ora.

“Per favore, no.” Mormoro, distogliendo lo sguardo.

“Dammi la possibilità di spiegare..” Sussurra, bagnandosi le labbra con la punta della lingua. “Non è come pensi..” Aggiunge, passandosi una mano tra i capelli. Non è come penso? Mi prende in giro? Ma per chi mi ha preso? Ho letto quello che c’era scritto. Come può negare l’evidenza? 

Ad un passo da te. (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now