Undicesimo capitolo.

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Undicesimo capitolo.

Mi rigiro nel letto, sentendo un calore inopportuno invadermi tutto il corpo. Allungo un braccio, cercando conforto e sollievo tra le pieghe del cuscino. Niente da fare. Apro, mio malgrado, gli occhi. Che ore sono? La sveglia non è ancora suonata, quindi deve essere più presto del previsto. Mi lascio sfuggire un sonoro sbadiglio, mentre un mugolio dall’altra parte del letto, mi fa ricordare di non essere sola. Inarco un sopracciglio, sbattendo ripetutamente le palpebre. Perché fa così caldo? Mi guardo intorno, confusa. Mi giro verso Camice Blu e.. maledizione: è avvinghiato a me come una pianta rampicante. Alzo mentalmente gli occhi al cielo, mentre cerco di divincolarmi dalla sua presa, senza svegliarlo. La mia dea interiore scuote la testa, in totale disappunto con le mie mosse maldestre. Come di comune accordo, fallisco miseramente. Camice Blu emette un verso gutturale, sollevando una mano per stropicciarsi gli occhi ancora assonnati. E’.. adorabile. Aggrotto la fronte, sotto la forza di quel pensiero disarmante. Ma che cosa mi prende, oggi?

“Buongiorno, jos.” Mormora, la voce impastata. Devo mantenere la calma, decisamente. Sono sempre più convinta che debba perdere il vizio di dormire senza la t-shirt. E’ incredibilmente sexy, e diciamoci la verità, non è un ottimo biglietto da visita per chi ha tutte le intenzioni di essere tuo amico. Malgrado la mia mente indisciplinata, gli rivolgo un sorriso caloroso.

“Buongiorno.”

“Dormito bene?” Camice Blu si sradica dal mio corpo, stiracchiandosi. Cavolo, era ora, penso tra me e me, ringraziando la divina provvidenza. Annuisco, tirandomi su a sedere. La testiera del letto è piuttosto scomoda, per cui afferro un cuscino e lo posiziono dietro le mie esili spalle. Così va meglio. Zayn lancia una rapida occhiata alla radiosveglia, poggiata sul comodino. Sono le otto e.. un momento, perché non è andato a lavoro? Mentre vago alla ricerca di una risposta plausibile, giro il viso verso di lui. La carnagione bianca cadaverica, gli occhi sgranati e le labbra schiuse, fanno scattare un milione di campanelli d’allarme nella mia testa. E adesso, che cosa gli prende? Camice Blu scatta in piedi, cogliendomi del tutto impreparata.

“Merda, merda, merda.” Ad ogni imprecazione, sento il suo tono di voce aumentare. “Sono in ritardo.” Aggiunge, rispondendo ad una mia domanda inespressa. Come diavolo fa? “Perché cazzo la sveglia non ha suonato?” Sbraita, saltellando da una parte all’altra della stanza. Sono sul punto di scoppiare a ridere, ma sarebbe del tutto fuori luogo, senza contare il fatto che potrebbe davvero mollarmi uno schiaffo. Mi trattengo nei limiti dell’impossibile, mascherando l’ilarità dietro un’espressione sconsolata.

“Non è così grave, mag..” Le parole mi muoiono in gola, non appena mi sento rimpicciolire sotto l’imponenza del suo sguardo truce. “Come non detto..” Farfuglio, sporgendo il labbro inferiore in avanti.

Questa casa è decisamente troppo grande per una sola persona, osservo drasticamente. Dato che Camice Blu è andato in ospedale, ne approfitto per concedermi un giro turistico completo. Le stanze sono pressoché asettiche, ma accoglienti, il che è rassicurante. Scopro che in tutto ci sono tre camere da letto, la cucina, il salone, una sala giochi, due bagni e uno studio dimenticato da dio. Mi chiedo chi ci abbia lavorato. La scrivania in mogano è consumata dal tempo, mentre una miriade di fogli sono sparsi qua e là sui vari scaffali. Un senso d’innata curiosità spicca attraverso la polvere, convenendo con la mia vocina interiore.

“Dai, facciamolo” Batte le mani, esaltata dalla prospettiva.  Scuoto il viso, mentre la ragione prende il sopravvento. Devo imparare a farmi gli affaracci miei. Non voglio finire nei guai, soprattutto visto la sua scarsa gestazione della rabbia. Arriccio la punta del naso a quel pensiero infelice, optando per la buona fede. Esco dalla studio, passando per un corridoio tempestato di fotografie. Non le avevo notate prima. Chissà come mai. Rallento il passo, fermandomi ad osservare i volti ritratti. Riconosco la madre e la sorella di Camice Blu: stanno cucinando una torta, i grembiuli sporchi di farina e gli occhi vivaci.

Un mal di testa lancinante mi colpisce come un fulmine a ciel sereno. Le gambe tutto ad un tratto sembrano essersi trasformate in gelatina, ed io non posso fare altro che strisciare lungo la parete bianca. Mi prendo il viso tra le mani, mentre le orecchie ronzano e il cuore martella nel petto come se volesse ribellarsi.

Flashback:

“A che gusto la vuoi, la torta?” Una donna sorride gentilmente, appoggiando diversi ingredienti sul tavolo.

“Crema..” Risponde la bambina, troppo minuta per arrivare al bancone.

“Ti va di farla insieme a me?”

“Sì, mamma.” La voce della bambina adesso è un sussurro distante, freddo.. no, non te ne andare, non te ne andare..

 

Ripeto quelle quattro parole come un mantra, dondolando su me stessa. Un altro flashback, maledizione. Almeno questa volta non sono svenuta, constato con una punta di sollievo. Appoggio la nuca al muro, distendendo le gambe sulla moquette, chiudo gli occhi.

“Devi concentrarti sulla respirazione”, mi ammonisce la mia vocina interiore. Inspiro ed espiro lentamente, cercando di mantenere il controllo. Ce la posso fare.

“Sono tornato.” La voce di Camice Blu risuona forte e chiara, sovrastando il chiacchiericcio della televisione. Sento la porta chiudersi dietro ai suoi passi, mentre lascia cadere le chiavi dentro una vaschetta in ceramica, poggiata sul cassettone in ingresso. Mi sistemo una ciocca di capelli dietro l’orecchio, incrociando di buon grado le gambe sul divano. In televisione non c’è proprio niente, stasera. Sorrido, non appena l’odore della sua colonia mi distrae dalla mia benedetta routine. Volto il viso di qualche millimetro, osservando i suoi movimenti con la coda dell’occhio.

“Come è andata?” Camice Blu si abbandona al mio fianco, allargando le braccia. Ehi, c’ero prima io, borbotto tra me e me.

“Sono distrutto.” Si passa una mano sul viso, distendendo con le dita le rughette che gli increspano gli occhi. Prima che io possa replicare, sento ormai il familiare avviso del suo cercapersone. Che sia di nuovo Amber? Zayn aggrotta la fronte, palesemente sorpreso quanto me. Guarda il numero sul display, mentre un’emozione senza nome gli attraversa il volto. Rabbia? Rimorso? Odio? Non saprei dirlo con esattezza. Afferra il cellulare. E adesso chi chiama? Dio, è tutto così complicato. Strabordo finta nonchalance da tutti i pori.

“Vorrei parlare con il mio avvocato, se possibile.”

Avvocato? Sono una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere in qualsiasi momento.

Ad un passo da te. (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now