Stop [Ben Drowned]

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Basta.
Sono stufo.
Sono stufo delle urla, dei pianti. Sono stufo di tutte quelle volte in cui mi hai scosso e buttato in un angolo come un giocattolo, di tutti i lividi, i tagli e gli occhi neri.
Sono stufo di tutte quelle volte in cui ti ho chiesto scusa, e tu mi hai risposto che era tardi.
Delle notti passate nascosto in camera, seduto sul letto, a dondolarmi avanti e indietro come un perseguitato, sperando che tu non venissi a cercarmi.
Sono stufo di tutte quelle volte in cui non ho parlato, e in cui non sono riuscito a dire a nessuno che mostro sei. Di tutte le volte in cui, per colpa tua, mi sono sentito così diverso, così solo.
Di tutte le volte in cui sono stato un semplice niente, che non viene considerato, che gli altri non notano mai e spintonano come una bambola di pezza.
Nessuno sa delle grida, delle urla, degli schiaffi e dei pugni. Eppure a volte ho voglia di gridare, in mezzo alla folla, voglio farmi sentire, fare sapere al mondo chi sono io, e chi sei tu.
E sono stufo delle tue risate. Ti sembra tanto divertente trattare tuo figlio in questo modo? È bello vedere quanto io possa sanguinare, quanto i miei lividi possano essere grandi? È bello dirmi che non sono altro che un errore, un figlio che non avresti mai voluto avere?
Di tutte le volte in cui l'unica persona che dovrebbe sostenerti sempre ti butta giù, ti fa sentire più un verme di quanto tu non lo sia già.
Sai di che cosa altro sono stufo?
Di questa vita di merda a cui tu mi hai costretto. In cui non posso avere amici perché non riesco ad esprimermi, in cui fuori casa non sono nulla e dentro  un giocattolo da rompere.
Sono in piscina, papà.
In piscina a giocare.

Ben si prese il suo tempo. Lo pianificava da molto, ma solo in quel momento aveva deciso.
Finì di scrivere il biglietto, e si alzò dalla scrivania. Camminò con il passo leggero di un ladro per la casa buia, fino ad arrivare in cucina. Accese le luci, e appese il biglietto al frigorifero con una calamita.
Il momento era arrivato, ma non c'era fretta. Iniziò a camminare per la casa come un fantasma, accendendo le luci ed osservando con sguardo vacuo i ricordi di tutta la sua vita. Le foto di quando era piccolo, tutti i libri che sua madre leggeva, anche le foto di quello che non poteva considerare come il suo genitore. Quanto era falso il suo sorriso, di fronte alla fotocamera?
Il sorriso di un mostro che si finge uomo, di un pazzo che si finge padre.
Passò la mano sulle copertine di ogni libro, e rivisse tutta la sua vita in quella notte, assaporando ogni ricordo bello della sua vita, ma che ormai era solo passato.
Davvero non c'era nulla per continuare a vivere?
Ben cercò di passare in rassegna i motivi per cui avrebbe dovuto restare attaccato alla propria esistenza.
La prima cosa a cui pensò, sarcasticamente, fu che doveva ancora finire di giocare a The Legend of Zelda: Majora's Mask.
A quel punto un sorriso amaro gli si dipinse sul viso, ed egli iniziò a dirigersi verso la porta sul retro di casa sua, che dava sul giardino, e sulla piscina. Era quasi l'alba.
Il blu profondo della notte stava cedendo spazio alla flebile luce del sole, che iniziava a salire dalle colline che riusciva a scorgere all'orizzonte. Ben andò verso la piscina, e rimase per qualche momento a fissare le increspature dell'acqua, con il battito del cuore stranamente tranquillo. Ben si sedette sul bordo, bagnandosi le gambe, e guardò per un'ultima volta l'alba, e il mondo.
Poi, alla fine, decise che il momento era arrivato.
Prese un respiro, il suo ultimo respiro e si buttò in acqua, donandole le bolle argentate che uscivano bdal naso a dalla bocca, e che, proprio come la vita, lo stavano abbandonando.

Angolo autrice: Sì, questa l'avevo già scritta in un'altra raccolta, ma vorrei metterla anche qui, come storia a parte, così che possa leggerla anche chi non legge quella raccolta.

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