Capitolo Ventisette.

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Più avanti, nel Medioevo, la storia d'amore tra Leonidas di Argos e Aida da Sparta andò molto di moda.
Si parlava di un principe, una futura regina e un dragone sputa fuoco: tutte cose per cui i menestrelli e i cantastorie andavano pazzi.

Aida non credette ai suoi occhi vedendo l'enorme drago interamente fatto di bronzo davanti a lei.
La bestia sembrava dormire, ma la ragazza intuì che fosse spenta, dato che era evidente che fosse una macchina.
-Cosa ne pensi?- chiese un po' titubante il principe.
-È...- disse la ragazza muovendo qualche passo verso la bestia, gli occhi rivolti in alto, verso le enormi ali dell'animale. -Magnifico...-
Mentre diceva ciò, inciampò in un attrezzo, il quale emise un suono metallico che rimbombò per tutta l'immensa stanza che, Aida lo notava solo ora, sembrava una riproduzione in miniatura delle fucine di Efesto in persona.
-Oh no.- disse Leo.
Aida fece per chiedere perché avesse detto così, ma la risposta le arrivò in fretta.
Il drago -che non era spento, ora Aida ne era certa- voltò la testa verso di lei, accendendo gli occhi di rosso.
Aida fece in tempo a chiudere gli occhi, prima che la bestia spalancasse le fauci, sputando lingue di fuoco bollenti.
Ma Aida non sentì alcun dolore, cosa che la indusse ad aprire gli occhi, trovandosi davanti le spalle di Leonidas.
Il ragazzo si era piazzato in mezzo, le braccia spalancate, e stava guardando parecchio male il drago.
-Ehi bello, non si fa!- esclamò.
Aida pensò che il drago avrebbe attaccato Leo, invece quello piegò la testa emettendo cigolii, come un cane che uggiola quando viene sgridato.
Leonidas incrociò le braccia.
-Ti sembra questo il modo di accogliere la mia futura regina?-
Futura regina.
Aida sentì chiaramente il suo stomaco fare le capriole.
Il drago cigolò di nuovo.
-Oh, non trovare scuse eh!- Leo interruppe i ticchettii del drago, che a quanto pare dovevano essere una sorta di linguaggio meccanico.
-Avanti chiedi scusa ad Aida.-
-Non ce né bisogno.- sussurrò la ragazza, facendosi piccola piccola dietro la schiena di Leo.
Era davvero intimorita da quel bestione di bronzo.
-Certo che ce né.- ribatté il ragazzo, prendendo Aida per un braccio e tirandola davanti a sé.
La ragazza guardò gli occhi di rubino del drago avvicinarsi a lei.
Quando il testone di latta fu a mezzo metro da lei, la schiava chiuse gli occhi, tremando dalla paura.
Sentiva la presenza di Leonidas alle sue spalle, anche se non la rassicurava molto.
Serrò gli occhi, aspettando il momento in cui sarebbe diventata "romana bollita".
Invece qualcosa di caldo e rigido si posò delicatamente contro il suo petto.
Aida aprì un occhio, vedendo la testa del drago contro il proprio corpo, gli occhi rossi della bestia chiusi, come se stesse facendo le fusa.
-Bello...- disse lei piano, accarezzando con mano incerta la nuca metallica dell'animale, che cominciò a emettere un ronzio sordo che assomigliava sempre di più alle fusa di un gatto.
-Certo che sei una forza.- continuò Aida, cominciando a prendere confidenza con la bestia.
-Leo, come hai detto che...- Aida si voltò verso il ragazzo e lo vide guardarli con gli occhi lucidi.
-Stai piangendo?- chiese la ragazza, corrugando la fronte.
-Cosa? No, assolutamente no.- rispose lui, asciugandosi subito gli occhi con il polso. -Ho solo un po' di cenere negli occhi.-
Aida sorrise, mentre il drago chiedeva altre coccole.
-Abbiamo appena scatenato una guerra e tu ti commuovi?- chiese lei, ridendo.
Lui posò una mano sul muso del drago, accarezzandone il metallo caldo.
-Il mio drago e la mia ragazza...- mormorò.
Lo stomaco di Aida fece un'altra capriola alla parla "ragazza".
-Penso che dovrai farci l'abitudine in fretta, dovremo usare questo ragazzone molto prima di quanto vorrei. Senza offesa bello.-
Il drago cigolò e Aida decise che era un modo per dirle che non se l'era presa, anche se lei non conosceva la lingua delle macchine.
Leo sospirò, staccando la mano dal muso del drago.
-Bene Festus, ti portiamo a fare una passeggiata.-
Il drago alla parola "passeggiata" sollevò il muso dal petto di Aida, come un cane che drizza le orecchie quando sente parlare di cibo.
La ragazza rise.
Certo che per essere un automa era davvero buffo.
Nel frattempo il figlio di Efesto stava trafficando con qualcosa sopra un tavolo, dando le spalle al resto della stanza.
Aida gli si fece vicina.
-Cos'è?-
-Un generatore.- disse lui. -Vedi quel portone là in fondo? Da lì dobbiamo far uscire Festus, ma si è bloccato.-
Aida guardò verso l'estremità opposta della stanza, dove un'enorme porta a doppio battente in metallo prendeva l'intera parete.
-Fai provare me.-
Aida attraversò la stanza e si posizionò davanti alle leve che evidentemente aprivano le porte.
Avvolse le mani intorno a due leve differenti e chiuse gli occhi.
Un tuono risuonò nella stanza e una coltre di nubi grigie si formò appena sotto il soffitto.
Festus emise quello che doveva essere un ringhio minaccioso verso la nuvola, ma Aida non si fermò.
-Avanti.- mormorò stringendo i denti.
Un fulmine scaturì dalla nube, colpendo in pieno la ragazza.
-No!- Leonidas cercò di raggiungere Aida, ma inciampò in una delle zampe del drago e cadde.
Quando rialzò la testa, gli ingranaggi della porta stavano ruotando e Aida si stava togliendo la fuliggine dalle mani.
-Come...-
La ragazza gli porse una mano, di nuovo pulita, e lo rimise in piedi.
-Non te l'ho mai detto? Mio padre è Giove.-
Leo sgranò gli occhi.
-Veramente?-
-Se no come credi possibile quello?- disse lei con un sorriso, indicando i due battenti di metallo che cominciavano a schiudersi, lasciando entrare la luce del giorno nell'officina sotterranea.
Quando il sole colpì il muso di Festus, quello ruggì di quella che Aida sperava fosse gioia.
-Bene.- disse Leo guardando verso il drago, emozionato di sgranchirsi le ali. -Non è esattamente il primo appuntamento che immaginavo, ma abbiamo una guerra da vincere.-
Come lo disse, la terra tremò e un forte boato ruppe il silenzio.
Aida guardò verso il cielo al di fuori della stanza, leggermente velato da fumo spesso e grigio.
-E anche in fretta.-

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