Capitolo 5

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Martina bestemmió pesantemente, traumatizzando un David selvatico. Non riusciva a far uscire Ila dallo zaino.
«Di buon umore vedo...» commentó l'azzurro avvicinandosi con Joe.
«È colpa di Ila!»
«Dov'è?» domandò il portiere della Royal.
«Nello zaino!» sbottò la castana indicando lo zaino che aveva davanti.
«Eh?» fu il commento confuso dei due ragazzi, e una testa riccia uscì dallo zaino.
«Smettila Marty, non esco» disse Ila, poi tornó nello zaino. La sorella sospiró esasperata.
«Dobbiamo entrare in classeeeeee»
Niente, nessun segno di vita.
«Oh, e va bene! Il posto all'angolo è tuo»
La minore uscì dallo zaino e si lasció trascinare in classe dall'altra, che era stata bocciata e andava nella sua stessa sezione.
Joe e David rimasero basiti dalla scena qualche minuto, poi decisero che meno sapevano, meglio sarebbe stato.

Caleb passò un'ora a casa a pulire svogliatamente, pensando a quanto odiasse Jude. Ma poi i suoi pensieri finirono all'oratorio in cui, ormai da un bel po di anni, faceva volontariato insieme a Martina. A differenza di ciò che può inizialmente sembrare, a lui piacciono i bambini. E anche alla sorella. Ad Ila... Ila li mangia a colazione o li uccide. È l'unica che non va dalle suore ad aiutare.
Oggi pomeriggio io e Marty dovremmo andarci pensò Caleb e Ila andrà a giocare a calcio, o resterà chiusa in casa, o starà col binocolo ambulante.
La madre andava sempre lì, tutti i giorni. E lo portava spesso. Un sorriso malinconico gli nacque in volto, mentre una lacrima solitaria scendeva. La madre era in ospedale, al momento. Aveva da poco tentato il suicidio, per colpa del padre. Caleb l'aveva vista... Aveva visto come saltava giù dal tetto. Altre lacrime gli scesero, e lui le asciugò con il braccio, in un gesto che di delicato non aveva niente.
«Non devo piangere...» mormorò, con voce ferma, completamente incoerente con il proprio stato d'animo. Finì di pulire e uscì di casa. Aveva bisogno di camminare. Aveva bisogno di liberarsi la mente. Fanculo la scuola, non ci sarebbe andato. Saltava spesso, perché spesso aveva l'ora di matematica. Amava la matematica, non aveva bisogno di studiare, la capiva bene. Ma il prof... Il prof era un vecchio "cliente" della madre. Si faceva fare pompini, spesso. E non perdeva mai l'occasione per ricordarglielo, insultarlo, ferirlo parlando della madre. Quell'uomo lo odiava, e lui odiava quell'uomo. Quel giorno aveva le prime due ore con lui, e quindi saltava. E non aveva minimamente voglia di entrare a terza ora. Preferì, invece, recarsi in un parco abbandonato. Era un luogo conosciuto solo da lui e dalle sue sorelle. Era tranquillo e semplice. Un paio di altalena, uno scivolo, qualche panchina, e un laghetto sulla quale al tramonto, il riflesso del sole era più che spettacolare.
Caleb si stese sul prato, e fissò il cielo. I suoi pensieri vagavano, ma alla fine tornò a concentrarsi su uno. Jude. Quel ragazzo era tremendamente irritante, a parer suo, ma anche carino. Si divertiva a stuzzicarlo, e litigare con lui era diverso dal litigare con gli altri. In più, voleva le sue attenzioni. Non ne capiva il motivo, ma era così. Voleva che Jude avesse il perenne ricordo della sua esistenza, e a modo proprio attirava la sua attenzione su di se. Non capiva il senso di tutto quello, finché alla mente non gli venne ciò che spesso ripetevano le sue sorelle. E realizzò che, forse, le due pesti avevano ragione. Si era infatuato del rasta.
«Fanculo...» mormorò al vento, alzandosi. Il tempo era volato, infatti era già mezzogiorno.
«Cazzo, è tardi» si disse, per poi sbuffare e correre a casa.
Riuscì ad arrivare esattamente pochi minuti prima del padre, e al rietro di quest'ultimo, Caleb potè continuare a fare ciò che ormai da anni faceva per evitare che l'uomo che viveva sotto il suo tetto uscisse nuovamente facendosi arrestare. Si fece picchiare e insultare.

Vita da Stonewall Where stories live. Discover now