Capitolo 7.

2.9K 163 27
                                    

Il lato negativo del cambiare casa è che quelli del trasloco ci mettono almeno un paio di giorni per decidersi ad andare a casa tua e prendere le tue cose per portarle in quella nuova. Quindi, sopravvivere con una ciotola e un paio di lenzuola non è il massimo, nonostante la casa sia già arredata.
Ho passato l'intero pomeriggio a fare le pulizie, ed ora la casa brilla, o quasi. Ho sistemato le lenzuola, il cuscino è fuori a prendere aria con i panni stesi e l'acqua per il the sta per bollire sul fuoco.
Tutto sembra andare bene, finché non sento un tuono risuonare da fuori. Mi giro lentamente tipo film horror verso una delle finestre e sento il cuore mancare un battito. Come pensavo, senza poterlo neanche realizzare, l'acqua inizia a scendere pesantemente.
Apro velocemente la porta finestra che dà sul piccolo giardino e vedo i vestiti ed il cuscino riempirsi d'acqua.
«No!» esclamo, affrettandomi a raccogliere tutto.
Come se non bastasse, uno dei fili dello stendino si rompe e metà del bucato finisce per terra.
Trattengo un urlo e comincio a pronunciare parole a caso nella mia lingua madre, cosa che non facevo da troppo tempo.
«Serve una mano?»
Due mani di stampo maschile afferrano i vestiti caduti per terra, annuisco ed entro di corsa in casa, seguita dallo sconosciuto. Dobbiamo uscire un'altra volta, prima che tutto il bucato sia completamente ritirato e, una volta in casa, riesco a vedere il suo aspetto.
È un po' bagnato sulle spalle ed i suoi capelli sono scompigliati a causa del vento, indossa dei vestiti molto casual ed è in ciabatte.
«Mi chiamo Matsuda Daiki, sono il tuo vicino.» fa un leggero inchino e lo imito.
«Forse è meglio se ti prendo un asciugamano.»

Verso del the al ragazzo giapponese seduto al tavolo di fronte a me, il quale mi ringrazia e si gode il calore di una tazza fumante.
«Mi dispiace che ci siamo dovuti presentare in questo modo.» scherzo sull'accaduto di qualche minuto fa.
Daiki sposta l'asciugamano con cui si è asciugato i capelli sullo schienale della sedia e scuote la testa, sorridendo.
«Va tutto bene. Mi sono divertito.»
Annuisco e mi siedo al tavolo per sorseggiare un po' del the che ho appena preparato. Restiamo in silenzio per un po', finché Daiki non si schiarisce la voce.
«Quando è il tuo compleanno?»
Ridacchio e abbasso lo sguardo, ha chiesto l'unica domanda che per quest'anno avrei voluto evitare.
«Domani.» lascio la frase in sospeso, segno che devo aggiungere qualcos'altro; il ragazzo, infatti, aspetta che continui a parlare.
«Ma non lo festeggerò, ultimamente mi sta andando tutto male.»
Daiki sembra pensarci un po' su, finché non si stringe la testa tra le spalle e sorride leggermente.
«Domani è il tre marzo, no? L'Hina Matsuri si tiene proprio quel giorno, sarebbe un peccato non festeggiare.»

Ed è così che Daiki ed io abbiamo passato l'intero pomeriggio del terzo giorno del terzo mese girando per Tokyo e ammirando le bambole dell'imperatore e dell'imperatrice agghindati con i vestiti di corte del periodo Heian sulle grandi piattaforme rosse.
In più, sul ripiano all'entrata di casa mia ora si trova una bambola vestita di rosso come ricordo, o forse dovrei dire regalo, della giornata appena trascorsa.
«Grazie, sei stato gentile a regalarmi questa bambola.» dico, apparecchiando il tavolo per due. «E grazie per avermi tenuto compagnia per tutto il giorno.»
«Non mi ringraziare. Festeggiare il compleanno in compagnia è divertente.»
Annuisco e sorrido, porgendogli poi una scodella con del riso.
A differenza mia, Daiki è un ottimo cuoco e mi ha insegnato come cuocere le uova in ben otto modi diversi; e pensare che ne conoscevo soltanto tre. Inoltre, impugna le bacchette alla perfezione senza far cadere nulla, cosa che gli invidio moltissimo.
Ci siamo dovuti accontentare delle poche cose che avevo in frigorifero, dato il trasferimento e la mia abitudine di non mangiare spesso a casa.
«Quindi prima avevi una coinquilina.»
«Già. È tornata in Australia pochi giorni fa, ma non potevo tenere una casa del genere da sola, quindi mi sono trasferita in una più piccola e alla mano.»
«Capisco. Beh, questo è un quartiere tranquillo, ma offre molti servizi. Ti troverai bene, vedrai.»
Annuisco e mi pulisco la bocca con un tovagliolo. Anche Daiki fa lo stesso e mette da parte la ciotola vuota del riso, ringraziandomi per il pasto.
«Dovremmo tagliare la torta, ora.»
«Quale torta?»
Il giapponese si gira e da sotto la giacca sulla sedia prende un sacchetto di plastica, nel quale si trova una scatola.
«Non è molto grande, ma siamo in due, quindi dovrebbe andare bene.»
Mi porge la scatola con due mani, e la afferro con molta cura. Mi sento felice e riconoscente nei confronti di questo sconosciuto, ma so che mi posso fidare di lui. Da quello che mi ha detto, ha la mia stessa età, venticinque anni compiuti il sedici febbraio, come lavoro fa l'insegnante in una scuola media, e para abbia pure molte ammiratrici più giovani. I suoi genitori l'hanno cacciato di casa appena compiuti vent'anni, quindi si è dovuto pagare l'università e l'abitazione da solo, lavorando sodo ogni giorno.
«Bene, allora la taglio io?» chiede, prendendo uno dei coltelli di plastica e mostrandomelo.
Annuisco, ma nel mentre sento suonare alla porta. Daiki fa per alzarsi, ma lo blocco e mi avvio verso l'entrata.
«Tu comincia a tagliare, vado io alla porta.»
«D'accordo.»
Appoggio una mano sulla maniglia e faccio girare due volte la chiave nella serratura.
Apro, quindi, la porta e ciò che trovo davanti sembra essere una fantasia, un'ologramma, quasi irreale.
Resto immobile a osservare la maglia nera e la giacca con stampa militare davanti a me. Non voglio alzare lo sguardo, perché il suo odore, quello che ho sentito durante la vigilia di Natale, è troppo difficile da dimenticare.
«Chi è? Tutto bene?»
Mi giro verso il giapponese all'interno della stanza e lo vedo sbiancare, prima che si rovesci sulla sedia e cada sul pavimento ancora con il piatto di torta in mano.
«Ciao, Focaccia.»
«Namjoon, che ci fai qui?»

Blind Date // Kim NamjoonOnde histórias criam vida. Descubra agora