Volubile

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I found;
Amber Run

Il corpo longilineo del ragazzo era ritto di fronte alla coda del pianoforte, con le gambe leggermente divaricate; i piedi erano paralleli al bacino e il petto restava leggermente in fuori. Gli occhi fissavano intensamente un punto casuale sulla parete di fronte a lui, in modo da tenere la testa alta, lasciando libera la gola. Le mani, che erano delicatamente poggiate vicine tra loro sullo strumento nero, si chiusero su se stesse, contraendosi un poco, lasciando, sulla poca superficie oramai libera da queste ultime, un piccolo alone più chiaro, a dimostrazione dell'ansia per quella nota complicata, quando quest'ultima si avvicinava. Arrivata la pausa prima dell'infido momento, prese un bel respiro, cercando di rilassare il corpo, e fece uscire, per quello che era il quinto tentativo della giornata, quella che sperò fosse la nota giusta. Con l'interrompersi gentile della melodia, scemò anche la voce profonda del ragazzo. Aveva sbagliato, di nuovo. Il morbido labbro inferiore fu morso con forza, gesto che fu accompagnato da un sospiro risuonante nell'aria, a dimostrazione dei pensieri confusi del giovane attualmente seduto su un soffice sgabello.
«Tae» il richiamo del ragazzo maggiore fece agitare l'altro, che staccò completamente le mani dalla coda dello strumento, ed iniziò a giocherellarci. Il suo sguardo si posò su quello dell'amico: era agitato, teso e silenzioso, ma Yoongi questo lo aveva notato sin da subito.
«Cosa succede?» A quella domanda tanto semplice, un groppo si formò al centro della gola di Taehyung, il quale, cercò, senza successo, di mandarlo giù. I suoi occhi impazzirono vagando per tutta la stanza, cercando di trattenere quelle lacrime insidiose, che premevano per scendere. Tirò su con il naso, si sfregò velocemente gli occhi, per ricacciare indietro le maledette, e fece un sorriso timido e tirato all'amico, quando si calmò un minimo ed ebbe ritrovato il coraggio di guardarlo negli occhi. Ma, quegli occhi, non erano gli stessi di tutti i giorni. Non erano frizzanti, vivaci, gioiosi. Non appartenevano al ragazzo che sorrideva a chiunque e che, in certe situazioni, sembrava avere la sindrome di Peter Pan. Quegli occhi appartenevano ad un ragazzo sofferente, stanco, fragile e, in quel momento, tremendamente volubile. Yoongi solo questo riuscì a capire, guardando il ragazzo con la pelle dorata accasciarsi sul nero pianoforte. Respirando profondamente, Taehyung si prese il viso dai dolci lineamenti tra le mani, lasciandolo lentamente scivolare nell'incavo dei gomiti. Si tirò i capelli setosi e morbidi, più lunghi del solito, chiudendo gli occhi. Le dita affusolate si mischiarono alle ciocche chiare, percependo la morbidezza di quest'ultime. Delle lacrime silenti iniziarono a solcare le guance nascoste, ma il ragazzo non sussultò, nè singhiozzò. Il suo viso non mostrò alcuna smorfia, i suoi occhi non furono contratti. Rimase fermo, respirando profondamente l'aria contenuta in quella vecchia stanzetta, la quale era stata messa a disposizione dei due ragazzi dalla scuola, per le loro prove giornaliere. Quando smise di passarsi le mani tra i capelli, incrociò le braccia dietro il cranio, e le mani toccarono flebilmente la nuca. Contrasse con forza i muscoli delle braccia, come a proteggersi da un mostro. Un mostro, che era nella sua testa. Yoongi non capì cosa stesse succedendo, o perché Taehyung stesse in quella posizione. Ma questo, Yoongi, non lo chiese nemmeno. Non era un tipo da queste situazioni, lui. Non sapeva come comportarsi, non sapeva cosa bisognasse dire, o se facesse piacere un contatto fisico. A suo modo, però, iniziò a confortare il ragazzo. Si sistemò meglio sullo sgabello, accarezzando i tasti bianchi e neri con polpastrelli pieni di dolcezza, quasi fossero la cosa più preziosa al mondo. Forse, per lui, lo erano davvero.
Sfiorò ogni rettangolo bianco, sapendo perfettamente quale suono si celasse dietro ognuno di essi. Poi, lentamente, Min Yoongi, con il dito indice della mano destra, fece una pressione tale da far risuonare nella muta stanza la nota predisposta dal latteo tasto. Successivamente, sempre con quella calma empatica che da sempre lo contraddistingueva, ne premette un altro. E poi un altro. Ed un altro ancora, fino a creare una melodia nuova, che mai era stata scritta o suonata, e che mai lo sarebbe stata. Per la prima ed ultima volta quella melanconia risuonò nell'aria, accompagnando, con fare quasi materno, i muti sentimenti dei due ragazzi. Taehyung iniziò a piangere più forte, silenziando comunque i singhiozzi quanto più possibile, mordendosi le tremolanti labbra rosee. Le gambe cedettero, ed il ragazzo si ritrovò inginocchiato per terra, singhiozzante, con una mano a coprirsi il viso, e l'altra premuta sul fianco della coda del pianoforte. Gli mancava così tanto, quella bambina. Ricordava i suoi capelli castani, lucidi e lunghi fino alla vita. Ricordava i pomeriggi passati in casa a cantare, stonati, e quelli fuori a giocare nel parchetto vicino alla scuola della bimba. Ricordava gli sguardi che la sorellina gli lanciava. Ricordava le parole gentili che sempre gli rivolgeva, e la curiosità che gli leggeva negli occhi. Erano passati ben due anni, dalla sua scomparsa, ed era da altrettanti che Taehyung ne sentiva ogni giorno la mancanza. Aveva iniziato a cantare proprio per lei, perché amava la sua voce, tanto da chiedergli una promessa, lei che non chiedeva mai niente.
«Devi cantare - gli disse - Voglio sentire la tua voce per radio, cosicché quando sarai lontano, per sentirti, non dovrò far altro che accenderla. Lo prometti?»
E glielo promise, a quella bambina, solo per veder spuntare, anche solo per una volta in più, quel sorrisetto felice e quadrato, tanto simile al suo. Yoongi, quel giorno, si prese cura di Taehyung come nessun altro fece mai, senza nemmeno accorgersi di accogliere i suoi sentimenti meglio di chiunque altro, semplicemente non smettendo di suonare, fino a che il suo amico non smise di piangere.

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