Capitolo Ventuno

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-Hai abbastanza acqua?-
-Sì.-
-E cibo?-
-Ho cibo per un'intera legione, tranquillo.-
-E un mantello?-
Aida prese il ragazzo per le spalle e lo guardò negli occhi.
-Nico ho tutto, andrà bene.-
Lui piegò la testa, giocando con uno dei bracciali della ragazza.
-Sicura che non vuoi che ti accompagni?-
-Devo farlo io, senza nessuno. Ti prometto che quando sarò arrivata ti manderò un messaggio Iride.-
Lo stalliere arrossì leggermente, allontanandosi della ragazza e preparando il cavallo, Tempesta, per il viaggio.
-Non ti disturbare...- borbottò Nico, mentre Aida sorrideva e controllava la chiusura della sacca che avrebbe portato con sé.
La strada era lunga ma non c'erano ostacoli e andando alla velocità giusta sarebbe stata là per mezzogiorno.
Il sole stava sorgendo alle sue spalle quando Nico la aiutò a salire sulla groppa del cavallo, già pronto fuori dalle stalle.
-Stai attenta Aida.- disse Nico, tenendole la mano più del dovuto e guardandola negli occhi.
-Andrà tutto bene.- promise la ragazza, ricambiando la stretta.
Le loro mani si separarono e Aida prese le redini del cavallo.
-Buona fortuna.- la salutò lo stalliere, mentre il destriero e la schiava si allontanavano. -E che gli dei ti proteggano...-

Dal tetto del palazzo, in quello stesso istante, Leonidas guardava lo stallone bianco sparire oltre le colline, portando con sé la chioma di Aida, che sembrava dipinta di oro puro alla luce dell'alba.
Leo sospirò, guardando l'ombra del cavallo sparire definitivamente alla sua vista.
-Aida...- sussurrò il principe, che dopo il giorno prima aveva deciso di non presentarsi alla partenza della ragazza.
Pensava, dolorosamente, che a lei non sarebbe di certo dispiaciuto.
Leo chiuse gli occhi e immaginò di essere ancora nella sua stanza con Aida, le risate che eccheggiavano ancora nelle loro orecchie e i loro visi così vicini che era stato un colpo basso separarli così bruscamente.
Leo avrebbe voluto urlare, bruciare qualcosa e disperderne le ceneri.
Così sentiva il cuore, come se quella schiava romana l'avesse bruciato col fuoco della passione fino a consumarlo, lasciando poi le ceneri in balia di un vento che non aveva pietà per nessuno.

Il sole era quasi a mezzogiorno, o almeno lo sarebbe stato se il cielo non fosse stato coperto da nuvole nere come la pece.
Il vento ululava sulle colline intorno ad Atene e la pioggia colpiva i cittadini ateniesi, senza risparmiare nessuno.
Un solitario stallone bianco latte camminava stanco a un centinaio di metri dalla grande città, diretto verso il regno adiacente, con sulla groppa una figura magra e curva.
La ragazza che stava sopra il cavallo aveva le spalle ricurve in avanti e il viso tra le mani.
Piangeva lacrime che scivolavano sul suo viso insieme alle gocce di pioggia, cadendo al suolo in una pozza lievemente salata.
La schiena vibrava ad ogni singhiozzo ed ogni tuono sembrava arrivare appositamente per coprire uno dei suoi urli talmente strazianti da essere insentibile.
Un contadino solitario la vide passare, avvolta in una coltre di nebbia, e scappò impaurito, credendo di aver appena visto passare la dea della disperazione, diretta in qualche sfortunato regno.
Ma, per quanto l'avessero descritta bellissima e troppo per quel mondo, Aida non era una dea.
Il regno della principessa a cui apparteneva suo fratello Jason era a poco da dove si trovava lei, eppure Aida non riusciva a smettere di piangere.
Mentre cavalcava per quelle terre aveva incontrato tanti spiriti della natura, aveva visto tante persone felici e famiglie unite.
Ma lei cos'era?
Una schiava separata dal fratello e con sentimenti confusi.
Ma era passata oltre.
Le era stato insegnato a non crollare.
Aveva visto atti di vendetta nascosta e amanti segreti.
Perché non poteva essere come quei ragazzi, che vivevano di amore per tutta l'adolescenza?
No, lei era una schiava, le schiave raramente provano amore.
Era passata oltre, le avevano insegnato a non guardarsi indietro.
Poi aveva visto due ragazzi combattere ai confini di Atene.
E lì i pensieri erano nati senza che lei potesse accorgersene in tempo.
Aveva rischiato di uccidere il principe usando le tecniche che aveva giurato di dimenticare, di seppellire in un angolo di se stessa e non adoperare mai più.
Come poteva Leonidas fidarsi ancora di lei dopo che lei lo aveva messo in pericolo?
Ma sopratutto, perché le interessava così tanto di cosa pensava di lei il soldato?
E poi aveva capito.
Che le piacesse o meno, Leo era stata la persona che più si era preoccupata per lei, nessuno prima di quel ragazzo aveva mai messo le sue esigenze in primo piano.
Aida si sentiva sola, estremamente sola.
Avrebbe voluto che Leonidas fosse lì ad abbracciarla.
Ma come aveva pensato ciò si era reso conto che era una pazzia, che si stava facendo più male da sola che altro.
Aida non era crollata per quelli che ormai erano quindici anni.
Nulla era eterno.
Nessun mortale poteva sopportare tanto dolore senza mai fare una piega, eppure lei ci era riuscita.
Fino a quel momento.
Cosa avrebbe detto di lei il suo insegnante? Non le importava.
Era stanca di essere forte.
Voleva qualcuno che le dicesse di smetterla di impugnare le armi, che d'ora in poi l'avrebbe protetta lui.
E mentre entrava nei confini del regno a cui ormai apparteneva il suo gemello, Aida si rese conto della verità.
Lei voleva solo essere amata.
Il cavallo nitrì e un tuono scosse l'aria spazzata da un forte vento.
Aida si asciugò gli occhi e raddrizzò la schiena.
Doveva vedere suo fratello.
Non aveva fatto tutta quella strada solo per crollare davanti a Jason, no?
Lei era una guerriera, non una principessa.
Non poteva permettersi di crollare.
Non di nuovo.
-Sarà il nostro segreto, bello.- disse accarezzando il collo dello stallone.
Poi alzò lo sguardo verso il cielo temporalesco.
-Un segreto...-

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