Tredicesimo capitolo.

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Tredicesimo capitolo.

“Piccola, parlami..”

“Aiutami a trovare la mia famiglia.” Sentenzio, tutto d’un fiato, come se mi stessi liberando di un peso troppo grande da sopportare. L’ho detto. Finalmente.

Camice Blu mi osserva, gli occhi ridotti a due piccole fessure e la barba incolta a incorniciargli il viso. Sbatto lentamente le palpebre, cercando di leggere nel suo sguardo una risposta. Niente. Più mi sforzo, più precipito a caduta libera nel vuoto. Comincio a pensare che sia stata una cattiva idea, per non dire pessima. Forse è troppo presto, forse ho preso quel tanto di confidenza che lui non è ancora disposto a concedermi. La mia dea interiore si è chiusa nei meandri del suo rifugio, ignorandomi completamente. Accidenti. Mi maledico mentalmente. Che stupida. Cosa pensavo di ottenere? Abbasso involontariamente lo sguardo, non riesco a reggere il confronto. Vorrei rimediare, ma non so come. In questo momento ho troppe domande a cui non saprei dare risposta. Lo guardo con la coda dell’occhio, consapevole di apparire come un fenomeno da baraccone a cui serve aiuto. Quel pensiero mi fa sospirare. Non arriverò da nessuna parte, se continuo così, penso, tra me e me. Camice Blu ancora non si muove, ed è impossibile riuscire a decifrare il suo stato d’animo. Arrabbiato? Preoccupato? Divertito? Non ne ho idea. E’ frustrante. All’improvviso due mani calde si appoggiano al di sotto delle mie gambe, sollevandomi. Tutto accade così in fretta, che non ho nemmeno il tempo di metabolizzare. Un secondo prima ero rannicchiata in un angolo del divano, mentre ora sono tra le sue braccia. Un altro cambio di direzione. La mia dea interiore mi mostra un sorriso a trentadue denti e io non posso fare altro che darle corda. Camice Blu tiene lo sguardo fisso davanti a sé, portandomi in quella che deduco essere la mia stanza. Dopo avere aperto la porta con un piede, mi adagia delicatamente sul letto. Sebbene le sue intenzioni non siano chiare, lo osservo. Fa scivolare la giacca in pelle nera dalle sue spalle, chinandosi poi per depositarla distrattamente sul bordo del materasso. Deglutisco silenziosamente. E ora? Inarco involontariamente un sopracciglio.

“Allora..” Si schiarisce titubante la voce, lasciandosi cadere a peso morto accanto a me. Oh.. Rimango a bocca aperta per un tempo che sembra infinito, mettendomi seduta. Questa conversazione sarà più difficile del previsto, penso. Arriccio la punta del naso, non sapendo da dove cominciare.

“Ti è mai capitato di non sapere a quale mondo appartieni?” Bisbiglio, incerta. Camice Blu aggrotta la fronte, soppesando la mia domanda.

“Penso che a tutti capiti, almeno una volta nella vita..” Mormora, ripiegando entrambe le braccia dietro la nuca. “Ma nel tuo caso, credo che sia diverso..” Sentenzia, infine. Annuisco; non potrei essere più d’accordo. Dio, vorrei sprofondare nell’oblio della beata ignoranza.

“Vorrei solo sapere chi sono davvero..” Ecco, l’ho detto.

“Chiunque al tuo posto lo vorrebbe..”

“Ma da sola non credo di farcela..” Scuoto lentamente il viso, mentre la dura verità mi colpisce in faccia, come uno schiaffo irrefrenabile. Non sono in grado di badare a me stessa. La ragazza indipendente è ben lontana dai miei standard. Maledizione.

“Io..” Camice Blu mi guarda, lasciandosi sfuggire un sospiro. “Non saprei nemmeno da dove iniziare..” Non posso coinvolgerlo. Non posso e non voglio trascinarlo nel buio che mi circonda. Alzo una mano, per interrompere il flusso delle sue parole.

“Lascia perdere.” Dico, il tono di voce più freddo di quanto io stessa potessi immaginare. Camice Blu si tira su, distendendo le gambe sul copriletto.

“Non fraintendermi, voglio aiutarti..” Si affretta ad aggiungere. Oh, ma andiamo. Chi me lo ha fatto fare? La mia dea interiore mi rimprovera, picchiettando freneticamente la pianta del piede contro la moquette. Davvero brillante, Josephine. Mi stringo nelle spalle, optando per il silenzio stampa. Questa conversazione sta diventando troppo impegnativa, per essere affrontata alle undici di sera. Disegno cerchi immaginari sulla federa del cuscino, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo.

“A proposito, come è andata oggi?” Cerco una via d’uscita e mi ci aggrappo come ad una scialuppa di salvataggio. Camice Blu schiude le labbra, visibilmente colto alla sprovvista dalla mia domanda repentina.

“Non c’è male.” Si stringe nelle spalle.

Più le ore passano, più il sonno mi attanaglia le viscere, lasciandomi senza scampo. Camice Blu si è lanciato in un racconto appassionato di come un’anziana signora ha fatto il diavolo a quattro durante il suo turno di lavoro. Mi fingo interessata, annuendo di tanto in tanto. La verità è che voglio andare a dormire, ma il Camice Blu spensierato mi ha conquistata sotto ogni punto di vista. Curvo le labbra in un sorriso, difronte a quella nuova prospettiva. Sì, credo proprio che potrei farci l’abitudine.

“Poi l’hanno dimessa e trasferita in psichiatria.” Termina, accompagnando quelle parole con una risata. Poverina, penso tra me e me. Mi lascio sfuggire uno sbadiglio involontario, mentre sollevo le braccia, distendendo i muscoli intorpiditi.

“Posso chiederti una cosa?” Azzardo.

“Sono tutto orecchie.”

“Chi è Amber?” Chiedo, consapevole di essermi appena giocata all’asta un milione di dollari. Malgrado non siano affari miei, la curiosità ha preso il sopravvento. E’ dal primo giorno in cui ho avuto l’onore di vederla varcare la soglia di casa sua, che non riesco a togliermi dalla testa il dubbio su chi lei possa o non possa essere.

“Sei gelosa?” Camice Blu mi punzecchia.

“Affatto.” Scuoto solennemente il viso, trasudando finta noncuranza da tutti i pori. Camice Blu aggrotta la fronte, pensieroso.

“Allora, perché ti interessa saperlo?” Bastardo. Non può rispondere e basta?

“Se non vuoi dirmelo, non sei obbligato.” Sollevo di buon grado le spalle, sporgendo il labbro inferiore in avanti. La dissimulazione è da secoli la tecnica migliore per estorcere informazioni.

“E’ una mia amica.” Camice Blu sorride, mentre fa attenzione a scandire ogni singola parola. Amica? Per chi mi ha preso? Per quello che ne so, gli amici non producono versi animaleschi tra le quattro mura di una camera da letto. Alzo mentalmente gli occhi al cielo, prendendo la saggia decisione di non contraddirlo.

E’ notte fonda e Camice Blu è andato a dormire. Ha lasciato la sua giacca qui, ma non penso che sia il caso di andare a disturbarlo. Gliela darò domattina. Mi alzo per poterla scostare dal fondo dei miei piedi, e nel mentre un pezzo di carta scivola dalla tasca. Sebbene il buio, mi abbasso per raccoglierlo dal pavimento. Lo apro, del tutto inconscia delle conseguenze.

“Mr. Malik è stato condannato colpevole, sotto le accuse di omicidio.”

Ad un passo da te. (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now