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Ho saltato un paio di sedute dalla dottoressa Martinez, stavo troppo male ma Gabrielle mi ha convinta a riprovare.

"Ascoltami, sei una ragazza forte e lo sai. Dai una possibilità alla psicologa, è importante che tu riprenda in mano la tua vita."
Dopo le sue parole sono tornata a casa e ho guardato la mia camera con occhi diversi. Ero soltanto una ragazza di venticinque anni, come potevo fare tutto da sola se non avevo nemmeno la forza di sistemare casa?

"Dottoressa mi dispiace di non essere più venuta e anche di essere scappata l'ultima volta."

"Si chiama paura di scoprirsi. È normale."

"Ho bisogno di parlare."
"Ti ascolto."
"Io non ci sono andata quel giorno con la mia famiglia, avevo litigato con mio padre perché uscivo con un ragazzo che non gli piaceva e non voleva che lo vedessi di nuovo. Stavano andando al parco divertimenti siccome David ci teneva tanto..." i segni ormai troppo familiari del dolore si iniziano a fare sentire. Mi viene un nodo alla gola che potrebbe soffocarmi.

"Fai un respiro profondo Tanisha. Prendi l'aria, trattieni per cinque secondi e butta fuori."

Lo faccio e un po' funziona, così riprendo a parlare.

"Al ritorno un camion ha sbandato ed ha invaso la corsia opposta... papà è morto sul colpo..." non ci riesco, dirlo rende tutto più reale. Le lacrime diventano inarrestabili e il respiro si accorcia.

"Respira... e inspira. Ecco, così, brava."

Questa tecnica funziona. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque.

"Mamma no, è deceduta in ospedale poche ore dopo..."

"Mi dispiace molto per la tua perdita Tanisha." la dottoressa mi prende la mano e aspetta che mi calmo prima di continuare.

"Te la senti di continuare la seduta o preferisci che ci fermiamo qui?"
"Vorrei andare a casa..."

Quasi scappo da quella stanza per andare a chiudermi dove nessuno mi avrebbe parlato.

Decido che forse è ora di cercare il cellulare.

Sposto i mucchi di roba sparsi per guardarci sotto, passo dalla cucina, alla sala, al bagno finchè non lo trovo, sotto agli asciugamani ai piedi dalla doccia.

È tutto ammaccato ai lati, la pellicola di vetro è distrutta e la tolgo, non ricordo perché è così malmesso. Provo ad accenderlo ma non da segni di vita, provo a metterlo in carica e dopo un po' si accende.

Inizia a vibrare di continuo perché mi arrivano i messaggi, gli avvisi di chiamata e le notifiche di tutto il tempo in cui è stato spento. Decido di cancellare ogni cosa e lo lascio lì sul pavimento attaccato alla presa.

Tolgo le scarpe e i vestiti e, come al solito, lascio tutto dove capita.

Cammino verso il bagno quando un pezzo di vetro sul pavimento mi taglia la pianta del piede, 'fanculo fa un male cane.

Come ci è arrivato quel vetro sul pavimento? Mi guardo intorno e vedo che ce ne sono molti altri davanti alla porta e tutto mi torno in mente.

Quella sera ero arrabbiata con il mondo, ero arrabbiata con Dio, con me stessa, con i miei genitori per avermi lasciata in questa situazione che non riesco ad affrontare, non riesco ad accettare e che non mi permette più di vivere.

Ricordo di aver preso il vaso dei fiori che si trovava sul tavolo del soggiorno e di averlo buttato per terra con tutta la forza che avevo, gridavo così forte che a ripensarci ora mi stupisce il fatto che i vicini non abbiano chiamato ii carabinieri.

Mi chiedo quanti vetri ci siano sotto a tutte queste cose sparse, non si vede quasi più il parquet.

Anche per oggi la doccia può aspettare.
Mi do una rapida pulita nel lavandino, metto un cerotto sotto al piede e vado in cucina.
Metto a scaldare un po' di latte e cerco una tazza per riempirla di cereali.
Il mio sguardo cade sull'ammasso di stoviglie sporche sul bancone e devo ammettere che mi passa la fame.
Spengo il latte, ceno e vado a dormire.

Prendimi per mano Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora