1

59 6 1
                                    






Ricordo la prima volta che sono entrata in un ospedale. Avevo sei anni ed ero terrorizzata dall'idea di fare i prelievi del sangue, la mia era una fobia per gli aghi e l'unica cosa che mi faceva sentire meglio era pensare al gelato al cioccolato che mi avrebbe preso dopo mia madre. Come promesso, me lo prese ed io dovetti ammettere che non era andata poi così male, che l'infermiera era stata brava e che era passato tutto in fretta.
Oggi, invece, sembra che il tempo di fretta non ne abbia nemmeno un po'. Sono in questa fredda sala d'aspetto da circa un quarto d'ora, come ogni giorno negli ultimi quattro mesi. È diventato un appuntamento fisso, ogni giorno stessa storia: il lungo corridoio affollato di gente che va a trovare i parenti negli altri reparti, io seduta su queste sedie rosse e gli infiniti dépliant sulla salute che credo di aver imparato a memoria. 'Al giorno d'oggi si utilizzano sempre di più ascensori e scale mobili ma salire e scendere le scale è un aiuto per la salute. Oltre a bruciare i grassi, annientare lo stress e aumentare la qualità del sonno, è un ottimo esercizio per rinforzare le pareti del cuore...', 'mangiare sano aiuta a guadagnare salute!'
'Aiutaci a migliorare il nostro servizio compilando la scheda di valutazione.'
Io di valutazioni ne ho compilate cinque: le prime due erano dettate dalla rabbia e sinceramente me ne pento un po', nessuno qui si meritava quel che ho scritto, era più uno sfogo che un giudizio sul personale. Piano piano ho imparato a conoscere il personale e tutti meritano una scheda col massimo dei voti.
Le altre tre che ho compilato le ho firmate, sono provviste di nomi e cognomi del personale come ringraziamento per tutto ciò che fanno sia per i pazienti che per i parenti.

"Tanisha puoi entrare." mi informa Tania, un'infermiera.

"Grazie, ci sono novità?" le domando.

"Aspetta che il dottor Scott finisca il giro di visite e verrà in camera a parlare con te. Però nel complesso no, nessun cambiamento."

"Okay, allora aspetterò in camera."

Entro nella stanza e appoggio il piumino sulla scrivania, mi avvicino al letto e mi siedo su una sedia.

"Ciao piccolo David, mi sei mancato oggi." gli dico dandogli un bacino sula fronte.

David Wilson è il mio fratellino, compie dieci anni fra un mese esatto: il dieci di aprile. I miei genitori lo hanno avuto quando io avevo già quindici anni, non era in programma un fratellino e nemmeno mi andava molto a genio l'idea di condividere mamma e papà con qualcun altro, ero sempre stata abituata ad esserci solo io per loro, avevo tutte le attenzioni per me essendo figlia unica. Quando è nato, però, me ne sono innamorata follemente, pesava tre chili e quattrocento grammi ed era così piccolo e indifeso proprio come ora, in questo anonimo letto d'ospedale.

"Permesso?"

"Dottore entri pure."

"Ciao Tanisha, sono venuto a parlare un po' con te."

Il dottor Scott è davvero una brava persona, si preoccupa dei pazienti e anche dei famigliari, dice sempre che l'amore è una delle migliori medicine. È stato lui a spronarmi a venire qui ogni giorno, a parlare con mio fratello, a passare del tempo con lui. All'inizio è stato strano, venivo, stavo un po' qui, giravo per la camera e tornavo a casa persa nella mia disperazione. Poi piano piano ho iniziato a dare un senso a ciò che stavo facendo, passavo più tempo con David, gli parlavo convinta che potesse sentirmi, stavo con lui. Ora sto sempre qui, aspetto soltanto che lui si svegli, resisto per lui perché so che ce la farà.

"Abbiamo fatto dei controlli a David ed è stabile, non è cambiato niente rispetto all'ultima visita ma sono sicuro che la tua presenza lo sta aiutando."

"Lei crede che uscirà dal coma?"

"Questo non posso dirlo Tanisha. È al di fuori dal nostro controllo, posso dirti che gli esami non evidenziano danni seri al sistema cerebrale ma c'è da considerare che tuo fratello è in una fascia d'età più soggetta a rischi."

Non è la risposta che mi aspettavo, ma è quella che ricevo ogni settimana durante la visita del dottore. Tania mi ha detto che è normale che io chieda sempre le stesse cose, dice che è un processo per metabolizzare il trauma.

"Tanisha tu stai facendo un ottimo lavoro con lui, la presenza è una cosa fondamentale. Posso soltanto immaginare quanto dev'essere difficile tutto questo ma ti ricordo che per qualsiasi cosa tutta l'equipe è qui per darti una mano."

"La ringrazio tanto, di tutto." rispondo al dottor Scott.

Guardo l'orologio appeso al muro, segna mezzogiorno e un quarto.

"Allora David è buono il tuo pranzo? Io oggi mi sono portata un panino al prosciutto cotto che ho preso nelle macchinette ma non è speciale, sa un po' di plastica."

In tutta risposta la pompa della NA, ovvero la nutrizione artificiale, emette i suoi soliti suoni.

"Quando ti svegli poi ti interrogo eh, io sto facendo passi da gigante con i termini medici, mamma sarebbe orgogliosa di me, tu che dici?"

Mamma era un'infermiera di un ospedale privato, lavorava in pediatria e adorava i bambini, forse me lo sarei sempre dovuta aspettare un fratellino. Mi ricordo che un giorno lei e papà me lo avevano anche chiesto se mi sarebbe piaciuto, io avevo detto loro di no.

"Stavo pensando che prima che tu nascessi, io avevo detto a papà e mamma che preferivo rimanere figlia unica, mi sbagliavo sai? Sei stato il regalo più bello della mia vita."

Prima di andarmene passo dalla guardiola a salutare gli infermieri, come faccio sempre.

"Ciao ragazzi, buon lavoro!"

"Ciao bella, ci vediamo dopo." rispondono loro.

La settimana scorsa ho sentito che stavano parlando della mia situazione: sono tutti preoccupati che io mi lasci andare. Che lo stress psicologico sia così forte da schiacciarmi, infatti credo sia per questo che mi hanno sguinzagliato dietro la psicologa.
Quella donna mi studia da lontano come se fossi un animale feroce, come se non me ne accorgessi.
Li apprezzo moltissimo per quello che fanno ma a volte avrei soltanto bisogno di pace, di non parlare con nessuno e lasciar scorrere il tempo velocemente.

Prendimi per mano Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora