six

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Quella mattina Jimin si destò dal sonno più rintontito del solito.
La sua testa era ovattata, e non appena fece per alzarsi dal letto ebbe un improvviso capogiro.
Con tanta fatica, riuscì a poggiare i piedi sul pavimento gelido, rabbrividendo al contatto, per poi sollevare le natiche dal materasso e incamminarsi fuori dalla stanza.

Era una domenica autunnale, e Jimin aveva intenzione di passarla chiuso in casa a finire di studiare o a giocare ai videogiochi.
Da come aveva capito, sua madre non ci sarebbe stata per tutto il giorno, dato che era andata a trovare sua sorella nella città vicina.

Mentre inzuppava un biscotto nel caffè, il suo cellulare prese a vibrare sull'altro lato del tavolo.
Incuriosito, si sporse per leggere da chi proveniva la chiamata. Si sarebbe aspettato chiunque, ma non proprio quella persona.
Non aveva proprio voglia di iniziare una conversazione con lui, ma non poteva lasciarlo dall'altro capo del telefono ad aspettare come un'ebete.
Forse, nel profondo, gli voleva ancora bene, e semplicemente desiderava avere sue notizie.
Magari non era un pezzo di merda come aveva sempre pensato.


"Ciao papà." rispose cliccando sulla cornetta verde.

"Jimin. Come va?"

Jimin alzò gli occhi al cielo. Anche solo udire la voce dell'uomo che aveva fatto soffrire e rovinato la sua famiglia lo rendeva estremamente nervoso.

"Bah, non c'è male."

"Senti, volevo solo sapere se magari una di queste sere di va di venire a casa mia e di Woomin a cena."

Suo padre lo aveva distrutto, dal momento in cui aveva abbandonato il loro modesto appartamento si era promesso di non avere più contatti con lui se non in casi estremi.

"Non so papà, sono piuttosto impegnato in questi giorni. Ah comunque dovevo chiederti una cosa."

"Dimmi figliolo." Potè udire suo padre fremere.

Si sentiva un po' in colpa per il suo essere così freddo e distaccato nei suoi confronti, ma il cuore e lo stomaco gli dolevano ogni volta che provava anche solo ad avere una conversazione sensata con l'essere che aveva contribuito a donargli la vita.

"No, ti volevo chiedere quando passi a prendere gli ultimi scatoloni. Ingombrano."

Immaginò il viso di suo padre coperto da un'espressione triste e delusa.

"Magari in questi giorni. La mamma è in casa?"

"No, è andata a trovare la zia. Vabbè, allora ci si sente."

Jimin aveva il desiderio di concludere al più presto quell'insulsa conversazione.

"D'accordo. Allora fammi sapere."

Terminò la chiamata, posando il telefono sul petto e chiudendo gli occhi.
Era arrabbiato con suo padre, ma allo stesso tempo gli mancava la vita serena che aveva prima di tutto ciò che era successo.
I suoi genitori erano sempre stati una coppia molto unita, fin quando i litigi e le urla avevano sostituito le risate che echeggiavano in casa loro.
Probabilmente sarebbe dovuto succedere fin dall'inizio, non erano destinati a stare insieme.

Jimin bevve fino all'ultimo sorso del liquido che si trovava nella tazza davanti a lui, poi si accasciò sulla sedia e ragionò sul come organizzare la sua giornata.

No, non si era dimenticato della festa del giorno prima, ma i suoi pensieri erano stati sovrastati dalla chiamata del padre.
Yoongi era stato, come al solito, il suo primo pensiero non appena aperti gli occhi.
Qualche ora prima, mentre guardavano il cielo stellato, il suo hyung aveva intrecciato i loro mignoli.
Non aveva la più pallida idea di cosa potesse significare quel gesto.

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