4-Programma protezione testimoni

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Quel silenzio da parte di Jacob Garrett era assai sospettabile perché, anche se di persona lo conoscevo appena da due giorni, avevo capito che il silenzio non fosse di suo gradimento.
Forse cercava di mettermi a mio agio lasciandomi scegliere un argomento, o forse, e sicuramente era così, stava cercando il modo adatto per farmi quella domanda.
Quale? Facile.
Voleva sapere, come tutti, quale fosse la mia storia, il motivo per cui mi limitassi ad essere un punto invisibile nel mondo.
Portai la cannuccia alle labbra e presi un sorso dal mio frullato.

"Posso assaggiarlo?". Chiese.

In tutta la mia vita nessuno aveva mai bevuto dal mio bicchiere o mangiato con le mie posate, questo a causa della tremenda apprensione di mia madre.
Secondo lei anche un batterio sarebbe stato in grado di uccidermi, il che in parte era vero perché i pazienti affetti dalla ToF (Tetralogy of Fallot) sono spesso soggetti a stenosi polmonare.

In poche parole la mia arteria polmonare è istruita a causa dell'unione dei due ventricoli e per questo motivo non trasferisce abbastanza sangue ai polmoni che, anche con un colpo di tosse, sarebbero potuti collassare.

Jacob non aspettò la mia risposta, ma prese il bicchiere dalle mie mani ed avvolse la cannuccia con la bocca, tirando un grande sorso.

"Mhm, non male". Commentò, passandosi la lingua sulle labbra.

"Finiscilo pure, io sono a posto". Inventai, rivolgendogli un sorriso.

Alzò le spalle, per poi posare il bicchiere sull'erba. Cominciò a fissarmi.
"Per quale motivo non hai una vita?".

Rimasi spiazzata e cercai di alleggerire il tutto con una mezza risata.
"Io ho una vita!". Mi giustificai.

"Certo, come no". Storse le labbra. "Ti ho osservata, Murphy, ed ho capito che non sei per niente timida. Tu ci ignori, e vorrei sapere perché lo fai".

Sospirai, guardando i suoi occhi scuri che mi osservavano intensamente. Avevo sentito parlare del potere che avesse lo sguardo di Jacob Garrett, in particolare dalle ragazze più piccole, matricole comprese.

Mi ero vantata di esserne immune per tanto tempo, ma, evidentemente, lo avevo fatto perché non mi aveva mai guardata.

"Ho un problema al c-carattere". Sparai.

"Al carattere?". Aggrottò lo sguardo, incuriosito.

"Già, un problema di socializzazione. Io non riesco a stare a contatto con gli altri perché il panico mi assale e potrei perfino svenire". Non ero mai stata abile con le bugie, forse perché non avevo mai avuto bisogno di mentire, ma avevo scoperto che fosse piuttosto semplice.

"E il tipo vestito da becchino che ti fa da ombra?".

"È il mio psicologo. Greg mi aiuta a superare le situazioni di panico". Gli sorrisi.

"Quindi, fammi capire, tu non parli con nessuno al mondo tranne che con lui?". Sembrava a dir poco sbalordito.
Figuriamoci se gli avessi detto che sono una malata terminale.

"E i miei genitori". Aggiunsi.

"E basta? Sul serio?".

"In realtà ci saresti anche tu". Dissi, portandomi indietro le ciocche di capelli sfuggiti alla coda di cavallo.

"Non stai per svenire, vero?". Mise le mani avanti.

"No, non per il momento". Risposi ridendo.

"Cavolo, mi dispiace per averti presentato gli altri, se lo avessi saputo sarei stato più...delicato". Si grattò il retro del collo, in imbarazzo.

"Non preoccuparti". Scossi la testa. "Solo...potresti non dirlo a nessuno?".

"Puoi fidarti di me". Mi fece un occhiolino. "Posso farti solo un'ultima domanda?".

Annuii, ed aspettai che parlasse.

"Perché non mi hai semplicemente ignorato come fai con tutti?". Chiese.

Perché non lo avevo fatto? Beh, questo dovevo ancora capirlo. Aveva insistito un po' ed io avevo lasciato che lo facesse, perché la sua compagnia mi metteva serenità. Avevo scoperto che parlare con lui mi faceva dimenticare per un attimo che, probabilmente, se non fosse arrivato un cuore compatibile al mio corpo entro quattro mesi, io sarei morta.

"Non tutto può essere ignorato". Dissi soltanto, alzando le spalle con noncuranza.

"Esci con me".

"Come?". Alzai la voce, colta alla sprovvista da quella richiesta.

"Esci con me, Elizabeth Murphy, ti prometto che ti sentirai a tuo agio come mai nella vita". Si alzò in piedi, porgendomi poi entrambe le mani.

Le afferrai, lasciando che mi aiutasse ad alzarmi. Adesso eravamo vicini, tanto che il suo petto quasi sfiorava il mio.
Se si fosse avvicinato ancora, avrebbe sentito i battiti accelerati del mio stupidissimo cuore difettato.
Questa volte ero del tutto sicura che non  fosse tachicardia, ma Jacob Garrett.

Ed ecco che rifece quello sguardo, quello "magico", con il quale era capace di corrompere anche le professoresse.
Aprii la bocca per rispondere, ma il suono della campanella mi precedette.

"Pausa pranzo finita". Dissi velocemente, facendo un passo indietro per allontanarmi da lui.

Rientrammo nella scuola e raggiungemmo la classe di Letteratura. Nel vederci entrare insieme molti rimasero interdetti, ma mi limitai a raggiungere il banco in terza fila.
Jacob mi seguì, sedendosi nel posto accanto al mio.

Seguii attentamente la lezione per circa trenta minuti, e mi sorpresi quando vidi che Jacob stesse facendo lo stesso.
Mi fermai a guardarlo mentre scriveva qualche appunto su un block notes, mordicchiando il tappo della penna ogni tanto.

"Cerca di non sciuparmi, piccola, mi serve questa faccia". Sussurrò ironicamente senza neanche guardarmi.
Come aveva fatto ad accorgersi che lo stavo guardando?

"Garrett, visto che ha tanta voglia di parlare spieghi alla classe di quanti canti è composta la Divina Commedia".
Intervenne il professor Collins.

Mi scappò un sorriso ed afferrai velocemente la matita, allungando il braccio per scrivere sul suo banco.

"Novantanove, professore, più uno che fa da proemio". Rispose Jacob, dopo aver letto il mio suggerimento.

"Bene". Disse, indignato, il vecchio professore.

Jacob si voltò a guardarmi, o meglio, a lodarmi con gli occhi per averlo aiutato.
Poi, senza riprodurre alcun suono, mimò con le labbra un "sei fantastica".

Sorrisi, abbassando lo sguardo sui miei appunti. Improvvisamente mi ero resa conto che avere una persona che mi apprezzasse senza conoscere la mia malattia fosse incredibilmente appagante.
Lui non provava compassione, io gli piacevo, e lui iniziava a piacere a me sempre di più.

Guardai i post-it gialli sul suo banco e lo colpii con il gomito per attirare la sua attenzione.

"Puoi darmene uno?". Sussurrai, indicando il blocchetto di post-it.
Lui staccò un foglietto e me lo porse.
Sospirai, facendomi coraggio, e scrissi.

Sabato sera sono libera.
E❤️

SA/Franinwonderland'space
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Finché il cuore batteWhere stories live. Discover now