Prologo

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In un vicolo di Roma, zona della Garbatella, un uomo di bella presenza, attende.

Portava un cappotto di cotone fino e caldo, i capelli corti con un ciuffo ondulato che cadeva irregolare sul viso color biondo cenere, occhi azzurri, barba ben definita e curata.
Ai suoi piedi il corpo di un ragazzino inerme, vestito troppo leggero per quella sera così fredda e immerso in una pozza di sangue.

Intorno a loro il fumo trasudava dalla strada di mattoni e dai tubi di ferro sui muri, l'odore acidulo della mondezza ai lati della strada ferì le narici dell'uomo che ne calciò via una bottiglia.

Guardò disgustato il ragazzo, che ormai quasi privo di forze iniziò a perdere i sensi di fronte a lui. Lo colpì in pieno petto costringendolo e riprendere i sensi, mentre tirò fuori dal cappotto un corto coltello che usava solitamente per torturare le sue vittime.

Nonostante fosse un purista della superiorità magica, amava le armi umane. Differentemente dalla maledizione Flagellum permettevano di vedere con chiarezza il sangue che colava fuori dal corpo delle vittime e davano al carnefice la possibilità di portare allo scoperto gli organi degli esseri umani, torturandoli godendo appieno dell'odore metallico del loro sangue senza però rinunciare al piacere delle urla di sofferenza. Inoltre adorava la sensazione della lama che affondava nella carne, tagliando e triturando quell'inutile sacco di materia organica che erano quegli infimi vermi e nulla gli dava più piacere del momento in cui affondava il pugnale nel loro cuore che con un lieve sussulto smetteva per sempre di battere.

Osservò annoiato la sua vittima.
Lo aveva attirato grazie al suo bell'aspetto.

I MagiNò, appellati così dalla comunità magica per indicare gli umani quelli privi di poteri magici, erano esseri sciocchi e facili da ingannare e per un sadico come lui trarli nella sua rete non era certo difficile. Si appostò nel vicolo più stretto e angusto delle vie delle capitale perché le urla della sua preda non la raggiungessero, ma vicino quel che bastava da illudere il ragazzino di potergli scappare una volta scoperto il suo inganno. Pazientò, tranquillo, assaporando nell'attesa il preludio del piacere. Calcolatore e ingannevole lo attrasse a sé con molta facilità, era sempre stato un gran oratore e di ottima parlantina e quel verme aveva abboccato in pieno.

Ovviamente, aveva programmato tutto fino all'ultimo dettaglio scegliendo la sua preda come si fa con un capo di bestiame particolarmente adatto al sacrificio. Sapeva che proprio quel ragazzino sarebbe passato, come ogni crepuscolo, di lì in quel preciso momento. Lo scelse per un solo e semplice motivo: era un parente prossimo del presidente dell'associazione ProNoMagi, un'associazione che collaborava con il Governo italiano e il Senato Magicae che si occupava di proteggere i MagiNò da efferati assassini come lui. Tutto questo gli avrebbe sicuramente portato grande prestigio tra gli Occultisti. Ed era il successo e la vendetta che lui bramava.

Nonostante fosse un volgare MagiNò, quel giovane era davvero molto avvenente, i tratti quasi fanciulleschi e innocenti appena solcati da qualche lineamento maturo, gli occhi grandi e lucenti pieni di vita e il fisico vigoroso ed elegante impossibile da scordare.
Perché proprio lui?
Perché distruggere una bellezza simile?
La gente comune non poteva comprenderlo. Nessuno avrebbe mai capito appieno il suo magnifico ideale di bellezza, nessuno poteva capire cosa prova il carnefice di fronte alla morte della bellezza, all'istante di puro piacere in cui la magnificenza umana diventa eterna a contatto con il gelo della morte. 

Cosa vi era di più sublime del vedere una rosa imprigionata nel ghiaccio perenne? Delle fragili membra, immobili mentre la vita fluisce da quel corpo per non tornare più? 

Quale senso di potere, di grandezza, si può provare di fronte a uno spettacolo simile? 

Solo lui poteva comprenderlo appieno, perché era questo che gli avevano inculcato e aveva consacrato ogni singolo istante della sua vita a quegli ideali che ormai erano divenuti parte integrante del suo modo di essere.
Pazzo.
Paranoico.
Mostro.
Ecco come veniva chiamato.
Poveri ignoranti, privi di cervello.
Non è forse vero che è la natura stessa dell'uomo a renderlo tanto crudele?
Che piacere c'è nell'osservare le disgrazie altrui, se non quello di sapere che si è ancora salvi?

Parlano tanto, ma alla fine tutti gli uomini sono uguali, tutti nascondono dentro di sé una bestia assetata di sangue in perenne attesa di essere liberata.
Che aveva fatto lui di male?
Si era limitato a guardare negli occhi quell'orribile verità e ad accettarla. Che senso aveva lottare contro quell'oscurità? Non avrebbe vinto comunque lei? Meglio abbandonarsi e lasciarsi trasportare da quell'uragano di emozioni tanto peccaminose da risultare intollerabili a qualunque mente sana.

Osservò annoiato la sua preda, immobile nel gelido abbraccio della morte.

Un topo apparve da dietro un cassonetto, arrivato dalla strada principale piena di luci e fischi di tram dove le poche persone ritardatarie correvano verso casa per scappare al freddo pungente della sera. 

Con delle movenze da ubriaco il ratto si avvicinò all'uomo fino a incastrarsi in una pozzanghera. L'uomo lanciò via il topo senza riguardo in mezzo ad altri rifiuti, si scostò il cappotto portando le mani sui fianchi mostrando una camicia nera di seta fermata da delle bretelle rosso sangue e dei pantaloni neri.
Si accostò al ragazzo ancora riverso nel vicolo:

«Sfortunato ragazzo, ti sei ritrovato davanti un assassino senza pietà.. e senza pietà sei morto». 

Si congedò stringendo le braccia al petto e camminando a passo veloce. Estrasse la bacchetta, scomparendo nel buio del vicolo.

Secolaria - Obscura LuxWhere stories live. Discover now